2012-03-17 16:05:39

Giornata contro le mafie: le testimonianze di Stefania Grasso e don Luigi Ciotti


Decine di migliaia di persone, circa 100 mila, hanno invaso Genova per celebrare la 17.ma Giornata della Memoria e dell’Impegno, organizzata dall’Associazione Libera. Il corteo, che ha attraversato la città, è stato aperto da uno striscione retto da alcuni familiari delle vittime della mafia, guidati da don Luigi Ciotti, presidente di Libera, al quale è arrivato un messaggio del presidente, Giorgio Napolitano, nel quale il capo dello Stato sottolinea come il costante impegno nel ricordare le vittime della mafia tolga spazio alle cosche. A don Ciotti, Francesca Sabatinelli ha chiesto di quale cambiamento la società abbia bisogno per uscire dalla stretta delle cosche:RealAudioMP3

R. - Il cambiamento ha veramente bisogno di ciascuno di noi. È un impegno per la democrazia, che si fonda su due grandi doni: la dignità umana e la giustizia. Ma la democrazia non starà mai in piedi se non c’è l’assunzione della responsabilità da parte nostra e soprattutto da parte dello Stato e delle istituzioni. Siamo quindi chiamati ad assumerci la nostra parte di responsabilità anche nel contrasto alle varie forme d’illegalità, di violenza, di corruzione, anche rispetto ai giochi criminali e alle mafie.

D. - Il presidente Napolitano le ha inviato un messaggio, in cui rileva come il ricordo delle vittime toglie spazio alle cosche…

R. - Il miglior modo di fare memoria è di impegnarci di più, di fare la nostra parte, di assumerci la nostra quota di responsabilità. E poi, soprattutto, è importante che non ci sia mai la retorica della memoria: la memoria è un dovere, è una responsabilità che dobbiamo trasmettere per non dimenticare, per prendere coscienza, veramente, che, oggi più che mai, dobbiamo fortemente metterci tutti in gioco.

D. - Lei ieri ha ribadito con forza che i mafiosi sono fuori dalla Chiesa…

R. - Purtroppo in molti contesti ci sono ancora delle ambiguità. In alcune parti della Chiesa questo problema rimane sottovalutato. La zona grigia, che purtroppo è ben diffusa in vari contesti, a volte tocca anche alcune delle nostre realtà. Abbiamo il dovere di essere persone più attente, più informate, più vere. Papa Benedetto XVI, a Palermo due anni fa, ha ribadito con forza che “la mafia è una strada di morte.” L’aveva già detto Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi. Noi dovremmo ribadirlo continuamente, con chiarezza e con fermezza. Chi ha scelto quei giochi criminali è fuori dalla comunione della Chiesa. La Chiesa deve avere chiarezza e fermezza. Un “no alla violenza” da qualunque parte essa arrivi. Ci sono delle belle, meravigliose testimonianze nella Chiesa: di comunità, di sacerdoti, di religiosi, di cristiani che in questi giorni si sporcano veramente tanto, tanto, tanto le mani per saldare la terra con il cielo.

D. - Ricordiamo infatti, che ci sono stati uomini di Chiesa caduti sotto i colpi delle cosche...

R. – Come don Peppino Diana e don Puglisi. Penso anche ai tanti amici che oggi sono minacciati perché veramente portano alla luce la Parola di Dio, che a volte è una parola difficile, scomoda, una parola che chiede verità. La parola che noi troviamo nel Vangelo è una parola di giustizia, è un invito a sporcarci di più le mani. Amare Dio vuol dire amare il prossimo, vuol dire che la diversità non deve diventare in nessun modo avversità, vuol dire che riconoscere gli altri significa riconoscere se stessi. La Parola di Dio è una parola chiara, ferma, coraggiosa. Ci chiede di batterci contro l’ingiustizia, di stare dalla parte delle persone più deboli e più fragili. Ecco la meraviglia che non possiamo dimenticare.

D. - Lei dice:“Ci dobbiamo sporcare le mani, se le devono sporcare tutti”. In questo momento a chi indirizza questo messaggio?

R. - A tutti. Io credo che un esame di coscienza debba coinvolgerci veramente tutti. Sono 150 anni che parliamo di mafie nel nostro Paese! Non è possibile, non è possibile che da 150 anni parliamo di contrastare la mafia! Vuol dire che a parlarne ne parlano tutti, ma poi nei fatti ci sono delle resistenze, dei ritardi, delle ambiguità, delle cose che vanno nella direzione opposta. Allora siamo chiamati a fare ancora di più la nostra parte, con maggiore coerenza e soprattutto a dare valore alle parole. Abbiamo la responsabilità delle parole. (bi)

A Genova è presente anche Stefania Grasso, figlia del commerciante Vincenzo Grasso, assassinato a Locri nel 1989 per non aver pagato il pizzo. Un’indagine ormai archiviata, un omicidio ancora oggi senza colpevoli. Francesca Sabatinelli le ha chiesto in che modo oggi lei sia testimone della memoria di suo padre: RealAudioMP3

R. – Il senso della parola “memoria” è portare avanti quelle che erano le idee, il modo di vivere dei nostri familiari. Non erano eroi ma persone comuni, che avevano scelto di comportarsi bene e che per questo hanno pagato. La maggior parte di loro ha lasciato sole purtroppo molte famiglie; grazie a Dio queste famiglie si sono incontrate in Libera e oggi hanno trasformato il fare memoria in un impegno quotidiano.

