2012-03-30 14:43:19

Appello del Cir all'Europa: porre fine alle tragedie di immigrati nel Mediterraneo


Sono la risposta operativa ai trafficanti di persone e alle politiche di respingimento. Si tratta di raccomandazioni politiche contenute in un Rapporto presentato dal Consiglio italiano rifugiati (Cir), per promuovere vie d’accesso alla protezione in favore di richiedenti asilo e rifugiati. L’intento del Cir è di favorire l’introduzione di misure che consentano di raggiungere l’Unione Europea in modo protetto e regolare. Proposte che possano dare una possibilità diversa a chi fugge da guerre e persecuzioni, rispetto a quella di pagare criminali o attraversare il mare rischiando la vita. Il documento verrà presentato alle istituzioni europee e, in seconda battuta, ai singoli Stati membri. Tra le priorità: ovviare, con un visto specifico, al punto che obbliga il richiedente asilo a formulare la domanda solo quando fisicamente presente nel territorio di un paese dell’Unione. Francesca Sabatinelli ha intervistato Christopher Hein, direttore del Cir:RealAudioMP3

R. - La questione è di aprire almeno un canale per un ingresso regolare e protetto di un certo numero di persone, che hanno bisogno di avere protezione in Europa e che attualmente non soltanto sono costrette a pagare i trafficanti ma anche a rischiare la vita. Sappiamo purtroppo dalle statistiche del 2011 che il 5% di chi ha lasciato la Libia per arrivare a Lampedusa, in Sicilia, o a Malta, non è mai arrivato perché è naufragato e quindi disperso in mare.

D. - Avete fatto oltre cento interviste ad addetti ai lavori per poi elaborare queste proposte. Quali sono le più importanti?

R. - Noi presentiamo un piano di misure che possono essere adottate immediatamente, quindi senza un cambio della normativa in vigore, per poi essere inserite in un percorso a lungo termine che porterà verso una normativa vincolante per gli Stati membri. In un primo momento, parliamo di un uso flessibile dell’uso dei visti di ingresso. Pensiamo che, effettivamente, la discrezionalità che oggi hanno le ambasciate nel rilasciare un visto debba essere regolata da direttive, da indicazioni date in certi momenti, in certe circostanze, circa la facoltà di rilasciare un visto per motivi di protezione. L’Italia lo ha fatto in alcuni casi – come ad esempio in Iran – la Francia lo sta facendo in questo momento in favore di persone che sono a rischio di vita e di tortura in Siria. Quindi, ci sono precedenti di questo tipo. Però sono precedenti di assoluta volontarietà, senza alcuna armonizzazione di questa prassi tra gli Stati membri, e alla fine il numero dei beneficiari è troppo modesto. Questo è il succo della questione: anticipare come opzione la possibilità di presentare una richiesta di protezione, ancor prima di essere arrivato fisicamente. Questo comincia a livello dei singoli Stati. Poi però bisogna metterlo a regime per l’Unione Europea perché i singoli Stati diranno: “Perché proprio tutti noi?” Deve essere una cosa condivisa con una solidarietà all’interno di tutti gli Stati dell’Unione.

D. – Quegli stessi Stati dell’Unione che hanno adottato, nel tempo, politiche sempre più restrittive. Forse anche a causa della grave crisi economica che c’è in questo momento, non sembra che questi Stati siano intenzionati ad ammorbidire le loro posizioni nei confronti dei rifugiati o richiedenti asilo…

R. - In 25 anni, abbiamo fatto, o è stato fatto, un grande sforzo per edificare una fortezza, praticamente un muro invisibile, all’interno dell’Unione Europea, rendendo impossibile l’entrata alla maggior parte delle persone e quindi ottenere in modo regolare un visto. È logico anche dire: “Ok, questa fortezza ormai esiste non facciamoci illusioni che venga abbattuta così”. Però, ogni fortezza ha il suo ponte di ingresso e questi ponti di ingresso vanno costruiti. Penso sia, da una parte, una questione di buon senso e, dall’altra – e lo voglio sottolineare – una questione di costi, perché tutto il denaro investito in questi meccanismi di sorveglianza, di controllo che sono stati istituiti, almeno in parte sarebbe meglio dirottarlo verso misure positive piuttosto che repressive. (bi)

Ganji Reza, giornalista e rifugiato iraniano, è in Italia da tre anni. E’ arrivato grazie a un visto turistico concessogli dall’ambasciata italiana a Teheran. Poco prima di partire, era il 2009, era stato arrestato mentre conduceva una trasmissione in diretta per una web tv vicina al candidato riformista Mousavi:RealAudioMP3

R. – (parole in persiano)...
Era una situazione molto confusa, e mi sentivo in grande pericolo, perché in continuazione mi arrivavano notizie di colleghi arrestati, torturati… Non pensavo nemmeno al mio futuro lavorativo, a cosa mi sarebbe potuto accadere: in quel momento, volevo solo salvare la mia vita. E’ sempre difficile quando poi ad un certo punto scegli di abbandonare il tuo Paese ed andare via.

D. – Lei è venuto in Italia con un visto turistico. Però, ci sono molti dei suoi colleghi che sono rimasti in Iran e che non riescono a partire …

R. – (parole in persiano)...
Praticamente ci sono poche possibilità; sostanzialmente, sono due. Una è quella di decidere di lasciare il Paese arrivando nei Paesi più vicini attraversando i confini in maniera illegale: la seconda “possibilità” è quella di restare in Iran, perché non c’è altra possibilità oppure perché si è scelto di rimanere. Spesso, però, queste persone sono state arrestate, torturate e condannate per avere svolto lavoro di giornalista e per avere informato la società di quello che stava accadendo.

D. – Proprio per la sua esperienza, lei è testimone di quanto si renda sempre più necessario che l’Europa faciliti le pratiche di ingresso per i richiedenti asilo e protezione umanitaria …

R. – (parole in persiano)...
E’ vero: mi sento un testimone, anche perché da quando mi trovo in Italia ho conosciuto tantissime persone che si sono trovate nella mia situazione eppure non hanno avuto la possibilità di uscire dal Paese con un visto di protezione, ma hanno dovuto intraprendere altre strade, molto più pericolose e sostanzialmente non legali. Anche loro avrebbero dovuto avere la possibilità che ho avuto io, in quel momento. Penso che se una persona, nel momento in cui si sente in pericolo, riesce ad uscire dal Paese in maniera legale, senza dover uscire illegalmente, avrà in futuro anche maggiore possibilità di tornare nel proprio Paese, magari quando la situazione è meno pericolosa. Invece, chi esce illegalmente rimane segnato. E questo sarebbe un bene anche per l’Europa stessa: se i rifugiati, i richiedenti asilo politico, potessero risolvere il problema, un giorno, e tornare nel proprio Paese a continuare la loro vita, questo sarebbe un bene anche per la comunità europea. (gf)







All the contents on this site are copyrighted ©.