2012-04-11 16:35:18

Al via la Carovana antimafie


Riparte oggi dal Lazio, da Latina, la Carovana antimafie di Arci, Libera e della rete degli Enti locali Avviso Pubblico, che da 18 anni attraversa l'Italia per dire "no" a Cosa Nostra e a tutte le forme di illegalità. Durante il viaggio, che si concluderà l'11 ottobre in Sicilia, la Carovana toccherà tutte le regioni italiane, ma anche Francia, nell'anno delle elezioni presidenziali, e Tunisia, simbolo di una nazione che sta attraversando il cambiamento. Servizio di Francesca Sabatinelli: RealAudioMP3

Fare antimafia, facendo società. Il messaggio della Carovana 2012 è tanto semplice da dire quanto complesso da mettere in atto. Perché per “fare società” si intende ricostruire il tessuto sociale, far diventare notizia le esperienze virtuose e di contro svelare il malaffare e l’illegalità. L’intento degli organizzatori è questo sin dall’inizio della Carovana. Che quest’anno assume un valore assai più forte in occasione del 30.mo anniversario dell’uccisione di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e del 20.mo delle stragi di Capaci e via D’Amelio, dove morirono i giudici Falcone e Borsellino. Nel viaggio che porterà la carovana in tutte le regioni italiane, in Francia e in Tunisia, si darà vita a incontri con la cittadinanza e a conferenze nelle scuole. Alessandro Cobianchi, coordinatore della Carovana:

R. - La Carovana di quest’anno è un punto di passaggio. Diciotto anni fa, quando è nata aveva certezze purtroppo negative. Era un Paese completamente allo sfascio, sicuramente dal punto di vista dell’aggressione militare delle mafie. Oggi, invece, le mafie si stanno trasformando, si sono già trasformate, sono in piena evoluzione. A noi piace capire cosa sta accadendo a questo Paese, perché crediamo che ci sia una deriva culturale. Carovana non ha la presunzione di bloccarla, ma intende interpretare e provare a raccontare quello che accade andando nelle città, nelle piazze, e parlando direttamente con le persone.

D. - Questo significa che, secondo voi, parlare ai cittadini, o far sentire loro in qualche modo una sorta di sostegno, potrebbe incoraggiarli a ribellarsi, a non pagare più il pizzo, a contrastare il racket delle estorsioni nonostante il rischio per le loro vite e le loro famiglie?

R. - Noi non intendiamo sottrarre le persone al giogo del pizzo o delle varie forme di estorsione, vogliamo soltanto provare a incontrare queste persone. Naturalmente, la Carovana non è il toccasana, altrimenti ne faremmo 100 tutti i giorni. Però, credo che il fatto che in molte cittadine si possa parlare del gioco d’azzardo, dell’isolamento sociale cui certi giochi conducono, sia qualcosa di importante. A noi piace l’idea di poter incontrare una scolaresca e di poter raccontare della forza dirompente del bene confiscato e dei prodotti che vengono da questi beni. Se uno di quei ragazzi dovesse decidere domani di costruire associazionismo, di rafforzare la partecipazione, di salire sulla Carovana, sappiamo di aver fatto comunque una piccola parte importante del nostro lavoro. Questo è lo spirito del nostro viaggio.

La Carovana è promossa anche da Avviso Pubblico, la rete degli enti locali per la formazione civile contro le mafie, che in questo viaggio chiederà ai sindaci e agli amministratori locali di sottoscrivere un Codice etico, la Carta di Pisa. Giuseppe Schena, del direttivo nazionale di Avviso Pubblico sottolinea: per contrastare la criminalità dobbiamo combattere per la legalità delle istituzioni.

R. - La Carta di Pisa, il Codice etico per gli amministratori locali, è iscritto nei valori della Carovana: stiamo parlando semplicemente del contributo che ognuno può dare per la legalità praticata, non dichiarata. Noi chiediamo agli amministratori che sottoscrivano quel Codice, perché in un modo molto semplice, nella loro attività quotidiana, possono dare un contributo che non è scontato: nella capacità di tenere le relazioni in trasparenza, di assumersi impegni che possono essere misurati, di praticare un comportamento corretto e di non dare soprattutto spazio a interventi di natura discrezionale. Noi amministratori abbiamo a disposizione una serie di procedure, di attività, di percorsi autorizzativi, che devono essere immediatamente nella disponibilità di chi li usa, non devono essere lasciati alla discrezionalità del politico, del sindaco o della giunta che decide sì o no. Ci sono procedure, soprattutto in urbanistica, nell’autorizzazione delle attività commerciali e produttive, nelle autorizzazioni di natura sanitaria, che devono essere immediatamente nella disponibilità dei cittadini, senza questa intermediazione politica, dove la politica non occorre: la politica scrive le regole, poi le presidia, ma non deve occuparsi della gestione. Allora, credo, che non accettare regali sopra un certo importo, non occuparsi di avere relazioni con imprese con le quali hai lavorato o potresti lavorare in futuro, scegliere amministratori in giunta o in consiglio che non abbiano relazioni con multiutility, società collegate, società patrimoniali, credo che tutti questi siano gesti concludenti, più di ogni altra dichiarazione. Questa è la Carta di Pisa, questo è l’impegno che chiediamo ai sindaci e agli amministratori locali.