D. – Stefania, suo padre Vincenzo era una persona comune, il suo ribellarsi al racket è stato però un gesto di eroismo...

R. – No, secondo me sono gesti che dovrebbero fare tutti, sono gesti normali. Il suo gesto è stato quello di dire: “Io non posso pagare e denuncio”. Mio padre aveva paura, come tutte le persone che sono sottoposte a minacce. L’unica cosa di cui era convinto è che se diventi schiavo, la tua vita poi non avrà più quel valore di libertà che ti può far vivere sereno. E come quella di mio padre ci sono tantissime altre storie di scelte semplici. Ieri, alla veglia dei familiari, il papà di Domenico Gabriele, un bambino assassinato a Crotone, ha detto: “Dicono sempre che mio figlio si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma io dico che non è così, io dico che mio figlio si trovava nel posto giusto al momento giusto, erano gli assassini che non dovevano trovarsi lì”. Con queste parole ci ha dato il senso dell’impegno di chiedere che ci sia una maggiore coscienza civile. Se non reagiamo siamo tutti a rischio: tutti quanti.

D. – Lei come ha fatto a superare la dimensione della rabbia e dell’odio?

R. – La rabbia è stata un sentimento che mi ha accompagnato a lungo. Ancora oggi non posso negare di avere dei momenti di rabbia, quando vedo che non si applicano correttamente le leggi, che non vengono fatte leggi giuste e che magari molte persone che commettono reati escono facilmente dal carcere. Per noi, che siamo dalla parte di chi ha subìto, è un’amarezza e non può che fare rabbia. Odio no, perché odio è una parola forte e non sarei assolutamente figlia di mio padre. Mio padre ci ha educati alla vita, al rispetto della vita. L’odio è un sentimento che invece porta morte, porta rancore. Il sentimento che ci ha accompagnati, piuttosto, è la richiesta di giustizia che accompagna me e tutti i familiari, perché la maggior parte di noi non ha avuto la possibilità appunto di avere giustizia. E questo è anche il significato della marcia di oggi: domanda di verità e giustizia, perché in troppe situazioni la rabbia è scattata proprio dalla mancanza di giustizia.

D. – Sono stati catturati gli assassini di suo padre, o i mandanti?

R. – No, no. Purtroppo no.

D. – Lei vive ancora a Locri?

R. – Sì, vivo ancora nel paese dove è stato ucciso mio padre. Io amo molto la mia terra, che è piena di gente perbene. Dovremmo riuscire ad avere la capacità di reagire, e di capire che non c’è un futuro se non in una società in cui vengono rispettate le regole. Questa è una cosa difficile, per la mentalità che si sta diffondendo: il non credere più che il benessere di tutti nasce anche dal rispetto di tutte le regole di una società civile. Ogni mattina mi domando se sia il caso di andarmene dal mio paese ma ogni giorno scelgo di restare: è il paese dove sono nata, dove c’è la tomba di mio padre.

D. – L’amore per la sua terra le consente di avere la forza di restarci, nonostante le difficoltà. Quando si parla della regione Calabria spesso si sente quasi una sorta di rassegnazione, come se fosse la regione più schiacciata dalle cosche...

R. – Purtroppo è un dato di fatto. La verità, però, è un’altra, non è solo la Calabria ad essere schiacciata, è risaputo che la ‘ndrangheta controlla ormai parecchie regioni del Nord Italia. Certo, da noi c’è la pressione legata proprio alla presenza fisica, che è più evidente perché la vivi, la senti; ritengo però che tutto il Paese sia a rischio e che tutto il Paese debba assolutamente reagire. Noi siamo a Genova per la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno, ma è il 21 marzo la giornata che noi familiari delle vittime abbiamo scelto per ricordare i nostri cari, il primo giorno di primavera. Siamo 500 familiari e tutti abbiamo scelto questo giorno 17 anni fa. Noi abbiamo chiesto che venisse riconosciuto come festa nazionale e invece abbiamo saputo che, a livello parlamentare, alcuni dicono che non è il giorno giusto, che andrebbe fatto il 23 maggio, perché è lì che è cominciata la lotta alle mafie. Noi ci teniamo a dire, e con noi tutti i sindacalisti di Portella della Ginestra, il nipote di Placido Rizzotto, che la lotta alle mafie è cominciata prima. Il 21 marzo è davvero il giorno di tutti.(ap)







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