Arcidiocesi di Milano: riforma sull'acquisizione della cittadinanza italiana
Si deve promuovere una riforma delle norme sull’acquisizione della cittadinanza italiana,
riconoscendola ai minori stranieri nati in Italia, senza dover attendere la maggiore
età. E l’appello che la Giunta del Consiglio pastorale diocesano dell’arcidiocesi
di Milano rivolge ai politici, in un documento stilato alla fine di un lavoro del
giugno scorso sul tema “I migranti: per una pastorale e una cultura del viver insieme”.
Basta affrontare le sfide dell’immigrazione solo sul piano degli interventi caritativi
ed emergenziali, spiega il Consiglio, che chiede di muoversi sul piano educativo,
culturale e pastorale per porre le condizioni del vivere insieme. Francesca Sabatinelli
ha intervistato Alberto Fedeli, segretario del Consiglio pastorale diocesano
dell’arcidiocesi ambrosiana:
R. – Non trattiamo
più la questione immigrati con interventi caritativi ed emergenziali, ma cerchiamo
di porre le condizioni, come comunità cristiana, di quel vivere insieme, di quella
convivenza che è il principale obiettivo da perseguire davanti all’attuale fenomeno
migratorio. Questo impegno rischia di essere un po’ astratto e forse inutile, se il
contesto sociale e giuridico porta a una non effettiva accoglienza di chi è già presente
in Italia: nel nostro caso, l’attenzione sui minori stranieri nati in Italia. E qui,
allora, abbiamo ritenuto opportuno anche rivolgere un appello ai parlamentari, al
legislatore, perché si affronti anche questa questione. Senza indicare noi soluzioni
legislative: lo “ius soli” piuttosto che altri criteri. Senz’altro, non l’attesa della
maggiore età per chi è nato in Italia, con la forte integrazione scolastica che poi
i nostri ragazzi hanno, l’integrazione con le nostre famiglie italiane. Ci sono situazioni
di oggettiva ingiustizia che non si capiscono perché debbano essere perpetrate per
una mancanza di cittadinanza non riconosciuta fino alla maggiore età.
D. –
Negli ultimi tempi, sono state consegnate moltissime firme di italiani pronti a chiedere
che si risolvesse la questione della cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia.
Sembra che su questo tema i cittadini siano molto più pronti e molto più predisposti
rispetto alla politica…
R. – Io direi di sì. Perché? Al di là delle strumentalizzazioni
politiche, di tante parole spese per creare percezione di pericolo di fronte allo
straniero, c’è la realtà concreta delle famiglie che si vedono tranquillamente frequentarsi.
Tra l’altro, i minori sono quell’elemento che crea maggiore integrazione tra le famiglie:
sono spesso i piccoli che sanno parlare la nostra lingua e purtroppo dimenticano la
loro lingua d’origine e fanno da mediazione culturale con la propria famiglia. Sono
un elemento di forte integrazione, i nostri minori, e in molti sono presenti ormai
nei nostri oratori lombardi, dove accogliamo anche stranieri di altre religioni. Nella
chiarezza della proposta educativa che si fa, laddove emerge l’umano condiviso, soprattutto
a livello di famiglia, le preoccupazioni e le differenze possono essere vissute come
ricchezza. Se si passa, purtroppo, alla politica e soprattutto alla lettura che ne
fanno i mass media – sempre in termini emergenziali, di ordine pubblico o altro –
allora si rischia di riportare una percezione di paura e di diffonderla. E questo
non è vero. Noi a Milano stiamo per ospitare l’Incontro mondiale delle famiglie, quindi
con tante famiglie straniere. Vogliamo non prendere posizione anche su questa questione:
sarebbe paradossale.
D. – Voi avete preso in esame anche quelli che potrebbero
essere gli eventuali rischi e le eventuali ricadute patite dai minori stranieri nella
relazione con i loro coetanei italiani, cioè con persone che hanno fatto lo stesso
percorso di vita ma che, più avanti, diventano quasi degli antagonisti, di fronte
a difficoltà tangibili…
R. – Vedere situazioni di ineguaglianza per quanto
riguarda le condizioni di partenza, un conflitto rischia di crearlo: questo è inevitabile.
Perché ho meno diritti e meno possibilità, rispetto all’italiano, io che ho fatto
il tuo stesso percorso scolastico formativo e culturale? E’ chiaro che bisogna cercare
di superare questo, perché il conflitto potrebbe anche deflagrare e diventare anche
effettivo. Anche se credo che, come società italiana, abbiamo degli anticorpi per
evitarlo. Ma attenzione: se si acuisce, rischiamo situazioni di mancanza di coesione
sociale. (gf)