La memoria per sconfiggere le mafie. Oggi 17.ma Giornata dell'impegno contro le cosche
Attraversano tutta l’Italia gli eventi organizzati per celebrare oggi la 17.ma “Giornata
della memoria e dell’impegno” contro le mafie, promossa dalle Associazioni Libera
e Avviso Pubblico. In molte luoghi delle città, dalle piazze, alle scuole, alle parrocchie,
verranno letti gli oltre 900 nomi delle vittime della criminalità organizzata: cittadini,
magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori,
sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per aver compiuto il
loro dovere. Tra loro c’è il nome di Serafino Famà, avvocato penalista ucciso a Catania
il 9 novembre del 1995 a causa della sua onestà, ritenuta una sfida alla mafia. FrancescaSabatinelli ha intervistato la figlia Flavia Famà, che ha lasciato la
Sicilia per trasferirsi a Roma:
R. - Io sono
andata via nel 2001 per il dolore e perché l’ho vissuto sempre in maniera molto privata.
Non ne volevo parlare, non volevo ricordare quello che era accaduto, pensavo che fosse
una cosa che non riguardava assolutamente gli altri; per me era troppo forte e volevo
ricominciare da zero, senza ricordare più questo episodio così drammatico. Durante
il mio percorso di vita ho incontrato Libera - un 21 marzo - e lì ho capito il valore
della testimonianza, il valore della condivisione e non solo, perché finalmente non
mi sono sentita più sola, perché ho conosciuto tutti gli altri familiari, penso alla
figlia del giudice Antonino Scopelliti, alla figlia del sindaco di Pagani, Marcello
Torre, che hanno trasformato il loro dolore in impegno concreto di cambiamento della
società. Si lavora tanto nelle scuole, con i ragazzi, perché è giusto ricordare le
grandi stragi, ma è anche giusto ricordare quelle persone che facevano semplicemente
il loro lavoro, che credevano negli ideali di legalità e di giustizia e che hanno
perso la vita affinché questa fosse una società più giusta e più libera. Noi chiediamo
che il 21 marzo sia riconosciuta come giornata nazionale, perché sono 17 anni che
ci muoviamo in tutta Italia, ogni anno in una città, proprio per leggere questo lunghissimo
elenco di nomi: oltre 900 vittime.
D. - Flavia Famà, all’inizio di marzo con
don Ciotti ha incontrato il presidente della Repubblica Napolitano. Avete chiesto
al Capo dello Stato che si organizzi una Giornata nazionale della memoria in ricordo
delle vittime della mafia. Perché l’iter per l’istituzione di questa Giornata non
è andato avanti?
R. - Insieme con Alessandra Clemente, (la figlia di Silvia
Ruotolo), e Franco La Torre (figlio di Pio La Torre) e con Don Ciotti, siamo andati
dal presidente inizialmente per portare un milione e 200 mila firme affinché lo Stato
italiano recepisca la normativa contro la corruzione, confisca e riutilizzo dei beni
anche confiscati ai corrotti. Con l’occasione abbiamo presentato questa richiesta
affinché il 21 marzo venga riconosciuta e istituita come Giornata nazionale. C’è il
disegno di legge, ma è fermo!
D. - Sono anni, molti anni, che voi familiari
delle vittime - 500 - vi incontrare: in questo periodo come vi siete rapportati l’uno
con l’altro? Come vi siete sostenuti?
R. – Per me, come dicevo, è stato fondamentale
l’incontro con gli altri familiari, perché ho finalmente capito che qualcun altro
aveva dentro di sé lo stesso dolore, lo stesso senso di impotenza, di inadeguatezza
e di rabbia, che prima pensavo che nessun altro potesse capire. Insieme abbiamo la
forza di sostenerci l’un l’altro, anche semplicemente sentendoci durante l’anno: ognuno
di noi racconta cosa fa nel territorio, la risposta dei ragazzi, la risposta della
gente… Quindi il 21 marzo, per noi, è anche una festa; non è soltanto la lettura -
quasi sacrale - di questi 900 nomi, ma è anche un modo per ritrovarci, come fossimo
fratelli. Noi ci definiamo “fratelli di sangue”, perché quel sangue versato dai nostri
cari che ci ha fatti incontrare, ci unisce e c’è un legame molto forte fra di noi.
D. - Il mandante e gli esecutori materiali dell’omicidio di suo padre sono
stati arrestati. Questo lenisce il dolore rispetto a quello che può provare un familiare
che non ha visto gli assassini del proprio caro consegnati alla giustizia?
R.
- In realtà il dolore non si placa mai. Sicuramente è molto più forte la rabbia, il
rammarico, che può provare qualcuno come Rosanna Scopelliti che ancora dopo tanti
anni non ha avuto giustizia. Ma ce ne sono tanti. Una delle cose fondamentali che
chiediamo e sulla quale ci confrontiamo spesso tra noi familiari è verità e giustizia:
sapere che chi ha tolto la vita dei nostri cari paghi. Quella è una cosa fondamentale!
Il dolore, il senso di vuoto rimane… Sicuramente, però, avere verità e giustizia può
alleviare. (mg)