Il Papa alla Messa Crismale: obbedendo a Dio, possiamo veramente rinnovare la Chiesa
Obbedendo a Cristo possiamo davvero rinnovare la Chiesa: è quanto sottolineato da
Benedetto XVI nella Messa del Crisma, celebrata in San Pietro nel Giovedì Santo. Il
Papa ha ribadito che i sacerdoti sono chiamati a conformarsi al Signore, rinunciando
alla propria autorealizzazione. Dal Papa anche un incoraggiamento ai fedeli a contrastare
l’analfabetismo religioso nella nostra società, anche grazie all’opportunità dell’Anno
della Fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Siamo davvero
uomini “che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo”? E’ l’interrogativo
che Benedetto XVI rivolge a sé e ai sacerdoti nella Messa del Crisma. Nella celebrazione
in cui, assieme alla benedizione degli Olii sacri, vengono rinnovate le promesse sacerdotali,
il Papa chiede a quanti sono consacrati a Dio di rinunciare alle proprie ambizioni
per conformarsi intimamente a Cristo, che “non domina, ma serve, non prende ma dà”:
“E’
richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente
un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto
sbandierata autorealizzazione. E’ richiesto che noi, che io non rivendichi la mia
vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo”.
E’
vero, riconosce il Papa, che ci si domanda come questa conformazione “deve realizzarsi
nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi”. C’è chi, come un gruppo
di sacerdoti di un Paese europeo - rammenta - ha pubblicato un appello alla disobbedienza,
che “dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero” come per esempio
sull’ordinazione delle donne:
“Ma la disobbedienza è veramente una via?
Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto
di un vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa,
a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?”
Chi
propone questa disobbedienza, osserva, si dice convinto che “si debba affrontare la
lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove - per riportare
la Chiesa all’altezza dell’oggi”. Certo, soggiunge il Papa, Cristo “ha corretto le
tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio”. Ma,
in realtà, avverte, Gesù lo ha fatto per “risvegliare nuovamente l’obbedienza alla
vera volontà di Dio”. A Lui “stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio
dell’uomo”:
“Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza
e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma
la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la
sua divinità e ci indica la strada”.
I sacerdoti sono allora chiamati non
ad annunciare “teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa” di cui sono servitori.
E a quanti ritengono che “con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo,
l’irrigidimento della tradizione”, il Papa risponde indicando l’esperienza dei movimenti
sorti nell’epoca post-conciliare. Un rinnovamento che “ha spesso assunto forme inattese”
e che “rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della Santa Chiesa, la presenza
e l’azione efficace dello Spirito Santo”:
“E se guardiamo alle persone,
dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche
che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la
radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore”.
Forse,
soggiunge, “la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande”.
Ma il Signore lo sa e “per questo ha provveduto a ‘traduzioni’ in ordini di grandezza
più accessibili e più vicini a noi”. E ricorda così la schiera di sacerdoti santi
“che ci precedono ad indicarci la strada”, da Policarpo ad Agostino, da Giovanni Maria
Vianney a Karol Wojtyla:
“I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento
e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda
ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno
del granello di senape”.
Nell’ultima parte dell’omelia, il Papa si sofferma
sull’analfabetismo religioso che si “diffonde nella nostra società così intelligente”.
Gli elementi fondamentali della fede che erano in passato conosciuti anche da un bambino,
sono ora “sempre meno noti”:
“Ma per poter vivere ed amare la nostra fede,
per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo
sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere
toccati dalla sua parola”.
Ecco allora che l’Anno della Fede può “essere
un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia”.
Il Papa pone infine l’attenzione sull’anima, “un’espressione fuori moda - afferma
con amarezza – che oggi quasi non viene più usata”. In alcuni ambienti, ammonisce,
“è considerata addirittura una parola proibita”. Certamente, precisa, dobbiamo occuparci
delle necessità fisiche, ma non possiamo preoccuparci soltanto del corpo. Bisogna
curarsi “della salvezza degli uomini in corpo e anima”. Quindi, l’esortazione ai sacerdoti
a non guardare alla propria missione come fosse un semplice lavoro:
“Le
persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro
orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non
appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il
quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo”.