2012-03-30 15:00:57

Il Decreto "Unitatis Redintegratio" al terzo incontro di "Rileggere il Concilio"


Si è svolto presso la Pontificia Università Lateranense il terzo incontro del ciclo “Rileggere il Concilio”. Tema dell’appuntamento è stato il Decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio. Sulle radici storiche e spirituali del documento, Davide Maggiore ha intervistato il prof. Lubomir Zak, vicedecano della facoltà di Teologia della Lateranense:RealAudioMP3

R. – Nelle radici di questo documento stanno sguardi profetici di molti pionieri dell’ecumenismo cattolico. Voglio citare Max Josef Metzger, fondatore della Fraternità interconfessionale “Una Sancta”, Yves Congar e il vescovo tedesco Jaeger, il quale con il vescovo evangelico Staehlin, nel 1946, ha già organizzato gruppi di confronto ecumenico. Poi ovviamente, la prassi della preghiera, la preghiera per l’unità dei cristiani – la quale è stata accettata anche da numerosi gruppi cattolici – il Decreto conciliare Unitatis Redintegratio, là dove si dice che la Chiesa riconosce che è stato lo Spirito all’opera, è anche una sfida, come per dire: dobbiamo essere sempre attenti a riconoscere questo soffio dello Spirito nella storia.

D. – “Tutti voi siete uno in Cristo Gesù”, dice la Lettera ai Galati e ripete il decreto Unitatis Redintegratio. Quale senso assume questa citazione biblica nell’insieme del Decreto?

R. – Questa apertura che vede già tutti uniti, ha portato i Padri del Concilio a dichiarare che, per quanto riguarda l’ordine della salvezza, la questione per cui un non cattolico si può salvare o no – penso ai non cattolici di altre denominazioni cristiane – la risposta è univoca: certamente. Anche le altre Chiese, comunità ecclesiali sono strumenti di salvezza. Quindi, da questo punto di vista, il Decreto fa un passo in avanti, però lo sguardo sulle realtà ecclesiali non cattoliche è differenziato. La spinta del Decreto è quella di far emergere sempre di più visibilmente quell’unità la quale – nell’ordine della salvezza – è già data.

D. – Senza dubbio, l’ecumenismo può essere definito uno dei frutti più fecondi del Concilio…

R. – Con l’attuazione del Vaticano II, iniziano i dialoghi bilaterali tra la Chiesa cattolica romana e le altre Chiese o comunità ecclesiali: si sta diramando una rete di dialogo molto fitta, che continua fino ad ora e che ha certamente portato alla reciproca conoscenza. Ha aiutato anche a chiarire alcuni problemi: se non li ha risolti, per lo meno il dialogo è riuscito a tematizzarli e focalizzarli. Si sono creati così gruppi di lavoro per illuminare ancora di più quelle differenze che in questo momento sono effettivamente per noi molto dolorose. Ovviamente, però – come è stato anche detto nell’Unitatis Redintegratio – l’ecumenismo è un movimento. Noi non sappiamo esattamente quali saranno le tappe future: possiamo soltanto sperare che saremo in grado di riconoscere quali sono i passi giusti, per essere attivi protagonisti di questo movimento, che è davvero connesso con la questione della credibilità della nostra testimonianza cristiana.

D. – Rivolgendosi al movimento ecumenico dei fedeli, il decreto Unitatis Redintegratio fa un’esortazione a tutti i cattolici, perché si impegnino al fine dell’unità. Come si può essere ancora oggi, personalmente, strumenti di ecumenismo?

R. – Prima di tutto, è una questione di mentalità, che ha a che fare anche con gli atteggiamenti. Lo sguardo con il quale io guardo l’altro: quindi, è una educazione al dialogo. Questo penso che lo possiamo vivere tutti. (cp)







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