La Chiesa a Cuba è viva: così il direttore del centro “Felix Varela” all’Avana
Con l’arrivo del Papa in Messico, cresce dunque l’attesa a Cuba per la visita di Benedetto
XVI che avrà inizio lunedì prossimo. Ad attenderlo con trepidazione è anche il centro
culturale cristiano “Felix Varela” all’Avana. Il nostro inviato a Cuba, Luca Collodi,
ha intervistato il direttore del centro, padreYosvany Cardajal Sureda:
R. – Il centro
culturale ha un ruolo importante per la Chiesa in rapporto con il mondo della cultura.
Diciamo che il centro culturale raduna intorno a sé tutte o quasi le manifestazioni
culturali che ci sono, cercando di avvicinare il mondo della cultura al mondo della
Chiesa e viceversa. In questo Centro culturale, vogliamo dare la formazione necessaria
a tutti i laici e a tutti coloro che vogliono approfondire la conoscenza delle cose
della Chiesa; soprattutto filosofica, teologica, per formare prima di tutto laici
cattolici che possano agire poi nella società, ma anche i non cattolici che volessero
conoscere e approfondire argomenti ecclesiali, come la dottrina sociale cristiana.
Il centro ha quindi un aspetto culturale, ma anche di formazione intellettuale.
D.
– Nell’attuale cultura cubana, quella cristiana che posto ha?
R. – Diciamo
che qui a Cuba, attualmente, non c’è un chiaro riconoscimento di una “cultura” cristiana;
nelle diverse manifestazioni culturali dell’isola, però, ci sono spunti cristiani.
Come, ad esempio, la musica cubana che è nata in chiesa e poi si è sviluppata in un’altra
direzione. Diciamo che non c’è una cultura totalmente cristiana nelle sue manifestazioni,
ma c’è un’anima – a mio parere – molto vicina alla Chiesa. Adesso a Cuba, per quello
che conosco e che ho visto, molti artisti, molte manifestazioni culturali vogliono
esprimersi in chiesa e vogliono esprimere anche valori cristiani nelle opere, musiche,
nella musica sacra, nel teatro, nella letteratura. Tutte queste manifestazioni culturali
si avvicinano molto, moltissimo, direi, al mondo della Chiesa. In questo senso possiamo
dire che, a Cuba, c’è un’anima cristiana nella sua cultura, nella nostra cultura.
D.
– La parrocchia a Cuba come si inserisce in questo progetto culturale?
R. –
Quasi tutte le parrocchie, soprattutto all’Avana, radunano sempre attorno a sé un
dialogo positivo, bello, con la cultura. Ad esempio, in una parrocchia ci possono
essere manifestazioni intellettuali, con persone che si incontrano per leggere un
documento, fare un dibattito, recitare poesie, fare teatro; nelle parrocchie si tengono
anche dei concerti ai quali partecipano tanti musicisti che spesso tengono concerti
nelle nostre chiese. C’è poi anche l’aspetto formativo, perché in parrocchia si svolgono
anche molti corsi di formazione culturale, religiosa e di promozione umana. Sono diverse
manifestazioni che funzionano e che contribuiscono all’avvicinamento della Chiesa
al mondo della cultura, del pensiero, dell’arte.
D. – Nella cultura cubana
della religiosità popolare, “la superstizione” che ruolo occupa?
R. – Il popolo
cubano è sempre stato un popolo superstizioso. La superstizione esiste da molto tempo.
Uno dei grandi pensatori cubani, padre Félix Varela, per il quale è in corso la causa
di Beatificazione, nella sua “Lettera a Elpidio” - un personaggio astratto che riflette
la realtà del cubano del suo tempo – diceva che uno dei tre mali che vedeva nella
sua epoca, era la superstizione. L’altro era il fanatismo e il terzo la mancanza di
religione, la mancanza di Dio. Tre mali che sono presenti nella nostra cultura, nella
nostra società. Il popolo cubano è sempre stato un popolo un po’ superstizioso.
Oggi, dopo un tempo vuoto di formazione religiosa, dove la religione non usciva dalla
Chiesa perché era vietato, la superstizione si è sviluppata maggiormente attraverso
religioni primitive, naturaliste, come la “santería”, una espressione nata a Cuba
dall’incontro tra la tradizione africana, portata dai neri trasportati forzatamente
nell’isola per lavorare, e il cattolicesimo. La fusione di queste due religioni, questo
sincretismo, ha fatto sì che nascesse la “santería”, una tradizione superstiziosa
e molto primitiva. Non è una religione che fa crescere l’uomo in senso etico e nemmeno
nell’impegno sociale. Essere cattolico, cristiano, vuol dire andare in chiesa, avere
un impegno sociale molto importante nella società. Quanti praticano la religione africana,
ma anche le altre religioni che si sono sviluppate in questi anni di mancanza di formazione
religiosa, non hanno bisogno di questo comportamento. E’ una realtà da vivere piuttosto
dell’ambito privato, per risolvere velocemente problemi spirituali… E questo ha fatto
sì che adesso si rilevi l’aumento di questa superstizione, di questa pratica. E’ un
problema che noi abbiamo qui: un problema di evangelizzazione. Dobbiamo evangelizzare
la cultura, dobbiamo evangelizzare anche il mondo della religiosità popolare. Dobbiamo
avvicinarci al mondo della religiosità popolare.
D. – Padre Yosvany, la presenza
di Papa Benedetto come può rilanciare il progetto culturale della Chiesa cubana?
R.
– La visita del Papa a Cuba è il momento in cui ci rendiamo conto che la nostra Chiesa
è viva, una Chiesa evangelizzatrice che ha un suo metodo, un suo ardore per evangelizzare
porta a porta; non si preoccupa soltanto dell’evangelizzazione in chiesa ma anche
dell’evangelizzazione – appunto – della cultura, del mondo intellettuale. Ora, con
la visita del Papa riaffermiamo che la nostra fede è una fede viva, che la Chiesa
in Cuba lavora, vive, evangelizza e il Papa viene a confermarci, a rafforzare e incoraggiare
la nostra fede, soprattutto in quest’anno che celebriamo i 400 anni del ritrovamento
della “Madonna della Carità”, che è la nostra patrona. Noi stiamo celebrando il 400.mo
anniversario di questa apparizione, del ritrovamento di questa immagine della Madonna.
Celebrazione che ci aiuta a dire che il popolo è cresciuto, che il popolo cubano non
ha mai chiuso la porta alla fede, che oggi manifesta chiaramente e liberamente. Con
il pellegrinaggio della Madonna della Carità in tutta l’Isola, il popolo ha potuto
esprimere la sua fede in Dio. Il Papa viene a dirci che Dio è con noi, che Dio ci
aiuta, che la Chiesa deve continuare questo lavoro di evangelizzazione. (gf)