Il Decreto "Unitatis Redintegratio" al terzo incontro di "Rileggere il Concilio"
Si è svolto presso la Pontificia Università Lateranense il terzo incontro del ciclo
“Rileggere il Concilio”. Tema dell’appuntamento è stato il Decreto sull’ecumenismo
Unitatis Redintegratio. Sulle radici storiche e spirituali del documento, Davide
Maggiore ha intervistato il prof. Lubomir Zak, vicedecano della
facoltà di Teologia della Lateranense:
R. – Nelle radici
di questo documento stanno sguardi profetici di molti pionieri dell’ecumenismo cattolico.
Voglio citare Max Josef Metzger, fondatore della Fraternità interconfessionale “Una
Sancta”, Yves Congar e il vescovo tedesco Jaeger, il quale con il vescovo evangelico
Staehlin, nel 1946, ha già organizzato gruppi di confronto ecumenico. Poi ovviamente,
la prassi della preghiera, la preghiera per l’unità dei cristiani – la quale è stata
accettata anche da numerosi gruppi cattolici – il Decreto conciliare Unitatis Redintegratio,
là dove si dice che la Chiesa riconosce che è stato lo Spirito all’opera, è anche
una sfida, come per dire: dobbiamo essere sempre attenti a riconoscere questo soffio
dello Spirito nella storia.
D. – “Tutti voi siete uno in Cristo Gesù”, dice
la Lettera ai Galati e ripete il decreto Unitatis Redintegratio. Quale senso
assume questa citazione biblica nell’insieme del Decreto?
R. – Questa apertura
che vede già tutti uniti, ha portato i Padri del Concilio a dichiarare che, per quanto
riguarda l’ordine della salvezza, la questione per cui un non cattolico si può salvare
o no – penso ai non cattolici di altre denominazioni cristiane – la risposta è univoca:
certamente. Anche le altre Chiese, comunità ecclesiali sono strumenti di salvezza.
Quindi, da questo punto di vista, il Decreto fa un passo in avanti, però lo sguardo
sulle realtà ecclesiali non cattoliche è differenziato. La spinta del Decreto è quella
di far emergere sempre di più visibilmente quell’unità la quale – nell’ordine della
salvezza – è già data.
D. – Senza dubbio, l’ecumenismo può essere definito
uno dei frutti più fecondi del Concilio…
R. – Con l’attuazione del Vaticano
II, iniziano i dialoghi bilaterali tra la Chiesa cattolica romana e le altre Chiese
o comunità ecclesiali: si sta diramando una rete di dialogo molto fitta, che continua
fino ad ora e che ha certamente portato alla reciproca conoscenza. Ha aiutato anche
a chiarire alcuni problemi: se non li ha risolti, per lo meno il dialogo è riuscito
a tematizzarli e focalizzarli. Si sono creati così gruppi di lavoro per illuminare
ancora di più quelle differenze che in questo momento sono effettivamente per noi
molto dolorose. Ovviamente, però – come è stato anche detto nell’Unitatis Redintegratio
– l’ecumenismo è un movimento. Noi non sappiamo esattamente quali saranno le tappe
future: possiamo soltanto sperare che saremo in grado di riconoscere quali sono i
passi giusti, per essere attivi protagonisti di questo movimento, che è davvero connesso
con la questione della credibilità della nostra testimonianza cristiana.
D.
– Rivolgendosi al movimento ecumenico dei fedeli, il decreto Unitatis Redintegratio
fa un’esortazione a tutti i cattolici, perché si impegnino al fine dell’unità. Come
si può essere ancora oggi, personalmente, strumenti di ecumenismo?
R. – Prima
di tutto, è una questione di mentalità, che ha a che fare anche con gli atteggiamenti.
Lo sguardo con il quale io guardo l’altro: quindi, è una educazione al dialogo. Questo
penso che lo possiamo vivere tutti. (cp)