Mons. Romero. Il vescovo di Vera Paz: continuare ad essere voce dei "senza voce"
Fitto è il programma romano per celebrare il 32.mo anniversario della morte di mons.
Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador assassinato mentre celebrava la Messa,
per il suo impegno costante nel contrasto ad ogni forma di violazione dei diritti
umani. Avviate il 17 marzo, le iniziative sono culminate ieri sera alle 19.00 nella
Chiesa di San Marcelllo al Corso, con la celebrazione ecumenica presieduta da mons.
Rodolfo Valenzuela, vescovo di Vera Paz e presidente della Conferenza episcopale
del Guatemala, che ai nostri microfoni sottolinea il valore della memoria di questo
martire emblematico per la Chiesa tutta. L’intervista è di Gabriella Ceraso:
R. - Dopo
32 anni è necessario soprattutto non perdere la memoria e la coscienza dell’importanza
di mons. Romero in Salvador per tutta la Chiesa. Non si tratta soltanto di ricordare
qualcosa del passato: è una memoria che ci serve ancora, che ci fa continuare nello
sforzo in favore della dignità umana, della vita e della pace. E’, insomma, un lavoro
che ha una grande attualità. Le nuove generazioni, che non hanno vissuto quei giorni,
forse non sono così sensibili davanti a queste figure e a questo tipo di discorso.
D.
- Quindi come parlare, a loro, di mons. Romero?
R. - Mons. Romero è senz’altro
una figura molto ispiratrice: una volta che i giovani riescono a conoscerla bene,
possono trovare qualche luce, che è poi la luce di Cristo, della verità, dell’amore
per la pace e per la vita. Uno dei principali impegni della Chiesa, durante questi
giorni, è proprio quello di far conoscere questa figura che, per molti giovani, è
forse sconosciuta.
D. - Un atto di violenza ha posto fine alla vita di mons.
Romero. Oggi qual è la situazione?
R. - La situazione di confronto tra una
destra militarizzata ed anche una sinistra che operava con la guerriglia è già stata
superata. Ci sono, però, delle nuove violenze, ad esempio nel Centro America - in
particolare in Messico - scaturite dal narcotraffico. E c’è ancora molta gente che
viene assassinata. Nel Guatemala ci sono, ogni giorno, più morti rispetto a quelli
che c’erano negli anni Ottanta.
D. - La Chiesa riesce ad incidere?
R.
- La Chiesa continua ad essere, prima di tutto, una voce con una certa autorità, una
voce vicina alla gente. Questa è davvero una grande sfida per noi. Il nostro dovere,
in questo momento, è quello di incidere per non perdere queste memorie, per denunciare
le violazioni dei diritti umani e, principalmente, del diritto alla vita.
D.
- Il Papa è in volo verso le terre dell’America. Sono terre, quelle americane, difficili,
ed immagino che lei lo segua con il pensiero. Dato che lei conosce il territorio,
cosa può significare, in questo momento, la presenza del Pontefice lì, per la gente
ed anche per le autorità dei singoli Paesi?
R. - Particolarmente in Messico,
il problema del narcotraffico è di notevoli dimensioni ed il Paese sta chiaramente
soffrendo questa situazione. E quando ci sono scontri con i narcotrafficanti, in Messico,
questi si estendono anche nel resto del Centro America. La presenza del Papa sarà
senz’altro un invito molto diretto e molto forte in favore della pace. Penso che il
popolo messicano, che ama tanto il Papa e la Chiesa, troverà dei motivi di speranza
e di ottimismo in mezzo ad una situazione che non è affatto facile. Credo che anche
il viaggio a Cuba sarà molto interessante: Cuba è sempre nei pensieri e nell’anima
di tutti i latinoamericani. E’ un popolo, quello cubano, con una situazione ed una
storia alquanto particolari, ed ultimamente si vede a Cuba una crescita per quanto
riguarda il rispetto nei confronti della Chiesa cattolica.
D. - C’è un ricordo
o un insegnamento che lei porta con sé della persona di mons. Romero?
R. -
Io ero in seminario: conoscevamo Romero, ascoltavamo le sue omelie. La sua figura
era davvero molto apprezzata, e devo dire che per il mio impegno in favore dei più
poveri, delle persone che sono “senza voce”, Romero continua ad essere ispiratore.
(vv)