Mons. Becciu: la Chiesa a Cuba è uscita dalle sacrestie
L’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e dal 2009
al 2011 nunzio a Cuba, accompagna il Papa in questo suo 23.mo viaggio apostolico internazionale.
Il collega Alessandro Di Bussolo, del Centro Televisivo Vaticano, lo ha intervistato
sulla tappa cubana chiedendogli innanzitutto come siano oggi in questo Paese i rapporti
tra Stato e Chiesa e se questa seconda visita di un Papa nell’isola caraibica possa
essere interpretata come un ulteriore passo in avanti di un dialogo già avviato:
R. - Certamente.
I rapporti tra Stato e Chiesa sono dei rapporti abbastanza buoni: appena due anni
fa abbiamo celebrato 75 anni di relazioni diplomatiche mai interrotte tra la Santa
Sede e lo Stato cubano. Per cui, tra Santa Sede e Stato i rapporti sono stati sempre
buoni e, direi, normali, non ci sono stati problemi. Però, è chiaro che il “termometro”
vero per misurare le buone relazioni tra Santa Sede e Stato è la situazione dei rapporti
tra il governo e la Chiesa locale. Diciamo che, soprattutto nell’ultimo periodo, soprattutto
dopo Giovanni Paolo II, le relazioni sono diventate molto più scorrevoli, sono diventate
molto più efficienti, perché la Chiesa è riuscita ad avere maggiori spazi per la sua
azione. Si può dire che è uscita dalle sagrestie dove era stata costretta a vivere,
ha sviluppato una maggiore attività catechetica e inoltre le è stata data la possibilità
di svolgere la sua attività caritativa. Ed è soprattutto questo che ha fatto grande
la Chiesa, che è diventata punto di attrazione per tanti che l’avevano abbandonata
o, addirittura, non la conoscevano. Quindi, direi in sintesi, che le relazioni sono
di un dialogo sincero, di un dialogo in cui la Chiesa può dire ai governanti quello
che pensa, quello che vorrebbe che si realizzasse per il bene dello stesso popolo
cubano.
D. - Questa seconda visita può essere anche un altro spartiacque come
è stata anche la visita di Giovanni Paolo II che, possiamo dire, ha cambiato la vita
dei cattolici a Cuba e che – Lei ne ha avuto esperienza – ha fatto un po’ cadere la
diffidenza di molti politici cubani verso i cattolici?
R. - Direi che di una
parte dei politici l’ha fatta cadere. Rimangono ancora riserve da parte di altri e
non nascondiamocelo: ci sono alcuni che vivono di una certa idea dello Stato, di una
certa idea della vita che non collima, che non coincide con quella della Chiesa. Per
cui, rimangono refrattari, rimangono diffidenti alla proposta della Chiesa. Però per
molti altri vi è stato un mutamento di atteggiamento. Un piccolo emblematico episodio:
mi ricordo che ero appena arrivato in un ricevimento, mi avvicinai a due persone –
un signore e una signora che poi mi dissero erano membri dell’Assemblea Popolare –
e poi, parlando, mi dissero: “Lei è il rappresentante del Vaticano? Bene! Noi abbiamo
una grande ammirazione per la Chiesa: sa, il parroco della Chiesa dove qualche volta
vado, vedo che si dà da fare molto con i poveri, organizza la mensa per i poveri.
E ne parlavo con un mio compagno di partito, il quale diceva: ‘Non è possibile, non
possiamo permetterglielo. Questo è esclusiva del governo o del partito fare queste
cose’ ”. E questo signore mi disse: “Subito gli rinfacciai: ‘Ma perché non lo facciamo
noi? Se lui lo fa, ne dobbiamo essere contenti, ed anzi dobbiamo rimanere ammirati
per l’opera che stanno facendo’ ”. Ecco, un piccolo esempio per dire che alcuni capiscono
qual è l’azione vera, l’azione genuina della Chiesa, altri rimangono bloccati in una
certa visione della vita e della società.
D. - L’azione della Chiesa - il
cardinale Ortega in particolare - in questo delicato ruolo di mediazione e dialogo
che sta svolgendo in questa fase importante della storia di Cuba, è un ruolo apprezzato
e riconosciuto dal governo?
