Mons. Martinelli: i cristiani in Libia sono artefici di riconciliazione
“La presenza dei cristiani sta aiutando il popolo della Libia a ricuperare il senso
della vita”, favorendo la riconciliazione e testimoniando, “alla popolazione martoriata
da odi e vendette, la bellezza del perdono e il desiderio di guardare avanti”. Lo
sottolinea, all’agenzia AsiaNews, mons.Giovanni Innocenzo Martinelli,
vicario apostolico di Tripoli. Nel Paese martoriato da oltre 40 anni di regime di
Gheddafi, e da mesi di guerre e lotte tribali intestine, i combattimenti tra tribù
rivali a Sebha, nel sud, continuano a causare numerose vittime. Sul ruolo dei cristiani
in Libia, ascoltiamo proprio mons. Martinelli, raggiunto telefonicamente a Tripoli
da Giada Aquilino:
R. – Vedo che
la comunità cristiana è impegnata soprattutto nei diversi campi della vita sociale
del Paese, a partire dagli ospedali, dove ci sono tante donne filippine che prestano
il loro servizio con molta dedizione. Parlo soprattutto di questo gruppo filippino,
perché ci sono anche altri gruppi – soprattutto africani subsahariani – che sono presenti
in diverse parti del Paese, al di là dei conflitti. Nonostante le tensioni, loro forniscono
un’assistenza importante. Quindi la Chiesa, attraverso questa responsabilità di servizio
e di testimonianza, dà proprio l’immagine di una volontà di portare avanti la pace,
nonostante tante sfide esterne.
D. – Quindi è una comunità variegata quella
in Libia…
R. – Certo, una comunità internazionale, con una fisionomia afroasiatica.
Ci sono tanti africani, tanti asiatici – soprattutto filippini, indiani – che lavorano
nei diversi settori della società. Quindi un impegno veramente grande. Buona parte
di queste persone è ormai ritornata al proprio posto di lavoro, perché con la guerra
molti erano partiti. E poi c’è la comunità locale, cioè i libici, musulmani: loro
sono oggetto di questo servizio della comunità cristiana, soprattutto negli ospedali
e nelle case di cura.
D. – In che modo la comunità cristiana si prepara alla
Pasqua?
R. – Chiaramente, è una preparazione propria del cristiano. Diciamo
che è anche un seme di speranza: la Pasqua vuole vincere le nostre paure e le parole
di Gesù, “non temere”, sono quelle che risuonano con coraggio attraverso il mistero
della Croce: vogliono essere una vittoria sul male, sull’odio, sulla guerra, su tutto
ciò che in qualche modo ha sconfinato nei mesi scorsi verso un odio tribale. Adesso
si sta ricomponendo, noi vediamo alla luce della Pasqua, la volontà e la voglia del
popolo libico, che è appunto musulmano, di ricominciare.
D. – La diocesi di
Tripoli sta preparando al battesimo otto migranti dell’Africa subsahariana…
R.
– Sì. Ce ne sono anche altri, però abbiamo deciso di battezzarne qualcuno nel periodo
pasquale. Consideriamo importante che vi sia una preparazione accurata per questi
neocatecumeni. Quindi è una gioia poterli preparare, è una gioia pensare che altri
cristiani hanno voglia di ricevere il battesimo.
D. – Qual è il ruolo dei
cristiani riguardo al dialogo tra le varie fazioni libiche, dopo oltre 40 anni di
regime di Gheddafi e mesi e mesi di guerra?
R. – E’ quello della testimonianza
della normalità, con generosità, senza badare al colore o al partito. E’ realmente
una testimonianza al di sopra delle parti, proprio con il desiderio di riconciliare
un po’ gli estremi.
D. – Come appare la situazione sul terreno oggi in Libia?
R.
– Positiva, anche se ci sono chiaramente dei conflitti. Chi viene può tranquillamente
uscire, la vita nel Paese e in città è abbastanza normale. Chiaramente, ci sono per
i libici l’importanza e l’urgenza di avere il necessario, soprattutto in campo sanitario
per la cura dei tanti feriti. Però, vedo che c’è tanta buona volontà da parte dei
Paesi esteri, dell’Europa, per affrontare tali urgenze. Inoltre, ci sono altre emergenze,
come quelle degli immigrati subsahariani che arrivano in Libia in cerca di lavoro,
ma anche quelle dei migranti interni. C’è una zona tra Misurata e Sirte, quella di
Tauarga, che è terreno di guerra, in cui la cittadinanza è stata di fatto trasferita
a Tripoli, in due campi di rifugiati. Purtroppo, all’interno del Paese ci sono, dunque,
tante piccole situazioni difficili, tutte da sanare. (cp)