2012-03-29 12:35:06

Mons. Martinelli: i cristiani in Libia sono artefici di riconciliazione


“La presenza dei cristiani sta aiutando il popolo della Libia a ricuperare il senso della vita”, favorendo la riconciliazione e testimoniando, “alla popolazione martoriata da odi e vendette, la bellezza del perdono e il desiderio di guardare avanti”. Lo sottolinea, all’agenzia AsiaNews, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli. Nel Paese martoriato da oltre 40 anni di regime di Gheddafi, e da mesi di guerre e lotte tribali intestine, i combattimenti tra tribù rivali a Sebha, nel sud, continuano a causare numerose vittime. Sul ruolo dei cristiani in Libia, ascoltiamo proprio mons. Martinelli, raggiunto telefonicamente a Tripoli da Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. – Vedo che la comunità cristiana è impegnata soprattutto nei diversi campi della vita sociale del Paese, a partire dagli ospedali, dove ci sono tante donne filippine che prestano il loro servizio con molta dedizione. Parlo soprattutto di questo gruppo filippino, perché ci sono anche altri gruppi – soprattutto africani subsahariani – che sono presenti in diverse parti del Paese, al di là dei conflitti. Nonostante le tensioni, loro forniscono un’assistenza importante. Quindi la Chiesa, attraverso questa responsabilità di servizio e di testimonianza, dà proprio l’immagine di una volontà di portare avanti la pace, nonostante tante sfide esterne.

D. – Quindi è una comunità variegata quella in Libia…

R. – Certo, una comunità internazionale, con una fisionomia afroasiatica. Ci sono tanti africani, tanti asiatici – soprattutto filippini, indiani – che lavorano nei diversi settori della società. Quindi un impegno veramente grande. Buona parte di queste persone è ormai ritornata al proprio posto di lavoro, perché con la guerra molti erano partiti. E poi c’è la comunità locale, cioè i libici, musulmani: loro sono oggetto di questo servizio della comunità cristiana, soprattutto negli ospedali e nelle case di cura.

D. – In che modo la comunità cristiana si prepara alla Pasqua?

R. – Chiaramente, è una preparazione propria del cristiano. Diciamo che è anche un seme di speranza: la Pasqua vuole vincere le nostre paure e le parole di Gesù, “non temere”, sono quelle che risuonano con coraggio attraverso il mistero della Croce: vogliono essere una vittoria sul male, sull’odio, sulla guerra, su tutto ciò che in qualche modo ha sconfinato nei mesi scorsi verso un odio tribale. Adesso si sta ricomponendo, noi vediamo alla luce della Pasqua, la volontà e la voglia del popolo libico, che è appunto musulmano, di ricominciare.

D. – La diocesi di Tripoli sta preparando al battesimo otto migranti dell’Africa subsahariana…

R. – Sì. Ce ne sono anche altri, però abbiamo deciso di battezzarne qualcuno nel periodo pasquale. Consideriamo importante che vi sia una preparazione accurata per questi neocatecumeni. Quindi è una gioia poterli preparare, è una gioia pensare che altri cristiani hanno voglia di ricevere il battesimo.

D. – Qual è il ruolo dei cristiani riguardo al dialogo tra le varie fazioni libiche, dopo oltre 40 anni di regime di Gheddafi e mesi e mesi di guerra?

R. – E’ quello della testimonianza della normalità, con generosità, senza badare al colore o al partito. E’ realmente una testimonianza al di sopra delle parti, proprio con il desiderio di riconciliare un po’ gli estremi.

D. – Come appare la situazione sul terreno oggi in Libia?

R. – Positiva, anche se ci sono chiaramente dei conflitti. Chi viene può tranquillamente uscire, la vita nel Paese e in città è abbastanza normale. Chiaramente, ci sono per i libici l’importanza e l’urgenza di avere il necessario, soprattutto in campo sanitario per la cura dei tanti feriti. Però, vedo che c’è tanta buona volontà da parte dei Paesi esteri, dell’Europa, per affrontare tali urgenze. Inoltre, ci sono altre emergenze, come quelle degli immigrati subsahariani che arrivano in Libia in cerca di lavoro, ma anche quelle dei migranti interni. C’è una zona tra Misurata e Sirte, quella di Tauarga, che è terreno di guerra, in cui la cittadinanza è stata di fatto trasferita a Tripoli, in due campi di rifugiati. Purtroppo, all’interno del Paese ci sono, dunque, tante piccole situazioni difficili, tutte da sanare. (cp)







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