Presidenziali in Guinea: favorito l’ex primo ministro Gomes Junior
Si vota oggi in Guinea Bissau per eleggere il nuovo presidente, dopo la scomparsa
prematura, a gennaio, del capo di Stato, Bacai Sanha, che era riuscito a rafforzare
la credibilità del Paese con la cancellazione del suo debito esterno. Circa 600 mila
gli aventi diritto che saranno chiamati a scegliere tra 14 candidati, ma favorito
resta l’ex primo ministro Carlo Gomes Junior. Sono 180 gli osservatori chiamati a
vigilare sul voto, affinché sia libero e trasparente, secondo l’auspicio dell’Onu.
Qual è dunque il clima nel Paese? Cecilia Seppia ha raccolto il commento di
donDavide Sciocco, direttore di Radio “Solmanzi” in Guinea Bissau:
R. - Il clima,
attualmente, è molto tranquillo. Ci sono stati 15 giorni di campagna elettorale ufficiale
in cui i comizi si sono svolti con calma e con molta gente ma senza nessuno scontro.
Il clima, quindi, è civile e di rispetto reciproco. La preoccupazione è sempre per
il dopo-elezioni, nel caso ci fosse qualche parte che non accettasse i risultati elettorali.
D.
- Visti gli scioperi e le manifestazioni di questi giorni, forse queste presidenziali
anticipate non saranno così sicure…
R. - Gli scioperi ci sono stati nelle scorse
settimane perché ogni categoria ha voluto fare un po’ pressione in vista delle elezioni.
L’unico sciopero che è ancora in corso, ad intermittenza, è quello della scuola, mentre
gli altri sono stati sospesi. E’ certo che tutto il governo ha appoggiato un candidato
e questo fa in modo che le elezioni non siano proprio giuste. Magari saranno trasparenti
e libere, ma non saranno state giuste. Gli osservatori internazionali, purtroppo,
non hanno mai il coraggio di denunciare queste cose.
D. - E’ un Paese diviso,
afflitto dalla piaga della povertà ma soprattutto da quella del narcotraffico. Questo
scrutinio, quindi, è considerato un test importante su questo fronte…
R. -
Il traffico della droga, purtroppo, è una piaga che ha colpito i settori più alti
dello Stato. Chi assumerà il potere dovrà perciò avere il coraggio di affrontare questo
problema. Questa instabilità è fomentata anche dai narcotrafficanti, cui fa comodo
uno Stato debole, che quindi non riesce a controllare questo fronte.
D. - Pochi
giorni fa, si è ritirato dalla competizione elettorale Ibraima Alfa Djalo, leader
del Congresso nazionale africano, denunciando che le elezioni partono sbilanciate,
proprio perché il “Partito africano per l’indipendenza” ha sfruttato un po’ la sua
posizione dominante, imponendo la mancata registrazione di migliaia di giovani elettori.
E’ così, che notizie si hanno in proposito?
R. - La sua denuncia è corretta
perché il governo, in questi anni, non esigeva che la Commissione nazionale delle
elezioni portasse avanti l’aggiornamento del censimento. Queste elezioni, che secondo
la Costituzione dovevano essere organizzate entro due mesi dalla morte del presidente,
inevitabilmente non hanno potuto contare su chi è diventato maggiorenne in questi
tre anni. La colpa, però, è anche delle pressioni, fatte fin dall’inizio dall’opposizione,
affinché si rispettasse la Costituzione. Questo ha avvantaggiato il partito al potere,
che era l’unico ad avere i mezzi e la struttura pronta per una campagna elettorale
di questo tipo.
D. - Un’altra questione da superare è la predominanza dell’esercito
che, tra l’altro, ha tentato, negli anni precedenti, vari colpi di Stato proprio per
rovesciare il potere. L’esercito è il vero “padrone” del Paese ed è anche un ostacolo
alla costruzione di una democrazia stabile?
R. - Sì. Diciamo che l’esercito
condiziona l’andamento del Paese. E’ anche vero che ci sono molti politici che strumentalizzano
l’esercito per fare i propri interessi. Si tratta, quindi, di un gioco un po’ complesso:
non è direttamente l’esercito ad avere in mano lo Stato, ma è anche chi fa parte dello
Stato ad usare l’esercito per portare avanti i propri interessi. Sicuramente non è
un esercito democratico, non è un esercito che vive solo per difendere la nazione,
e questo è un altro grande problema. (vv)