R. - Il fatto stesso che li abbiano chiamati a
fare da intermediari significa che la Chiesa è considerata, la Chiesa ha un gradimento
da parte del governo, è riconosciuta nel lavoro che essa compie nel ministero che
essa sta svolgendo. E devo dire che vi è un senso di ammirazione per quello che la
Chiesa sta compiendo, e sta compiendo proprio nel silenzio, sta compiendo a contatto
con la gente. Non può fare grandi cose, non ha grandi mezzi, però ha la forza del
Vangelo. E la forza del Vangelo la porta a fare piccole cose, ma concrete per la gente.
Inoltre, quando ci fu nel 2008 il terribile uragano che tanti danni ha provocato in
molte parti del Paese, la Chiesa fu in prima linea nel cercare aiuti all’estero, quindi
tramite tutta l’organizzazione caritativa internazionale della Chiesa, per aiutare
le popolazioni danneggiate che avevano subito danni incalcolabili nelle abitazioni,
oppure nella mancanza di cibo. Fu una collaborazione con il governo, questa, ed il
governo apprezzò tanto quest’opera fatta dalla Chiesa. Ma questa è la grandezza della
Chiesa: che essa si fa forte del Vangelo e si fa forte della sua opera caritativa.
Anche se viene privata di mezzi esterni, di scuole, di ospedali, istituzioni, essa
continua e cammina proprio illuminata e rafforzata dallo Spirito, dallo Spirito di
Dio, dalla forza del Vangelo e dall’attività caritativa. Ed è questo che ha cambiato
il cuore di tanta gente e che ha fatto ammirare la Chiesa.
D. - Un esempio
è anche questo pellegrinaggio della venerata immagine della Vergine della Carità del
Cobre. Questa visita di Benedetto XVI sarà anche nel segno proprio di questa devozione.
La grande partecipazione a questo pellegrinaggio è la testimonianza che la fede e
la devozione mariana dei cubani non si sono mai spente, nonostante le difficoltà del
passato?
R. - Io ho scoperto, vedendolo proprio direttamente, che la Vergine
del Cobre è la Madre, è la Madonna di tutti, credenti e non credenti. E vedere le
processioni dove partecipavano persone che sapevi che erano lontane dalla Chiesa,
però si aggregavano ai cristiani già incamminati per portare la statua della Madonna
verso il luogo della celebrazione, è qualcosa che ti colpiva e ti impressionava. E
la Madonna ha smosso il cuore di tanti. Per cui, questo pellegrinaggio è stato la
preparazione migliore per l’arrivo del Papa, perché tanti ormai si trovano preparati
a questo grande evento, cioè anche internamente molti hanno già fatto passi concreti
di riavvicinamento alla Chiesa. E poi sappiamo bene che la Madonna ha i suoi “segreti”
per portare avanti la storia nel piccolo, però è quel piccolo che sa portare anche
a cambiamenti insperati.
D. - Il Papa lo ha già preannunciato nella sua omelia
del 12 dicembre: possiamo quindi aspettarci un messaggio sull’importanza anche del
ruolo che deve giocare la fede cattolica nel cammino di integrazione dell’America
Latina e del suo nuovo ruolo che deve giocare nel contesto mondiale?
R. -
Sappiamo che in America Latina vive un numero enorme di cattolici, anzi mi pare che
sia il numero più alto di cattolici che abbiamo nella Chiesa. Quindi è chiaro che
giocano e giocheranno un ruolo importante in tutta la globalità della Chiesa. E la
visita del Papa aiuterà i cattolici latino-americani a riconfermarsi nella loro fede,
li incoraggerà e soprattutto li aiuterà a rimanere fedeli alla Chiesa, perché nell’America
Latina sappiamo che la presenza delle sètte, delle nuove aggregazioni religiose è
un problema. E tanti si lasciano incantare da queste nuove realtà che facciamo difficoltà
a chiamare “ecclesiali”. Ma sono, però, realtà che si stanno nutrendo della presenza
di cristiani e di cattolici che abbandonano la Chiesa. Per cui, sentire la presenza
del Papa, sentire la sua parola, questo sarà un motivo forte per aiutarli a rimanere
fedeli alla vera Chiesa, alla Chiesa di Gesù.