Marino (Confcooperative) sulla riforma del lavoro: accettiamo sacrifici per senso
di responsabilità
Per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la riforma del lavoro non porterà
a una valanga licenziamenti facili. Intanto il segretario del Pdl Alfano chiede che
il provvedimento sia varato entro l’estate, mentre il leader dl Pd Bersani ribadisce
che sull’articolo 18 non accetta una soluzione unicamente di monetizzazione. Ma quale
è l’opinione degli imprenditori, soprattutto di chi gestisce le piccole aziende, di
fronte a questa riforma del lavoro? Alessandro Guarasci ha sentito il presidente
di Confcooperative Luigi Marino
R.
- La riforma è importante non soltanto perché ce lo chiede l’Europa, ma perché serve
per aumentare la competitività e la capacità concorrenziale del “sistema-Italia” nei
confronti dell’Europa e del mondo.
D. - Pensa che sull’articolo 18, soprattutto
sui licenziamenti economici, si debba arrivare, in qualche modo, a qualche aggiustamento
in Parlamento? Ci sono preoccupazioni che colpiscono i sindacati in modo abbastanza
esteso…
R. - Credo che la riforma vada vista nel suo insieme. In essa ci sono
tre temi: la flessibilità in entrata, gli ammortizzatori sociali e la flessibilità
in uscita sull’articolo 18. Sui primi due gli oneri a carico delle imprese, da oggi
fino al 2017, sono cospicui ed aumenteranno il costo del lavoro. Abbiamo accettato,
come mondo imprenditoriale e cooperativo, questi sacrifici per un senso di responsabilità
e per avere una maggiore flessibilità in uscita che fosse corretta e dove si evitassero
gli abusi, ma che ci fosse comunque una flessibilità in uscita rispetto a regole antiquate.
Probabilmente, invece, si avrà un testo un po’ pasticciato in cui, forse, proprio
per cercare il consenso più ampio, si finirà per dare nuovamente alla magistratura
del lavoro dei compiti che la magistratura ha svolto, in passato, in modo pessimo
e con ritardo.
D. - Lei teme lo scatenarsi di conflitti sociali, le sembra
possibile uno scenario di questo genere ad oggi?
R. - Mi auguro proprio di
no. E’ vero che la paura dello spread è diminuita, ma il Paese deve sapere che è in
recessione, cioè in forte crisi. E la crisi e la recessione si superano soprattutto
mettendo davanti il senso di responsabilità, impegnandosi duramente, con sacrifici
e con dedizione, per la causa comune. La causa comune è quella degli imprenditori
che devono fare meglio il loro mestiere, come anche le cooperative, e quella dei sindacati
che devono considerare il fatto che bisogna produrre ricchezza per poterla distribuire.
Se però la ricchezza non è prodotta, non si distribuisce nulla e soprattutto non si
creano posti di lavoro.
D. - Lei crede al fatto che, da questa riforma, possa
arrivare anche maggior produttività ed il Paese possa quindi ripartire, oppure bisogna
ancora rafforzare la cosiddetta “fase 2”?
R. - Questo è uno dei tasselli. Quando
si deve rimettere in piedi un Paese, che vive una crisi come questa, lo si deve fare
toccando diversi tasti. C’è anche il tasto del mercato del lavoro, ma penso che ci
possa e debba essere quello di una maggiore robustezza delle nostre imprese. Le nostre
imprese sono sottocapitalizzate, non ben dimensionate, non sono internazionalizzate
bene ed hanno scarse capacità manageriali. Inoltre, hanno una qualità del lavoro non
eccelsa ed una ridotta produttività. Non deve, quindi, lavorare soltanto il governo
sul mercato del lavoro, ma devono lavorare anche le imprese al proprio interno, per
rendersi più competitive nei confronti del mondo. (vv)