Cortile dei Gentili a Palermo, uniti contro la mafia. Interviste a Pietro Grasso e
mons. Cuttitta
Dopo la conferenza introduttiva, tenuta ieri sera nel Duomo di Monreale dal cardinale
Gianfranco Ravasi, il “Cortile dei Gentili” palermitano - centrato sulla “Cultura
della legalità” - è entrato oggi nel vivo a Palazzo Steri, sede del Rettorato dell’università
cittadina, con un confronto fra filosofi, sociologi e giuristi sul tema “Diritto dei
deboli e diritto dei potenti”. Stasera la conclusione sul sagrato della Cattedrale,
con un momento di testimonianze e spettacolo, alla presenza del cardinale Paolo Romeo,
arcivescovo di Palermo. Dal capoluogo siciliano il servizio del nostro inviato, Fabio
Colagrande:
“Continuano,
purtroppo, nell’esercizio del potere pubblico, illegalità e violazioni del diritto”.
L’affermazione che apre i lavori, del rettore dell’Università di Palermo, Roberto
Lagalla, rende subito la concretezza e la bruciante attualità dei temi del Cortile
palermitano. Credenti e non credenti sono chiamati, oggi più che mai, a unire i loro
sforzi in una lotta culturale per la legalità, e non possono – come ammoniva il Beato
Giovanni Paolo II in terra siciliana, nel 1994 – “rimanere ripiegati su loro stessi”.
La discussione della prima sessione, centrata sul tema Giustizia umana e giustizia
divina, mette in evidenza le contraddizioni di una sub-cultura come quella mafiosa
che non vuole essere giudicata dall’uomo e invoca il giudizio positivo di Dio, pretendendolo
e – a volte purtroppo – ottenendolo da uomini della Chiesa, come spiega Alessandra
Dino. Un abbraccio mortale, quello tra Chiesa e mafia, che il ‘Cortile’ palermitano
stigmatizza e condanna senza appello, sottolineando la non disgiungibilità di giustizia
divina e giustizia terrena. Una sintonia, spiega il filosofo francese Remi Brague,
fondata sulla natura divina di un uomo “creato a immagine e somiglianza”. E al non
credente, incapace di fondare sul trascendente un orizzonte più ampio di giustizia,
resta l’appello del cardinal Martini – citato da Nando Dalla Chiesa – “la giustizia
umana è impossibile ma non possiamo dirlo”, perché il disfattismo, di fronte a una
sfida così cruciale, non è permesso neanche a chi non crede.
Dopo una sessione
pomeridiana, dedicata alle “Condizioni per il dialogo interreligioso” – il “Cortile”
si farà festa e incontro popolare, uscendo dall’Università per andare in piazza sul
Sagrato della Cattedrale cittadina. Qui, il cardinale Romeo, il procuratore nazionale
antimafia Pietro Grasso e i ragazzi dell’associazione anti-mafia ‘Addiopizzo’, testimonieranno
la dimensione quotidiana dell’impegno e del dialogo per la legalità. Tutte le sessioni
del “Cortile dei Gentili” palermitano si possono seguire in diretta, in modo interattivo,
sul sito www.cortiledeigentili.com.
Sul significato di questa iniziativa del
Cortile dei Gentili organizzata a Palermo, ascoltiamo la riflessione del procuratore
nazionale antimafia Pietro Grasso:
R. – Intanto
è importantissimo – secondo me – il luogo: Palermo. Palermo è sì, la sede originaria
della mafia, ma è anche la sede dell’antimafia; Palermo è stata al centro, nel 2000,
della firma, da parte di tutto il mondo, della Convenzione contro la criminalità organizzata.
E questo grande bisogno di etica, questa rivolta morale - che oggi è così importante
- è anche molto vicino alla posizione pastorale, religiosa, ecclesiale. Io penso che
questo incontro possa dare grandi frutti, soprattutto perché abbiamo bisogno di sentire
queste voci, questi consensi, per continuare nella nostra lotta, nella nostra repressione.
Purtroppo, bisogna parlarne e c’è bisogno di continuare a parlarne, sempre di più,
anche a costo di ribadire concetti già noti.
D. – La Chiesa dovrebbe impegnarsi
ulteriormente, in tutte le sue forme, sul territorio, per combattere l’illegalità?
R.
– Io, nella mia lunga esperienza professionale, ho avuto l’opportunità di interrogare
tanti mafiosi. Uno di questi, che si era deciso a collaborare, confessava qualcosa
come un centinaio di omicidi, e alla mia domanda come mai si professasse cattolico
praticante, mi rispose in maniera disarmante: “Le giuro sulla testa dei miei figli,
signor giudice, io non ho mai ucciso nessuno per un mio interesse personale”. Chiaramente,
questa non può essere considerata una giustificazione. Questo annullamento dell’uomo
mafioso, del soldato mafioso è qualcosa da psicoanalizzare, piuttosto che da giustificare.
