Stragi di Pasqua in Nigeria: oltre 50 morti. L’arcivescovo di Kaduna invoca un aiuto
esterno
Sale il bilancio delle vittime delle stragi in Nigeria, per mano del movimento integralista
islamico Boko Haram, legato ai terroristi di al Qaeda, che opera soprattutto nel nord
del Paese africano. Obiettivi preferiti i cristiani e i luoghi di culto. Sono oltre
50 i morti e decine i feriti nei due giorni di festività pasquali in attentati a Kaduna
e a Jos. Altri 44 morti si sono registrati a Natale e 185 lo scorso gennaio. Allora
che cosa sta accadendo in questo Paese? L’arcivescovo di Kaduna, mons. Matthew Man-oso
Ndagoso - come riferisce Aiuto alla Chiesa che Soffre - chiede di aprire un dialogo
“tra le comunità religiose e con le autorità civili”, ed invoca “un aiuto esterno”.
Ma è solo una guerra di religione o c’è dell’altro? Roberta Gisotti lo ha chiesto
al collega della rivista “Popoli”, Enrico Casale, esperto di questioni africane:
R. - Il problema
degli attentati se apparentemente può essere visto solamente come una questione di
conflitto religioso, in realtà affonda le sue radici, oltre che nella convivenza tra
musulmani e cristiani, anche in un Paese che vive profonde contraddizioni. La Nigeria
è potenzialmente un Paese ricchissimo: è il principale produttore africano di petrolio,
dal quale trae circa il 90 per cento delle sue entrate pubbliche, ma il 70 per cento
della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. E’ chiaro che la presenza
di questa ricchezza e la presenza di questa povertà all’interno dello stesso Stato
creano delle forti tensioni. Forti tensioni che al nord si manifestano con gli attentati
e il contrasto tra musulmani e cristiani e che al sud - soprattutto nella zona del
Delta - in tensioni tra le popolazioni locali e il governo federale per la gestione,
appunto, delle risorse petrolifere.
D. - Al momento, al potere c’è il presidente
Goodluck Jonathan, che è un cristiano: c’è anche l’intenzione, quindi, di far cadere
questo governo da parte del movimento Boko Haram?
R. - Certamente c’è questo
in Boko Haram: vedono la presidenza di un cristiano come una minaccia all’identità
islamica, soprattutto degli Stati del nord della Nigeria. In realtà il programma di
Boko Haram è però molto più complesso e mira alla creazione di uno Stato musulmano
con l’applicazione integrale e letterale della Sharia, cioè della legge islamica,
e il rifiuto di tutto ciò che proviene dall’Occidente. In questo si collegano a tutto
quel filone di fondamentalismo islamico che è rappresentato in Afghanistan, per esempio,
dai Talebani; in Somalia, dagli Shebab, e in genere in tutto il resto del mondo dal
network fondamentalista di al Qaeda. Non è un caso che molti esponenti di Boko Haram
si siano formati in Somalia nei campi di addestramento degli Shebab.
D. -
Tanto più deve preoccupare la notizia di ieri di uno sconfinamento di combattenti
di Boko Haram in Mali, nella città di Gao, che sappiamo essere già in mano ai secessionisti
Tuareg e ad altri gruppi ribelli?
R. - Certamente ci sono dei legami tra Boko
Haram e i miliziani di al Qaeda per il Maghreb islamico, che è la succursale di al
Qaeda in tutta la zona saheliana e sahariana. I Paesi di quella zona - parlo della
Mauritania, del Mali, del Niger, di parte del Ciad - sono molto preoccupati per la
presenza di cellule di al Qaeda per il Maghreb islamico e da tempo hanno messo in
atto azioni, in certi casi anche comuni, per contrastare il dilagare di questo fenomeno
del fondamentalismo islamico.
D. - Di fronte a questo scenario grave per le
ripercussioni politiche e assolutamente tragico per le morti che ha già procurato,
la Comunità internazionale che cosa fa? Sta a guardare?
R. - No, non sta a
guardare. Da tempo, oramai, gli Stati Uniti mantengono una forte presenza militare
in quell’area. Non è un caso che, per esempio, le Forze armate del Mali siano state
formate da professionisti americani e la stessa Francia mantiene una presenza in tutti
gli Stati che erano sue colonie e quindi in Mali, in Mauritania e nello stesso Ciad.
Questa è una risposta fondamentalmente militare; dal punto di vista delle organizzazioni
internazionali, invece, c’è ancora - probabilmente - una sottovalutazione del problema,
invece abbastanza grave.
D. - Una situazione, quindi, da monitorare con grande
attenzione?
R. - Certamente. Teniamo presente che, però, nella presenza di
queste Forze militari nel Sahara e nel Sahel si mescolano anche degli interessi economici
molto forti, soprattutto nel nord del Mali dove adesso si è combattuto, ma anche in
Niger c’è la presenza di grandi giacimenti sia di petrolio che di uranio. (mg)