Ordigni a Damasco fanno 27 morti. Lo scrittore Hamadi racconta il dramma dei siriani
Ancora una giornata di violenza in Siria. Sono almeno 27 le persone rimaste uccise
da due autobombe, esplose a Damasco nei pressi del quartier generale dei servizi di
intelligence dell'aeronautica e vicino a una piazza del centro. Sconosciuta
al momento la matrice del duplice attacco. Ma quelli della capitale non sono gli unici
fatti di sangue avvenuti oggi: altre quattro persone sono state uccise in mattinata
a Raqqa, nel nord del Paese. Le forze fedeli al presidente, Bashar al Assad, hanno
sparato contro un corteo funebre. Sulla situazione in Siria, Salvatore Sabatino
ha raccolto la tragica testimonianza del giovane scrittore italo-siriano Shady
Hamadi, che racconta il dramma che la popolazione di quel Paese sta vivendo. Ascoltiamo:
R. – Ho sentito
alcune persone per telefono, tramite Skype – che abitavano nel quartiere di Bab Amro,
nella città di Homs – e hanno raccontato che durante l’assedio dell’esercito siriano
in questa zona, sono stati usati molti tipi di armi differenti. Una persona, attraverso
Skype, mi ha fatto vedere una ferita in cui aveva quasi tutta una parte dell'addome
gravemente compromesso, e raccontava che hanno usato proiettili che esplodono all’interno
della parte colpita. Oltre a questo, ci sono testimonianze di altre persone che ho
sentito e che raccontano dell’uso di gas – ancora non hanno capito quale tipo di gas
sia stato usato – che quasi narcotizzava le persone e irritava specialmente gli occhi
e le vie respiratorie.
D. – Tra l’altro la violenza, abbiamo visto, non guarda
in faccia a nessuno. Sono moltissimi i bambini morti durante queste settimane…
R.
– A me piace sempre ripeterlo: questa rivoluzione è partita dai bambini, quelli di
Dera: non è assolutamente una rivoluzione islamica, né capeggiata da islamisti di
qualsiasi tipo. E’ una rivoluzione popolare fatta dai bambini e l’esercito siriano
sta colpendo proprio quei simboli, che per la famiglia siriana implicano una fragilità
specifica: bambini e donne. Abbiamo testimonianze di come le donne vengano portate
fuori dai villaggi e stuprate dagli “squadroni della morte”, stupri volti a far ricadere
la colpa verso le minoranze. Stanno istigando in tutti i modi un conflitto settario
nel Paese.
D. – Un conflitto settario, però, che non esiste, anche perché
la popolazione siriana nonostante tutto è rimasta compatta ..
R. – Basta studiare
la storia del Paese, quella recente. Il ministro dell’Interno più amato nella storia
siriana è stato un cristiano. Nella Siria del passato, la convivialità e la fratellanza,
tra le minoranze religiose, è qualcosa di assodato. Padre Paolo dall’Oglio – che è
credente in Gesù, ma è innamorato dell’Islam – ci ha raccontato nel suo bellissimo
libro, di come questa convivialità tra le fedi sia un fatto non nuovo – come vuole
raccontare il regime, cioè derivante dall’arrivo del Baath nel Paese nel 1963 – ma
è frutto di migliaia di anni.
D. – Qualche settimana fa hai scritto una lettera
al Santo Padre, che è stata pubblicata anche da Famiglia Cristiana. Vogliamo riassumerla
brevemente?
R. – Io questa lettera l’ho scritta nella disperazione più totale
di quello che sta accadendo nel Paese, per chiedere di creare un dialogo o rendersi
mediatore per fermare questa lunga scia di sangue, che sta costando molto al popolo
siriano. Ho voluto precisare che non bisogna aver paura del futuro: non bisogna pensare
in questo momento alla paura dell’ignoto, che può esserci nel futuro, ma pensare alla
necessità di preservare l’essere umano ed i rapporti tra gli umani.
D. – Secondo
te, quale può essere la chiave di volta per interrompere questa spirale di violenza?
R.
– Io credo, a questo punto – vista l’empasse del diritto internazionale, che
non si riesce a sbloccare – bisogna aprire un canale di dialogo credibile con chi
veramente rappresenta i siriani in patria. Adesso, abbiamo visto che il Cns, il Consiglio
nazionale siriano, sta sfaldandosi a causa dell’uscita di alcuni membri dal Consiglio,
che denunciavano mancanza di trasparenza e democrazia. Credo che bisognerebbe cercare
i veri leader che stanno sul territorio, a ianco della propria gente. Ma credo, oltretutto,
che serva una mobilitazione di massa – soprattutto in Italia ed in Europa – per sapere
cosa sta accadendo in Siria. Questo può salvare il mio popolo dal martirio. (cp)