Diotallevi sulla riforma del mercato del lavoro: non si ferma al vecchio modo della
concertazione
Un pacchetto di 16 ore di sciopero, di cui 8 per uno sciopero generale. E' questa
la proposta della segreteria della Cgil al direttivo del sindacato, ora riunito, contro
la riforma del mercato del lavoro e le modifiche all'articolo 18. Intanto, il segretario
del Pd, Pierluigi Bersani dice di non sapere se di accordo si può si può parlare.
Il responsabile del welfare del partito, Giuseppe Fioroni, chiede però di appoggiare
la riforma. In gran parte positivi i commenti del centrodestra. Per un commento, Alessandro
Guarasci ha sentito il parere di Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato
delle Settimane Sociali:
R. – L’accordo
va in una direzione giusta almeno per due ragioni. La prima è che aumenta la flessibilità
del mercato del lavoro, la seconda è che non si ferma alle vecchie convenzioni della
concertazione: si ricerca l’accordo, ma fa parte dell’autonomia della politica, se
l’accordo non viene, di andare più avanti. Altro è dire che il lavoro è compiuto.
Il lavoro assolutamente non è compiuto, perché resta ancora, tra virgolette, lo scandalo
di una pubblica amministrazione in cui i garantiti sono tali, anche al di là di ogni
controllo della loro produttività.
D. – Una riforma pensata anche per regolare
la flessibilità in entrata, secondo lei?
R. – Naturalmente, i modelli che abbiamo,
pensiamo a quello danese, sono molto più evoluti: il cammino è da compiere, ma soprattutto
in questo momento – direi – non lasciamoci per strada le condizioni ingiustificatamente
protette nelle quali opera la pubblica amministrazione. D. – Si andrà a una revisione
degli ammortizzatori sociali: rimangono fuori, però, tutta una serie di categorie
come collaboratori, lavoratori intermittenti… Insomma, una parte del precariato rischia
di rimanere fuori da alcuni benefici che riguardano ancora i lavori cosiddetti protetti...
R.
– La strada da compiere è ancora lunga ed è difficile che la possa compiere un governo
tecnico. In questo caso, è positivo che si sia fatto un passo nella stessa direzione
che fu di Tarantelli, di Biagi e di D’Antona: ce ne sono, come giustamente dice lei,
ancora molti da fare. Io sottolineerei solo, – con un richiamo alla Centesimus
Annus – come tutto questo sia esattamente nella direzione della Dottrina sociale
della Chiesa, che ricorda che garantire il diritto al lavoro non è, appunto, garantire
ad ogni costo il posto di lavoro.
D. – C’è stata una spaccatura sull’articolo
18: secondo lei, è una questione di merito o soprattutto ideologica?
R. – Una
certa idea di certe garanzie è l’anima di una sinistra, più che rivoluzionaria, direi
conservatrice, fortemente conservatrice, presente in Italia e non solo nella Fiom-Cigl
e in tante aree, ma certamente in questo momento rappresentata soprattutto da questa
porzione del mondo sindacale.
D. – Lei teme dei possibili conflitti sociali?
R.
– Se noi, per conflitti sociali, intendiamo sommovimenti di pezzi di opinione pubblica
contro altri pezzi di opinione pubblica, naturalmente no. Io credo che questa riforma
abbia dietro un grande consenso. Se invece pensiamo – com’è successo questa mattina
a Torino – che pochi gruppi, i soliti, si facciano sentire, anche in modo sanguinoso,
questo è altamente probabile. Ma non confondiamo la terribile eclatanza di questi
gesti con il fatto che abbiano dietro molti: anzi questi gesti sono terribili proprio
per occultare che il consenso dietro di loro è modesto. (mg)