Ancora discussioni sulla riforma del mercato del Lavoro
La riforma del mercato del lavoro ''non può essere identificata con la sola modifica
dell'articolo 18: per poter dare un giudizio bisogna vedere il quadro di insieme''.
Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il clima però
resta caldo: contraria la Cgil che va verso un pacchetto di 16 ore di sciopero. Oggi
momento decisivo per la riforma con l’incontro fra Governo e parti sociali. Il servizio
di Debora Donnini:
Non si spegne
la discussione sulla riforma del mercato del Lavoro, dopo la presentazione delle modifiche
del governo all’articolo 18 sullo statuto dei lavoratori: non cambia nulla in caso
di licenziamento per discriminazione mentre per motivi economici ci sarà solo l’indennizzo
e per quelli disciplinari spetta al giudice la scelta fra reintegro o indennizzo.
Si discute se le novità siano estendibili anche ai lavoratori statali. Per il dipartimento
della Funzione pubblica, le nuove norme sui licenziamenti senza giusta causa e senza
giustificato motivo saranno applicate anche ai lavoratori pubblici poiché anche a
loro si applica lo Statuto dei lavoratori. Netto il no della Cgil. La leader Camusso
promette che si farà di tutto per contrastare la riforma e accusa il governo di essere
attento al mercato e non altrettanto ai lavoratori. Sì condizionato a modifiche dalla
Uil mentre la Cisl parla di mediazione ragionevole. Bonanni specifica che la parte
sull’articolo 18 è un compromesso, può essere migliorato ma dice “no” all’estensione
agli statali. Diverse le posizioni fra i partiti: Bersani risponde ai cronisti: non
so se si può parlare di accordo. No dalla Lega e Idv. Sostegno dal Pdl. Per l’Udc
la si può migliorare in parlamento ma la riforma del mercato del lavoro è un atto
coraggioso. Sostegno anche dall’Unione europea.
Per un commento, Alessandro
Guarasci ha sentito il parere di Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato
delle Settimane Sociali:
R. – L’accordo
va in una direzione giusta almeno per due ragioni. La prima è che aumenta la flessibilità
del mercato del lavoro, la seconda è che non si ferma alle vecchie convenzioni della
concertazione: si ricerca l’accordo, ma fa parte dell’autonomia della politica, se
l’accordo non viene, di andare più avanti. Altro è dire che il lavoro è compiuto.
Il lavoro assolutamente non è compiuto, perché resta ancora, tra virgolette, lo scandalo
di una pubblica amministrazione in cui i garantiti sono tali, anche al di là di ogni
controllo della loro produttività.
D. – Una riforma pensata anche per regolare
la flessibilità in entrata, secondo lei?
R. – Naturalmente, i modelli che abbiamo,
pensiamo a quello danese, sono molto più evoluti: il cammino è da compiere, ma soprattutto
in questo momento – direi – non lasciamoci per strada le condizioni ingiustificatamente
protette nelle quali opera la pubblica amministrazione. D. – Si andrà a una revisione
degli ammortizzatori sociali: rimangono fuori, però, tutta una serie di categorie
come collaboratori, lavoratori intermittenti… Insomma, una parte del precariato rischia
di rimanere fuori da alcuni benefici che riguardano ancora i lavori cosiddetti protetti...
R.
– La strada da compiere è ancora lunga ed è difficile che la possa compiere un governo
tecnico. In questo caso, è positivo che si sia fatto un passo nella stessa direzione
che fu di Tarantelli, di Biagi e di D’Antona: ce ne sono, come giustamente dice lei,
ancora molti da fare. Io sottolineerei solo, – con un richiamo alla Centesimus
Annus – come tutto questo sia esattamente nella direzione della Dottrina sociale
della Chiesa, che ricorda che garantire il diritto al lavoro non è, appunto, garantire
ad ogni costo il posto di lavoro.
D. – C’è stata una spaccatura sull’articolo
18: secondo lei, è una questione di merito o soprattutto ideologica?
R. – Una
certa idea di certe garanzie è l’anima di una sinistra, più che rivoluzionaria, direi
conservatrice, fortemente conservatrice, presente in Italia e non solo nella Fiom-Cigl
e in tante aree, ma certamente in questo momento rappresentata soprattutto da questa
porzione del mondo sindacale.
D. – Lei teme dei possibili conflitti sociali? R.
– Se noi, per conflitti sociali, intendiamo sommovimenti di pezzi di opinione pubblica
contro altri pezzi di opinione pubblica, naturalmente no. Io credo che questa riforma
abbia dietro un grande consenso. Se invece pensiamo – com’è successo questa mattina
a Torino – che pochi gruppi, i soliti, si facciano sentire, anche in modo sanguinoso,
questo è altamente probabile. Ma non confondiamo la terribile eclatanza di questi
gesti con il fatto che abbiano dietro molti: anzi questi gesti sono terribili proprio
per occultare che il consenso dietro di loro è modesto. (mg)