2012-03-24 13:17:20

La Chiesa a Cuba è viva: così il direttore del centro “Felix Varela” all’Avana


Con l’arrivo del Papa in Messico, cresce dunque l’attesa a Cuba per la visita di Benedetto XVI che avrà inizio lunedì prossimo. Ad attenderlo con trepidazione è anche il centro culturale cristiano “Felix Varela” all’Avana. Il nostro inviato a Cuba, Luca Collodi, ha intervistato il direttore del centro, padre Yosvany Cardajal Sureda:RealAudioMP3

R. – Il centro culturale ha un ruolo importante per la Chiesa in rapporto con il mondo della cultura. Diciamo che il centro culturale raduna intorno a sé tutte o quasi le manifestazioni culturali che ci sono, cercando di avvicinare il mondo della cultura al mondo della Chiesa e viceversa. In questo Centro culturale, vogliamo dare la formazione necessaria a tutti i laici e a tutti coloro che vogliono approfondire la conoscenza delle cose della Chiesa; soprattutto filosofica, teologica, per formare prima di tutto laici cattolici che possano agire poi nella società, ma anche i non cattolici che volessero conoscere e approfondire argomenti ecclesiali, come la dottrina sociale cristiana. Il centro ha quindi un aspetto culturale, ma anche di formazione intellettuale.

D. – Nell’attuale cultura cubana, quella cristiana che posto ha?

R. – Diciamo che qui a Cuba, attualmente, non c’è un chiaro riconoscimento di una “cultura” cristiana; nelle diverse manifestazioni culturali dell’isola, però, ci sono spunti cristiani. Come, ad esempio, la musica cubana che è nata in chiesa e poi si è sviluppata in un’altra direzione. Diciamo che non c’è una cultura totalmente cristiana nelle sue manifestazioni, ma c’è un’anima – a mio parere – molto vicina alla Chiesa. Adesso a Cuba, per quello che conosco e che ho visto, molti artisti, molte manifestazioni culturali vogliono esprimersi in chiesa e vogliono esprimere anche valori cristiani nelle opere, musiche, nella musica sacra, nel teatro, nella letteratura. Tutte queste manifestazioni culturali si avvicinano molto, moltissimo, direi, al mondo della Chiesa. In questo senso possiamo dire che, a Cuba, c’è un’anima cristiana nella sua cultura, nella nostra cultura.

D. – La parrocchia a Cuba come si inserisce in questo progetto culturale?

R. – Quasi tutte le parrocchie, soprattutto all’Avana, radunano sempre attorno a sé un dialogo positivo, bello, con la cultura. Ad esempio, in una parrocchia ci possono essere manifestazioni intellettuali, con persone che si incontrano per leggere un documento, fare un dibattito, recitare poesie, fare teatro; nelle parrocchie si tengono anche dei concerti ai quali partecipano tanti musicisti che spesso tengono concerti nelle nostre chiese. C’è poi anche l’aspetto formativo, perché in parrocchia si svolgono anche molti corsi di formazione culturale, religiosa e di promozione umana. Sono diverse manifestazioni che funzionano e che contribuiscono all’avvicinamento della Chiesa al mondo della cultura, del pensiero, dell’arte.

D. – Nella cultura cubana della religiosità popolare, “la superstizione” che ruolo occupa?

R. – Il popolo cubano è sempre stato un popolo superstizioso. La superstizione esiste da molto tempo. Uno dei grandi pensatori cubani, padre Félix Varela, per il quale è in corso la causa di Beatificazione, nella sua “Lettera a Elpidio” - un personaggio astratto che riflette la realtà del cubano del suo tempo – diceva che uno dei tre mali che vedeva nella sua epoca, era la superstizione. L’altro era il fanatismo e il terzo la mancanza di religione, la mancanza di Dio. Tre mali che sono presenti nella nostra cultura, nella nostra società. Il popolo cubano è sempre stato un popolo un po’ superstizioso. Oggi, dopo un tempo vuoto di formazione religiosa, dove la religione non usciva dalla Chiesa perché era vietato, la superstizione si è sviluppata maggiormente attraverso religioni primitive, naturaliste, come la “santería”, una espressione nata a Cuba dall’incontro tra la tradizione africana, portata dai neri trasportati forzatamente nell’isola per lavorare, e il cattolicesimo. La fusione di queste due religioni, questo sincretismo, ha fatto sì che nascesse la “santería”, una tradizione superstiziosa e molto primitiva. Non è una religione che fa crescere l’uomo in senso etico e nemmeno nell’impegno sociale. Essere cattolico, cristiano, vuol dire andare in chiesa, avere un impegno sociale molto importante nella società. Quanti praticano la religione africana, ma anche le altre religioni che si sono sviluppate in questi anni di mancanza di formazione religiosa, non hanno bisogno di questo comportamento. E’ una realtà da vivere piuttosto dell’ambito privato, per risolvere velocemente problemi spirituali… E questo ha fatto sì che adesso si rilevi l’aumento di questa superstizione, di questa pratica. E’ un problema che noi abbiamo qui: un problema di evangelizzazione. Dobbiamo evangelizzare la cultura, dobbiamo evangelizzare anche il mondo della religiosità popolare. Dobbiamo avvicinarci al mondo della religiosità popolare.

D. – Padre Yosvany, la presenza di Papa Benedetto come può rilanciare il progetto culturale della Chiesa cubana?

R. – La visita del Papa a Cuba è il momento in cui ci rendiamo conto che la nostra Chiesa è viva, una Chiesa evangelizzatrice che ha un suo metodo, un suo ardore per evangelizzare porta a porta; non si preoccupa soltanto dell’evangelizzazione in chiesa ma anche dell’evangelizzazione – appunto – della cultura, del mondo intellettuale. Ora, con la visita del Papa riaffermiamo che la nostra fede è una fede viva, che la Chiesa in Cuba lavora, vive, evangelizza e il Papa viene a confermarci, a rafforzare e incoraggiare la nostra fede, soprattutto in quest’anno che celebriamo i 400 anni del ritrovamento della “Madonna della Carità”, che è la nostra patrona. Noi stiamo celebrando il 400.mo anniversario di questa apparizione, del ritrovamento di questa immagine della Madonna. Celebrazione che ci aiuta a dire che il popolo è cresciuto, che il popolo cubano non ha mai chiuso la porta alla fede, che oggi manifesta chiaramente e liberamente. Con il pellegrinaggio della Madonna della Carità in tutta l’Isola, il popolo ha potuto esprimere la sua fede in Dio. Il Papa viene a dirci che Dio è con noi, che Dio ci aiuta, che la Chiesa deve continuare questo lavoro di evangelizzazione. (gf)







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