Siria: 75 morti secondo i comitati d’opposizione. Spari in territorio turco uccisi
due profughi
È di 75 morti il bilancio delle violenze di oggi in Siria, fornito dai comitati d’opposizione
citati dalla Cnn; 35 delle vittime, per lo più donne e bambini, nel bombardamento
della città di al-Latmana. Il conteggio arriva dopo il passo indietro del governo
di Assad circa la disponibilità ad applicare il piano di pace dell’inviato dell’Onu,
Kofi Annan, che avrebbe dovuto prendere il via domani. Le autorità di Damasco hanno,
infatti, annunciato che non ritireranno le forze dispiegate nelle città prima di ottenere
garanzie scritte dall'opposizione. Intanto sale la tensione fra Siria e Turchia. Per
la prima volta, le forze di sicurezza siriane hanno sparato in territorio turco, uccidendo
due profughi che cercavano di passare il confine. Immediata la reazione di Ankara
che ha convocato l'incaricato d'affari siriano. E dal governo di Beirut è arrivata
la condanna dell’uccisione, oggi, di un cameraman libanese, in una zona di confine
ma in territorio libanese. Ma a poche ore dal suo avvio, che cosa manca al piano di
pace dell’inviato dell’Onu, Kofi Annan, per andare a buon fine? Giancarlo La Vella
lo ha chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali
all’Università di Firenze:
R. - Quello
che manca è un documento Onu che sia veramente cogente. E’ stato approvato dal Consiglio
di sicurezza dell’Onu un documento che pare essere una risoluzione ma non lo è, anche
perché una risoluzione contro il regime di Assad richiederebbe il consenso di Russia
e Cina che non hanno nessuna intenzione di darlo. Quella che è passata è una dichiarazione
presidenziale che è stata approvata da tutti i membri del Consiglio, quindi anche
Cina e Russia, e in questa dichiarazione si dicono cose importanti: che il regime
di Assad deve arrivare a trattare con l’opposizione, che deve smettere di combattere,
che deve in pratica adottare i punti del piano che sono stati esposti da Kofi Annan
ad Assad direttamente, che hanno avuto l’assenso formale della Siria e anche soprattutto
quello della Lega araba. La dichiarazione presidenziale è un passo politico ma non
è un passo cogente.
D. – Intanto Damasco continua l’attività repressiva, a
poche ore dall’avvio del piano: è pensabile che voglia arrivare con una posizione
di forza?
R. - Questo sì, come è assolutamente pensabile che una volta raggiunta
la scadenza data, quando dovrebbero cessare di uccidere, non lo faranno davvero. Troveranno
altri modi più o meno visibili. Il problema del regime di Assad è che non è un regime
personale di un uomo e di una famiglia ma di tutto un sistema di potere che sa bene
che non solo non può abbandonare il potere ma che ci sarebbero poi vendette e contrappassi
talmente gravi da far decidere a loro di combattere fino alla fine.
D. – Come
quella che noi chiamiamo opposizione - e che immagino però bbia varie anime - si pone
di fronte al piano di mediazione proposto da Kofi Annan?
R. – Si pone positivamente.
Il problema dell’opposizione siriana è che è un’incognita. Non solo dal punto di vista
politico non si conoscono bene i protagonisti e i capi ma soprattutto poi all’interno
della Siria deve rappresentare componenti etniche e religiose e minoranze varie che
inevitabilmente, al di là del ruolo che possono avere nell’opposizione armata ad Assad,
poi hanno richieste politiche che sono o potrebbero essere del tutto incomponibili.
Tra i soggetti che hanno espresso forti critiche verso Assad c’è anche l’imbarazzatissimo
movimento sciita Hezbollah, che privatamente ha espresso ad Assad critiche e che ora
sta cercando di smarcarsi perché teme l’isolamento. Hezbollah, che peraltro è già
abbastanza isolato, mira a rafforzare il suo potere in Libano e dunque non può permettersi
di essere isolato a causa della lunga amicizia con gli Assad. (bf)