D. - Di fronte a notizie di cronaca, che ci riportano continuamente dello scioglimento di comuni per mafia, pensiamo agli ultimi, come Castel Volturno…

R. - Pensiamo a Castel Volturno, ai 200 che sono stati sciolti negli ultimi 20 anni, ma pensiamo anche a quelli che sono stati sciolti nel Nord di questo Paese, penso a Bordighera, a Ventimiglia, e a quanti sono in attesa, e quelli che sono in attesa sono oltre la Linea Gotica. Quindi, anche il tema delle amministrazioni del Nord che hanno a che fare con infiltrazioni, con criminalità, con condotte non proprio trasparenti degli amministratori, è un tema attuale.

D. – Le infiltrazioni mafiose e la cattiva amministrazione sono i motivi che hanno fatto crollare gli investimenti esteri in Italia…

R. – Uno dei criteri con i quali si valuta se investire o no in un Paese è l’affidabilità della pubblica amministrazione, della politica, delle istituzioni. Non faccio investimenti ingenti in un Paese nel quale è nella discrezionalità di un amministratore locale decidere come farlo e procedere attraverso percorsi che sono indecifrabili dal punto di vista autorizzativo, perché c’è una procedura che è farraginosa, perché ci sono vincoli, limiti, lacci e lacciuoli, e soprattutto perché c’è un’altissima presenza di quello che è il condizionamento della criminalità.

Franco La Torre è il figlio di Pio, l’uomo politico ucciso dalla mafia in Sicilia nel 1982. E’ il presidente di Flare, il network che raduna una cinquantina tra associazioni e ong europee, finalizzato alla cooperazione tra le organizzazioni della società civile nella lotta contro le mafie e le criminalità organizzate transnazionali:

R. – E’ importante ciò che fanno le istituzioni, ciò che fanno le organizzazioni grandi e piccole, però se non c’è una presa di coscienza, un’assunzione diretta di responsabilità, non si sconfiggono le mafie, perché ci accompagnano durante tutto il giorno. Noi possiamo far finta di non vederle, ma spesso chi è accanto a noi è costretto a rivolgersi a un usuraio, ad accettare le merci imposte, ad accettare il cemento, a chiedere una raccomandazione. Per cui è la società che se ne deve far carico.

D. – Negli ultimi anni, e non da pochi, molte componenti della società si sono rese conto del loro importante ruolo in questa battaglia …

R. – Non c’è dubbio, anche se questo della sensibilizzazione della società è un processo che va continuamente alimentato e in questo dobbiamo dire grazie, a coloro che lo fanno: le associazioni come Libera, come Avviso Pubblico, i sindacati. C’è tanta gente che è impegnata, che è sensibilizzata e lo deve essere sempre di più. Ancora oggi, in Italia, paghiamo un limite di analisi, nonostante tutto, ancora in molti considerano le mafie come una questione del “mezzogiorno depresso”, considerano la presenza delle mafie - nel centro e nel nord Italia - come fattori episodici, quando ormai sono fattori sostanziali e radicati. Perché continuiamo a parlare di mafia, dopo 150 anni di unità d’Italia? Perché, disgraziatamente, la storia della mafia affonda le sue radici nella nascita del nostro Stato, perché c’è stata una grande capacità, da parte del potere politico di individuare nella criminalità organizzata un utile strumento alle sue pratiche illegali, e da parte della criminalità organizzata nel trovare, nella classe dirigente di questo Paese, il raccordo per moltiplicare i suoi interessi ed i suoi guadagni. Tra i due c’è un patto, simboleggiato da quella che viene chiamata la “zona grigia”: quei professionisti che sono apparentemente immuni, intoccabili, ma che poi prestano i loro servizi, le loro capacità, le loro intelligenze alle economie criminali.

D. – Lei presiede Flare network che l’anno prossimo si unirà a tutte le altre associazioni che appoggiano la carovana. In che modo Flare si inserirà, con quello che è il suo specifico?

R. – La novità è che da poche settimane, la Commissione Europea ha elaborato una proposta di direttiva - da sottoporre all’approvazione del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo – per l’introduzione della legislazione per la confisca dei beni a livello europeo. E’ questo il motivo, e non solo, per cui è necessario un impegno di organizzazioni internazionali - come Flare - che accompagnino la Carovana in un grande giro, che tocchi perlomeno tutte le capitali dell’Unione Europea, per raccontare ai cittadini e alle cittadine dell’Unione Europea, che spesso non sanno, che spesso ignorano, che spesso sottovalutano, cosa vuol dire vivere con le mafie, qual è il pericolo delle mafie. (cp)







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