Però, deve darci l’esatta misura di una realtà difficile in cui operare. E allora
lì la Chiesa deve far sì che il discorso del Vangelo sia portato in mezzo alla gente
e che non si possa applicare il perdono in maniera assoluta, senza nessun paletto.
E quindi, contro questa realtà noi dobbiamo reagire uniti, insieme alla Chiesa, con
magistratura, forze di polizia, istituzioni e cittadini, tutti insieme, uniti per
combattere questo fenomeno che – badiamo bene – è un fenomeno che toglie la libertà
ai cittadini, che toglie la democrazia, che è un’ingiustizia, che è un’oppressione.
Ancora oggi, tanta gente vive oppressa dal pizzo, dal racket; tanta gente è preda
di violenza, di intimidazioni …
D. – Naturalmente, non può mancare la repressione…
R.
– Assolutamente no. Quella è la base da cui partire. Anche perché dalla repressione
nasce poi spesso la collaborazione, il pentimento. Abbiamo casi di pentimento veramente
sentito, di persone che anche dopo vent’anni hanno avuto una crisi morale e hanno
capito quanto avessero sbagliato. Queste situazioni dobbiamo valorizzarle; dobbiamo
farle conoscere alla gente e far comprendere come, appunto, tutti insieme si può vincere.
Ma la Chiesa dev’essere vicina e sempre più spesso deve far sentire questa sua vicinanza.
(gf)
Partecipa all’incontro anche mons. Carmelo Cuttitta, vescovo
ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi di Palermo. Ecco il suo commento:
R. – La legalità
riguarda non solo Palermo. La ricerca e la cultura della legalità vanno costruite
esattamente in tutto il mondo, a Palermo come a Milano o in tutte le altre città.
Certo, non possiamo tacere che Palermo ha una sua storia: se è stata chiamata la capitale
della mafia, è stata chiamata anche la capitale della lotta contro la mafia. L’approccio
alla mafia fino agli anni dopo la guerra era un approccio completamente diverso. Possiamo
dire che la Chiesa ha preso coscienza in modo particolare del fenomeno mafioso come
fenomeno da osteggiare, da combattere, soprattutto come fenomeno che nulla ha a che
fare con la fede e con il Vangelo, negli anni Settanta-Ottanta, e in modo particolare
quando la Sicilia – e Palermo nello specifico – è stata colpita dalle uccisioni più
gravi: il prefetto Dalla Chiesa, i giudici Falcone e Borsellino nel ’92, e nel ’93
don Pino Puglisi.
D. - E oggi, questo incontro nel Cortile dei Gentili a Palermo
può essere un’occasione, anche, per rivalorizzare l’eredità lasciata da padre Pino
Puglisi?
R. – Senza dubbio, perché don Pino Puglisi è stato un sacerdote palermitano
che ha rifiutato con la sua vita, ed ha anche insegnato a rifiutare la cultura della
illegalità. Pensiamo alla sua parrocchia a Brancaccio e pensiamo al lavoro che lui
ha svolto nei tre anni di sua permanenza in quel territorio. La sua era una promozione
della gente, una promozione culturale ma culturale nel senso più ampio del termine,
cioè della vita stessa, della coltivazione dell’uomo. E per questa ragione lui ha
scelto proprio le fasce più giovani, i bambini, i ragazzi, sapendo perfettamente che
una personalità ormai strutturata più difficilmente riesce a cambiare. Io lo definirei
un grande educatore delle coscienze, che poi in realtà è quello che il presbitero
deve fare all’interno del popolo di Dio.
D. – Mons. Cutitta, questo Cortile
quale simbolo può rappresentare anche per il prosieguo dell’attività pastorale della
vostra arcidiocesi, la diocesi di Monreale, e un po’ di tutta la Chiesa siciliana?
R.
– Se rimane soltanto una occasione, limitata anche nel tempo, a nulla serve; se invece
riesce ad incidere in qualche modo nei ragazzi, nei bambini che in un modo o nell’altro
sono stati coinvolti, se anche riuscisse a smuovere un po’ la sonnolenza delle popolazioni
che qui vivono, e riuscisse a risvegliare il senso dell’appartenenza ad una cultura,
che è quella siciliana - che è anche religiosa e senso della legalità e della capacità
di vivere reciprocamente sullo stesso territorio con culture e religioni differenti
- questo sarà sicuramente un grande vantaggio. (gf)