Italia: via libera del Cdm alla riforma del lavoro. Commento di Luigino Bruni
Riforma del lavoro ancora in primo piano. Il giorno dopo il varo da parte del Governo
del disegno di legge confronto tra Governo, leader politici e delle forze sociali
in occasione del Forum Confcommercio a Cernobbio. Nel suo intervento il premier Mario
Monti ha sottolineato: sarà solo il Parlamento a decidere se e come approvare la riforma.
Servizio di Giampiero Guadagni: Il Governo
non farà passi indietro, il testo approvato potrà essere modificato solo dalle Camere.
Risponde così Mario Monti alle perplessità e critiche di segno opposto che arrivano
dalle forze politiche e sociali alla riforma del mercato del lavoro. Quanto alla formula
“salvo intese”, il premier chiarisce: l’intesa a cui ci riferiamo è quella tra il
Governo e il Capo dello Stato. Non dunque con le parti sociali, corpi intermedi importantissimi
ma che non possono avere diritto di veto, dice ancora Monti. In giornata c’era stato
un nuovo confronto diretto tra il ministro del Lavoro Elsa Fornero, che si è detta
dispiaciuta dalla mancata piena condivisione; e il leader della Cgil Susanna Camusso,
che ha parlato di lacrime di coccodrillo perché, dice, l’esecutivo ha scelto una strada
che rende dispari i diritti. Critiche anche dal Pd alla riscrittura dell’articolo
18: il segretario Bersani chiede che sui licenziamenti economici il giudice possa
prevedere non solo l’indennizzo ma anche il reintegro. Sull’altro fronte, il segretario
del Pdl Alfano promuove l’impalcatura della riforma. Ma, aggiunge, il Governo è meno
forte di ieri perché sulla riforma del lavoro non c'é un testo scritto, non ci sono
tempi certi e la Cgil non ha revocato lo sciopero. E sempre dal Forum di Confcommercio
il presidente della Camera Fini fa sapere di condividere la riforma e di ritenere
quello sull’articolo 18 un compromesso positivo. Da Cernobbio, in occasione del
workshop della Confcommercio, il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha espresso rammarico
per una riforma non condivisa pienamente, accordo in cui, ha detto, “ho creduto e
sperato fino all'ultimo'' ma, ha continuato, il mondo cambia e il cambiamento in Italia
va accompagnato. E’ tornata quindi a difendere la scelta del governo circa la modifica
all’articolo 18, mentre la Cgil ha già proclamato una serie di scioperi. Ma che cosa
significa il mancato accordo generale sulla riforma? Adriana Masotti lo ha
chiesto a Luigino Bruni, docente di economia politica all’università “Bicocca”
di Milano e all’Istituto Sophia di Loppiano, nonché responsabile del progetto di Economia
e Comunione.
R. – Significa
innanzitutto che oggi c’è una divisione anche interna ad una certa Cgil, nel senso
che esistono delle posizioni più moderate e più forti che rendono difficile il dialogo
e l’avere una linea comune e condivisa internamente alla Cgil stessa. Però vuol dire
soprattutto che questa riforma del lavoro è una riforma complessa. Sarei stato stupito
se la Cgil avesse accettato una riforma del genere senza protestare e senza sollevare
delle problematiche, perché questa è una riforma che certamente tutela meno il lavoratore
fragile. Lo ripeto: avrei preferito una maggiore concertazione ed un maggior ascolto
delle posizioni, anche di una parte così importante del sindacato, perché la materia
del lavoro è una materia davvero molto delicata.
D. – Il ministro del Lavoro
dice che la modifica dell’articolo 18 non calpesta i diritti dei lavoratori…
R.
– Io la vedo un po’ diversamente. I motivi economici sono molto poco oggettivi se
facciamo riferimento ad un momento di crisi e di difficoltà. Se questa nuova normativa
viene considerata come un “pagare per licenziare”, capiamo benissimo che quando si
parla del lavoro non si tratta di un semplice problema di indennizzo, ma di identità,
ossia: ‘che cosa faccio dopo’? In questo momento, secondo me, c’è bisogno di maggior
tutela del lavoro e non minore, perché siamo in una fase di grandi cambiamenti e di
grandi difficoltà per il lavoro, come anche per il capitale. Capisco che c’era necessità
di riformare il mercato del lavoro, però non credo che questa normativa sia stata
introdotta per i più fragili. Piuttosto, va a vantaggio delle grandi imprese.
D.
– Però non c’è soltanto l’articolo 18: tra i punti centrali della riforma vi è anche
la valorizzazione dell’apprendistato, il rafforzamento degli ammortizzatori sociali,
costi maggiori a carico delle imprese per i contratti a termine…. Che ne dice di tutto
questo?
