Abruzzo, a tre anni dal sisma. Mons. Molinari: politica non all’altezza, ritrovare
l'unità
Oltre 10mila persone hanno partecipato questa notte alla fiaccolata lungo le strade
dell’Aquila per ricordare i 309 morti causati dal terremoto che il 6 aprile di tre
anni fa devastò la città e altri 50 comuni abruzzesi. Un dramma tuttora aperto con
migliaia di persone che non possono rientrare nelle proprie case, ma abitano nelle
“new town” o in altre strutture. Il centro storico del capoluogo è tutto da ricostruire.
Quali sono le speranze? Luca Collodi lo ha chiesto all’arcivescovo dell’Aquila,
Giuseppe Molinari:
R. – Penso che
l’unica speranza sia quella che vive ancora nel cuore dei cristiani, perché esternamente
è cambiato poco, purtroppo. E’ cambiato poco: le nostre chiese del centro sono ancora
devastate, anche i palazzi antichi, i monumenti antichi … Basta fare una visita nel
centro storico, e ci si rende conto che è cambiato poco. Però – lo dico anche senza
sfiducia, senza scoraggiamento - io spero sempre che, superando le lentezze della
burocrazia, superando le divisioni politiche, si possa veramente arrivare a vedere
una ricostruzione che incomincia, una città che rinasce.
D. – Che cosa non
ha funzionato all’Aquila per la ricostruzione?
R. – E’ meglio non dare giudizi,
tanto è sotto gli occhi di tutti. Gli aquilani lo sanno … Forse c’è mancata soprattutto,
a noi aquilani, l’unità: l’unità nel popolo. Tra le istituzioni, tra la politica,
tra le varie amministrazioni è mancata questa unità di tutti per raggiungere l’unico
obiettivo: la ricostruzione.
D. – La politica che dovrebbe guardare al bene
comune di tutti, in questo caso ha fallito?
R. – Sì. Comunque, non è stata
all’altezza della situazione, non ha espresso tutto quello che di positivo avrebbe
potuto esprimere. Questo sì!
D. – Ricorderà questo terzo anniversario: con
quali parole parlerà al cuore e all’animo degli aquilani?
R. – Come tutti sanno,
l’anniversario coincide proprio con il Venerdì Santo. All’Aquila c’è la tradizione
di una bellissima processione del Cristo morto. In quell’occasione dirò qualcosa,
ma qualcosa che sia un invito alla speranza, un invito a trovare proprio nella nostra
fede cristiana la risorsa, il motivo per andare avanti, per non scoraggiarsi.
D.
– Cristo è morto all’Aquila?
R. – Cristo è morto per tutti: è morto duemila
anni fa, continua a morire ogni volta che gli uomini non lo accolgono, ogni volta
che i cristiani tradiscono il suo messaggio. Però, Cristo è risorto e vivo e mi auguro
che risorga anche per noi aquilani, concretamente, aiutandoci a ricostruire la nostra
città, il nostro territorio, il nostro futuro. (gf)