Bene comune e corruzione, sfida sempre attuale: una riflessione del prof. Baggio
"Nella società attuale il cristianesimo ha sempre interpretato il senso della crisi,
della morte, come un passaggio verso la vita". Lo afferma il prof. Antonio Maria
Baggio, docente di Filosofia politica all'Università "Sophia" di Loppiano, in
una riflessione sulla crisi dell'uomo contemporaneo. Una riflessione resa ancora più
acuta e impellente di fronte agli ultimi episodi di corruzione – in campo politico,
come in quello sportivo – registrati negli ultimi giorni dalla cronaca italiana. Le
considerazioni del prof. Baggio al microfono di Luca Collodi:
R. – Quello
che è importante, per capire la nostra notte, è che è una notte collettiva. Non è
la crisi di un singolo: è tutta una civiltà che sembra precipitata nel buio. Dobbiamo
anche osservare che l’Europa e l’Occidente, che l’Europa stessa è l’unica società
nella quale si è sviluppata, in maniera spontanea, un’incredulità di massa, un ateismo
e un’indifferenza alla fede. La nostra notte va si vista nella sua tragicità, ma anche
come ricerca totalmente nuova – anche rispetto a ciò che avviene nelle altre culture
– di una luce che ancora non c’è stata ma che il cristianesimo annuncia. Quindi c’è
speranza, in questa notte.
D. – Sembra che l’uomo, con l’uso dei beni materiali
possa essere più al centro dell’attenzione. Paradossalmente, più amato…
R.
– Sì, è vero. Le cose, però, sono legate: il denaro è un mezzo di mediazione e con
esso otteniamo delle cose o dei servizi da altri uomini e da altre persone. Il guaio
è che il denaro viene vissuto come un assoluto. Avendo quindi paura dell’altro, e
vivendo in quest’oscurità della relazione, perché è questa la radice della crisi,
usiamo il denaro come un assoluto piuttosto che come uno strumento. Il denaro, cioè,
ci permette di entrare in rapporto con gli altri senza guardarli veramente in faccia,
senza riconoscere la loro libertà, ma comprando da loro delle cose o dei servizi.
Se io ho denaro, comando l’altro. Alla fine, quindi, il denaro serve proprio a questo:
a navigare nel buio, perché non si ha il coraggio di fare la vera svolta che porta
alla Risurrezione e che è guardare in faccia l’altro, prenderlo sul serio e applicare
quello che poi sorge anche dall’evento della Resurrezione: ossia la comunità, l’amore
reciproco, il riconoscersi fratelli.
D. – Oggi la morte, il male, sono i “registi”
della notte in cui si trova l’uomo?
R. – Sì, direi di sì, e questo produce
anche il male stesso. Il problema è che quando si instaurano relazioni di questo tipo
– che sono falsate alla radice perché non sono aperte e non sono fraterne – si generano
proprio dei meccanismi di tipo corruttivo e discorsivo. Il nostro male, fondamentalmente,
è un male relazionale: non troviamo i significati delle cose, viviamo in una frammentazione
totale e questo, come vediamo dalla cronaca dei nostri giorni, ha un riflesso anche
nelle vicende pubbliche e politiche. Una società senza valori è una società senza
fiducia.
D. – La corruzione che sta caratterizzando la società in questo periodo
– penso alla politica, all’economia, ma anche allo sport – è la scorciatoia dell’uomo
per la felicità?
R. – Direi che è la scorciatoia presa dall’individuo. Quando
ci troviamo da soli, in posti dove c’è una competitività – quindi lo sport, ma anche
la politica dove si compete per il potere – è difficile, se si è individui isolati
e soli, far fronte alle pressioni e alle tentazioni del potere e del denaro. La corruzione
e l’idea di accaparrarsi sempre più denaro per difendersi ed essere potenti sono segni
di isolamento. Questo va a minare la democrazia e la convivenza, perché la democrazia
si fa con le persone, con esseri umani capaci di rispettare e mettersi in relazione
con gli altri. Non si fa con gli individui egoisti che pensano soltanto a se stessi
e poi, di conseguenza, poiché deboli, diventano disponibili alla corruzione. Perciò,
oggi, ci troviamo di fronte a un bivio, ad una scelta: o impariamo a vivere davvero
come persone – e dunque a comportarci politicamente ed economicamente come fratelli,
perché è questa la radice del rapporto con gli altri – oppure perdiamo tutto. Se posso
dire, questa scelta di aver affidato a una coppia di sposi il commento della Via Crucis
è un segno molto importante che dà la Chiesa, perché sottolinea la relazione. Noi
siamo nella notte, stiamo percorrendo una Via Crucis, siamo davanti al grido di abbandono
di Gesù, però abbiamo già la chiave che viene dalla Risurrezione, ovvero l’amore reciproco.
Pensiamo soltanto a un fatto: le cose fondamentali della nostra esistenza le facciamo
tutte per una scelta di amore e di generosità, come per esempio lo sposarci o lo scegliere
gli amici. Si lavora con amore, altrimenti non si ottiene niente. E perché mai, nel
momento in cui mettiamo piede in un consiglio comunale, in un’aula parlamentare o
in uno spazio pubblico, l’amore non deve più essere la guida, anzi, non si può neppure
usare la parola “amore”? Questa è un’alienazione spaventosa. Dobbiamo arrivare a vivere
un amore sociale e un amore politico sapendolo rivestire del linguaggio appropriato,
giusto, ma dobbiamo avere questa coerenza di vivere secondo la stessa legge – quella
di Gesù crocifisso, morto ed anche risorto – in tutti gli ambiti della nostra esistenza.
(vv)