Padre Cantalamessa: il credente non rinuncia alla propria razionalità ma la trascende
Benedetto XVI ha assistito alla quarta ed ultima predica di Quaresima di padre Raniero
Cantalamessa. Nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, in Vaticano,
il predicatore della Casa Pontificia ha parlato della via alla conoscenza di Dio tracciata
da Gregorio di Nissa, Padre della Chiesa Orientale vissuto nel IV secolo. Per incontrare
Dio, ha spiegato il religioso cappuccino ricordando l’insegnamento del Nisseno, bisogna
oltrepassare i confini della ragione. Il servizio di Tiziana Campisi:
“Chi si accosta
a Dio deve credere che Egli è”: è la Sacra Scrittura, nella Lettera agli Ebrei, ad
indicare in che modo avvicinarsi a Dio, ma è merito di Gregorio di Nissa l’aver spiegato
che “la vera conoscenza e la visione di Dio consistono ‘nel vedere che Egli è invisibile’.
Nella sua ultima predica di Quaresima, ricca di spunti di riflessione, padre Raniero
Cantalamessa, attingendo agli scritti del Nisseno, ha ricordato che…
“…
il passaggio dall’oscurità alla luce è la prima separazione dalle idee false ed erronee
su Dio; l’intelligenza più attenta alle cose nascoste, conducendo l’anima attraverso
le cose visibili alla realtà invisibile. Questa è come una nube che oscura tutto il
sensibile e abitua l’anima alla contemplazione di quello che è nascosto; infine l’anima
che ha camminato per queste vie verso le cose celesti, avendo lasciato le cose terrestri
per quanto è possibile alla natura umana, penetra nel santuario della conoscenza divina
(questa famosa theognosia) circondata da ogni parte dalla tenebra divina”.
Quindi
il predicatore della Casa Pontificia ha spiegato che nella ricerca di Dio non è esclusa
la ragione, “che non si è costretti a scegliere tra il seguire la fede e il seguire
l’intelligenza”:
“Credendo, la persona umana non rinuncia alla propria razionalità,
ma la trascende, che è una cosa totalmente diversa. Il credente dà fondo, per così
dire, alle risorse della propria ragione, le permette di porre il suo atto più nobile,
perché, come afferma Pascal, ‘l'atto supremo della ragione sta nel riconoscere che
c'è un'infinità di cose che la sorpassano’”.
E’ questa la “dotta ignoranza”:
il comprendere che non si può capire. E’ questa l’inconoscibilità di Dio, che tuttavia
non umilia:
“Tale inconoscibilità è fatta per riempire l'uomo di entusiasmo
e di gioia; ci dice che Dio è infinitamente più grande, più bello, più buono, di quanto
riusciremo mai a pensare, e che tutto questo lo è per noi, perché la nostra gioia
sia piena; perché non ci sfiori neppure il pensiero che potremmo annoiarci a passare
l'eternità vicino a lui”.
Ma non è lo smarrimento ciò che avverte chi entra
nel mistero di Dio, ha aggiunto padre Cantalamessa, piuttosto, come lo ha definito
Gregorio, il “sentimento di una presenza”, oggi assimilabile al cosiddetto “sentimento
del numinoso”, cioè il senso, misto di terrore e di attrazione, che coglie improvvisamente
l’essere umano di fronte al manifestarsi del soprannaturale o del soprarazionale.
Una presenza sempre più luminosa man mano che ci si purifica dal peccato e dalle passioni.
E se il cammino dell’intelletto e dell’anima verso Dio sembra un difficile percorso,
non bisogna dimenticare che “sul monte Calvario l’uomo Dio, Gesù di Nazareth, ha unito
per sempre l’uomo a Dio”.