Il Papa nella Messa Crismale: obbedienza a Dio, vera via per il rinnovamento della
Chiesa
“La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa?”: è la domanda che il Papa ha
posto nella sua omelia nella Messa Crismale da lui presieduta nella Basilica di San
Pietro in questo Giovedì Santo. Benedetto XVI si è riferito a un recente appello alla
disobbedienza lanciato da un gruppo di sacerdoti di un Paese europeo.
Sacerdoti
consacrati per sempre a Dio “In questa Santa Messa – ha detto il Papa - i nostri
pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e
la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati
nella verità” (Gv 17,19), come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per
noi al Padre. Egli stesso è la Verità. Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre
a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini.
Ma siamo consacrati anche nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano
a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta
davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui. “Volete unirvi più intimamente al Signore
Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse,
confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?”
Così, dopo questa omelia, interrogherò singolarmente ciascuno di voi e anche me stesso.
Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi,
una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi,
una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione.
È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta
a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?,
bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente:
come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve;
non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della
Chiesa di oggi?”.
Appello alla disobbedienza di un gruppo di sacerdoti “Di
recente – ha proseguito - un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato
un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come
possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni
definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’Ordinazione delle donne,
in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile
che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore.
La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di
tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa;
di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi
drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma
la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione
a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto
la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri
e le nostre idee?”.
Cristo ha risvegliato la vera obbedienza contro l'arbitrio
dell'uomo “Ma non semplifichiamo troppo il problema – ha setto il Papa - Cristo
non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola
e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla
vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la
vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio,
con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio,
per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine:
Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla
Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa
è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica
la strada”.
Obbedienza, non fonte di immobilismo: lo dimostrano i movimenti Quindi
il Papa aggiunge: “Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni
viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda
alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento,
che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi
tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace
dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono
questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono
l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica
della speranza e la forza dell’amore”.
I Santi indicano come funziona il
rinnovamento “Cari amici – prosegue Benedetto XVI - resta chiaro che la conformazione
a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento. Ma forse la figura di Cristo
ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure
da Lui. Il Signore lo sa. Per questo ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza
più accessibili e più vicini a noi. Proprio per questa ragione, Paolo senza timidezza
ha detto alle sue comunità: imitate me, ma io appartengo a Cristo. Egli era per i
suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere
e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state
continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti
possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci
la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i
grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola,
Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine,
fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio
nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona
il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire
che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie
nell’umile segno del granello di senape”.
Analfabetismo religioso in una
società "così intelligente" Il Papa tocca quindi “due parole-chiave della rinnovazione
delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della
Chiesa e della nostra vita personale. C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo
– come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci
spetta il ministero dell’insegnamento (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione
dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci
se stesso. Nell’incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi
Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso
che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali
della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter
vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo
in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il
nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola. L’Anno della Fede, il ricordo
dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione
di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo
naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo
e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo facciamo tutti l’esperienza di aver bisogno
di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro
cuore. Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente:
i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti
essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla
Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che
Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino
in fondo”.
Non annunciamo noi stessi, né teorie e opinioni private “Ogni
nostro annuncio – osserva - deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina
non è mia” (Gv 7,16). Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della
Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che
io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato
ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant’Agostino: Che
cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non
appartengo a me stesso e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là
di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo
e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo
diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo
plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non
reclamizzo me stesso, ma dono me stesso. Il Curato d’Ars non era un dotto, un intellettuale,
lo sappiamo. Ma con il suo annuncio ha toccato i cuori della gente, perché egli stesso
era stato toccato nel cuore”.
Non ci preoccupiamo solo del corpo, ma anche
delle necessità dell’anima dell’uomo “L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora
accennare – rileva il Papa - si chiama zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione
fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima
è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un
dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è un’unità,
destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo
più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua
vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo
dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei
malati, dei senza-tetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio
anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione
del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa
la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della
salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo
con zelo. Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente
il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote
non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante
il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo
il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo
servire la sua verità e il suo amore. Amen”.