R. – Questi sono tutti interventi che mi piacciono, soprattutto quello
che concerne l’apprendistato, che mi piace moltissimo, perché significa riavvicinare
i giovani al mondo del lavoro. Questo è un tema immenso: in Italia, negli ultimi decenni,
abbiamo allontanato i giovani dalle imprese. Questa, lo ripeto, è una legge che comprende
più elementi: alcuni li apprezzo e li condivido, altri meno. Se rendo più semplice
l’uscita, dovrei quantomeno incentivare l’entrata… Questa riforma si basa su una cultura
molto anglosassone, dove si vorrebbe creare una zona economica, un’economia pura,
senza le scorie, i limiti e le vulnerabilità della vita e scaricare da qualche altra
parte – ma non si comprende bene dove, se nella famiglia o nella comunità – i limiti,
le vulnerabilità e le fragilità. In realtà, bisogna riconoscere che l’impresa è un
luogo che ha gli stessi limiti e le stesse vulnerabilità di tutta la vita comune.
Il sogno dell’efficienza pura, di espellere le persone poco adatte al lavoro, non
ha mai funzionato nel modello comunitario europeo, perché il nostro è un modello più
sociale. Dobbiamo, quindi, stare molto attenti: questa ondata di neo-liberismo – che
è arrivata anche da noi – non deve farci perdere un’identità storica di secoli e di
civiltà cristiana, che va dal Medioevo in poi, dove il lavoro è stato sempre visto
all’interno di un patto sociale molto più ampio, che coinvolgeva la comunità, la famiglia,
le istituzioni e dove il lavoro non è una merce, ma un bene fondamentale che viene
prima di qualsiasi altro bene, perché riguarda la persona. Tra i fattori di produzione
– capitale, terra e lavoro – il lavoro ha un piccolo particolare: ci sono di mezzo
le persone. In passato – e ancora oggi – è stato visto come un bene speciale, soprattutto
in Europa, che ha una vocazione molto più forte dal punto di vista sociale e comunitario.
D.
– Nel suo complesso, questa riforma servirà comunque per creare nuova occupazione
e nuova crescita, che sono poi i problemi centrali dell’Italia di oggi?
R.
– Lo spero, perché c’è davvero molto bisogno che sia così. Personalmente, credo che
oggi i nuovi posti di lavoro non verranno creati nella grande industria e neanche
nello Stato. Occorrerà inventarsi altri posti di lavoro, da altre parti. Cioè, secondo
me, nell’ambito civile, nel mondo cooperativo, partendo dalla voglia che hanno le
persone di mettersi insieme e creare lavoro, come in realtà è stato fatto, in passato,
nei momenti di crisi: pensiamo alla fine dell’Ottocento, al dopoguerra, quando anche
i cristiani e le persone di buona volontà si sono messi insieme per creare loro stessi
dei lavori. Si sono inventati casse rurali, cooperative, che oggi tradurremmo con
l’impresa sociale, il no-profit, l’economia civile, l’economia di comunione. Bisognerà
quindi creare lavoro dal basso, dalla gente. (vv)
Ma in cosa consiste il
ddl sulla riforma del mercato del lavoro? La scheda di Giampiero Guadagni:
Contratti,
sussidi, flessibilità in uscita. Sono i tre cardini della riforma del mercato del
lavoro messa a punto dal governo Monti. Il contratto a tempo indeterminato sarà la
tipologia dominante per le assunzioni. Quelle a termine costeranno di più alle aziende
in termini di contribuzione: una misura destinata a combattere il precariato. La principale
porta di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro sarà l’apprendistato. Le nuove
norme obbligano di fatto le aziende ad assumere una certa percentuale di apprendisti
se vorranno utilizzarne di nuovi. Novità anche per chi perde il posto di lavoro. La
riforma introduce l’Aspi, l’Assicurazione sociale per l’impiego. Sarà estesa a tutti
i lavoratori e sostituirà l’attuale indennità di disoccupazione. Durerà 12 mesi, 18
per chi ha più di 55 anni. Per il sussidio è previsto un tetto massimo di 1.119 euro.
Il nuovo sistema di ammortizzatori sociali entrerà a regime nel 2017. Il terzo capitolo,
quello riguardante la flessibilità in uscita, è certamente il più spinoso. Al centro
c’è infatti la riscrittura dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, da sempre
una bandiera del sindacato. Bisogna distinguere tra licenziamenti discriminatori,
disciplinari ed economici. Nulla cambia per i licenziamenti discriminatori (per fede
religiosa, credo politico, appartenenza ad un sindacato): sono nulli ed è previsto
il reintegro sul posto di lavoro. I licenziamenti disciplinari sono quelli intimati
per giusta causa: ad esempio furto o rissa; oppure per giustificato motivo soggettivo:
ad esempio grave inadempimento degli obblighi contrattuali. Sta al giudice decidere
se procedere con il reintegro oppure con l’indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità.
Infine, il punto più controverso: i licenziamenti economici per giustificato motivo
oggettivo: ragioni inerenti all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro.
Il giudice potrà eventualmente condannare il datore di lavoro non al reintegro, come
chiedono sindacati e Pd, ma solo al pagamento di un indennizzo, sempre tra le 15 e
le 27 mensilità. Previsti interventi per evitare in questo caso abusi di tipo discriminatorio.
E ci sono anche norme per velocizzare i processi sui licenziamenti. Tra le altre novità:
l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio per tre giorni e le norme di
contrasto alle dimissioni in bianco delle lavoratrici madri.