2012-04-10 13:54:23

Stragi di Pasqua in Nigeria: oltre 50 morti. L’arcivescovo di Kaduna invoca un aiuto esterno


Sale il bilancio delle vittime delle stragi in Nigeria, per mano del movimento integralista islamico Boko Haram, legato ai terroristi di al Qaeda, che opera soprattutto nel nord del Paese africano. Obiettivi preferiti i cristiani e i luoghi di culto. Sono oltre 50 i morti e decine i feriti nei due giorni di festività pasquali in attentati a Kaduna e a Jos. Altri 44 morti si sono registrati a Natale e 185 lo scorso gennaio. Allora che cosa sta accadendo in questo Paese? L’arcivescovo di Kaduna, mons. Matthew Man-oso Ndagoso - come riferisce Aiuto alla Chiesa che Soffre - chiede di aprire un dialogo “tra le comunità religiose e con le autorità civili”, ed invoca “un aiuto esterno”. Ma è solo una guerra di religione o c’è dell’altro? Roberta Gisotti lo ha chiesto al collega della rivista “Popoli”, Enrico Casale, esperto di questioni africane:RealAudioMP3

R. - Il problema degli attentati se apparentemente può essere visto solamente come una questione di conflitto religioso, in realtà affonda le sue radici, oltre che nella convivenza tra musulmani e cristiani, anche in un Paese che vive profonde contraddizioni. La Nigeria è potenzialmente un Paese ricchissimo: è il principale produttore africano di petrolio, dal quale trae circa il 90 per cento delle sue entrate pubbliche, ma il 70 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. E’ chiaro che la presenza di questa ricchezza e la presenza di questa povertà all’interno dello stesso Stato creano delle forti tensioni. Forti tensioni che al nord si manifestano con gli attentati e il contrasto tra musulmani e cristiani e che al sud - soprattutto nella zona del Delta - in tensioni tra le popolazioni locali e il governo federale per la gestione, appunto, delle risorse petrolifere.

D. - Al momento, al potere c’è il presidente Goodluck Jonathan, che è un cristiano: c’è anche l’intenzione, quindi, di far cadere questo governo da parte del movimento Boko Haram?

R. - Certamente c’è questo in Boko Haram: vedono la presidenza di un cristiano come una minaccia all’identità islamica, soprattutto degli Stati del nord della Nigeria. In realtà il programma di Boko Haram è però molto più complesso e mira alla creazione di uno Stato musulmano con l’applicazione integrale e letterale della Sharia, cioè della legge islamica, e il rifiuto di tutto ciò che proviene dall’Occidente. In questo si collegano a tutto quel filone di fondamentalismo islamico che è rappresentato in Afghanistan, per esempio, dai Talebani; in Somalia, dagli Shebab, e in genere in tutto il resto del mondo dal network fondamentalista di al Qaeda. Non è un caso che molti esponenti di Boko Haram si siano formati in Somalia nei campi di addestramento degli Shebab.

D. - Tanto più deve preoccupare la notizia di ieri di uno sconfinamento di combattenti di Boko Haram in Mali, nella città di Gao, che sappiamo essere già in mano ai secessionisti Tuareg e ad altri gruppi ribelli?

R. - Certamente ci sono dei legami tra Boko Haram e i miliziani di al Qaeda per il Maghreb islamico, che è la succursale di al Qaeda in tutta la zona saheliana e sahariana. I Paesi di quella zona - parlo della Mauritania, del Mali, del Niger, di parte del Ciad - sono molto preoccupati per la presenza di cellule di al Qaeda per il Maghreb islamico e da tempo hanno messo in atto azioni, in certi casi anche comuni, per contrastare il dilagare di questo fenomeno del fondamentalismo islamico.

D. - Di fronte a questo scenario grave per le ripercussioni politiche e assolutamente tragico per le morti che ha già procurato, la Comunità internazionale che cosa fa? Sta a guardare?

R. - No, non sta a guardare. Da tempo, oramai, gli Stati Uniti mantengono una forte presenza militare in quell’area. Non è un caso che, per esempio, le Forze armate del Mali siano state formate da professionisti americani e la stessa Francia mantiene una presenza in tutti gli Stati che erano sue colonie e quindi in Mali, in Mauritania e nello stesso Ciad. Questa è una risposta fondamentalmente militare; dal punto di vista delle organizzazioni internazionali, invece, c’è ancora - probabilmente - una sottovalutazione del problema, invece abbastanza grave.

D. - Una situazione, quindi, da monitorare con grande attenzione?

R. - Certamente. Teniamo presente che, però, nella presenza di queste Forze militari nel Sahara e nel Sahel si mescolano anche degli interessi economici molto forti, soprattutto nel nord del Mali dove adesso si è combattuto, ma anche in Niger c’è la presenza di grandi giacimenti sia di petrolio che di uranio. (mg)







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