Slovacchia: i vescovi sul 70.mo della deportazione degli ebrei
“L’ambiente secolarizzato della moderna società europea ha generato ideologie totalitarie,
che aspiravano a sostituire la religione. È stato tuttavia dimostrato che queste hanno
condotto l’Europa e l’intera umanità a grandi ondate di violenza e di ingiustizia”.
Lo scrivono i vescovi slovacchi in una dichiarazione pubblicata in occasione del 70°
anniversario delle deportazioni degli ebrei dal Paese. La prima deportazione di ragazze
e giovani donne al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau avvenne il 25 marzo
1942 e fu seguita da una serie di deportazioni di oltre 70.000 ebrei. I vescovi cattolici
ed evangelici ammonirono i leader politici a non attuare le leggi razziali, ma le
loro voci rimasero “inascoltate ed emarginate”. “Quasi tutti gli ebrei deportati morirono
a causa del trattamento disumano dei campi nazisti. È una realtà che non si può cambiare.
Questi fatti dolorosi ci motivano, in quanto cristiani cattolici, ad un’espressione
di sincero e profondo dispiacere per questa tragedia”, si legge nella dichiarazione
della Conferenza episcopale. La Slovacchia detiene il primato, tra i Paesi dell’Europa
centrale, per numero di ebrei salvati: una realtà confermata dal fatto che il titolo
di “Giusto tra le nazioni”, conferito a coloro che rischiarono la propria vita durante
l’Olocausto per salvare gli ebrei dallo sterminio, è stato concesso a 540 cittadini
slovacchi. “Gli interventi dei vescovi, dei sacerdoti e dei laici, l’occultamento
degli ebrei nei conventi e nelle famiglie cristiane, l’emissione di falsi documenti
ufficiali: tutto questo è stato espressione di amore cristiano per il prossimo”, concludono
i vescovi, affermando che “il passato non si può modificare ma ci può servire da lezione”
e i cristiani possono fare molto per diventare “portatori di speranza”.