2012-03-24 13:36:58

Le prime opere del pittore Arrigo Poz in mostra a Roma


“Nel cuore della storia del Friuli”. S’ intitola così la mostra antologica del noto pittore realista friulano, Arrigo Poz, 83 anni. Inaugurata nei giorni scorsi a Roma, nella sede della Regione Friuli-Venezia Giulia, a palazzo Ferrajoli, l’esposizione sarà visibile fino al 13 aprile. Ma quali tratti della storia del Friuli l’artista ha voluto maggiormente far emergere nelle opere esposte? Federico Chiapolino lo ha chiesto allo stesso Poz. RealAudioMP3

R. – L’atmosfera che si poteva cogliere 60-70 anni fa: un’atmosfera di silenzio e di operosità. Mi interessava descrivere le persone nella loro realtà quotidiana, l’operosità del nostro popolo e, come io dico, del nostro “amato” Friuli che ha grandi valori e grandi ricchezze da proporre.

D. – Su cosa ha basato la selezione delle opere esposte qui a Roma?

R. – Ho ritenuto opportuno portare i primi lavori, una copia del 1945 fino al 1959: cioè, uno spazio temporale dove c’è la mia formazione di base che poi dagli anni ’60 assume un processo evolutivo nel modo di esprimere il mio concetto pittorico, anche dovuto alla mutazione del tempo storico, alla maturità e quindi alle problematiche che si susseguivano. Però non ho mai rinunciato all’origine, cioè all’emozione che mi dava sempre l’immagine della mia terra, che dopo è diventata simbolo. Questi elementi sono diventati metafore, pretesti: l’uomo nelle difficoltà, le evasioni, le sopraffazioni, l’uomo che sopraffà l’altra persona e poi l'uomo che tende verso la luce, la speranza, il paesaggio che non è più quello di un tempo, ma riempito di fabbriche, di capannoni industriali che sputano veleni... Però, nonostante tutto questo la luna splende e, quindi, c’è la luce, il Cristo, che è quasi sempre diviso a metà perché c’è una parte di mistero e una parte di realtà. Quando faccio ad esempio dei volti divisi in due parti, uno chiaro e uno scuro, è perché il mistero io non riesco a capirlo.

D. - Lei ha parlato di luce, di speranza, di Cristo, e in molte delle sue opere emerge questo elemento forte religioso. Che rapporto c’è tra la sua arte e la sua fede?

R. - Credo sia un tutt’uno perché non saprei comunicare la fede con un ragionamento. E’ un fatto connaturato. Dipingo un’emozione che mi porta a questa speranza, a questa tensione continua. Non vorrei che si pensasse costruita per far questo: non è costruita, è un’esigenza mia, personale. Come pittore sento di proporre questa immagine, che sento dentro di me. Un ramo di ulivo che ho sempre dipinto, che è la pace che l’uomo deve portare… Tante volte sono rappresentati alberi che ormai sono sradicati, sono morti… Invece no, c’è sempre un rametto dal quale spuntano le foglie. Questo è quasi un messaggio evangelico: non bisogna estirpare l’albero, ma aspettare un momento, anche se non dà frutto, aspettare un momento, perché forse rigermoglia. Per l’uomo bisogna aspettare, si redimerà, non è già documentato che sia tutto negativo. E’ l’uomo nella sua natura, ma se non c’è l’uomo, quindi non c’è il bambino, non c’è il rinnovamento. Io credo nel rinnovamento e quindi credo alla speranza. (bf)








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