Siria: solo ieri oltre 50 morti. Chiuse le ambasciate dei Paesi arabi ed europei
Nel primo anniversario dall’inizio delle tensioni, ieri, in Siria ancora morti. Oltre
50 le persone uccise in poche ore. E mentre numerosi Paesi arabi ed europei chiudevano
le proprie ambasciate a Damasco, la Turchia annunciava un piano speciale per accogliere
i profughi. Il servizio di Marina Calculli:
Una crisi,
quella siriana, iniziata un anno fa e che ha causato quasi 10mila vittime ed oltre
230mila profughi. Salvatore Sabatino ha chiesto di tracciare un bilancio di
quest’anno drammatico a Paolo Branca, esperto di Paesi arabi dell’Università
Cattolica di Milano:
R. - E’ stato un anno molto doloroso, in cui un Paese
importante del Medio Oriente, assieme ad altri, è stato interessato da questi movimenti
di piazza, dove però non si è trovata una via per introdurre un cambiamento. Anche
negli altri c’è da dire che le cose non sono state facili: regimi pluridecennali sono
andati in crisi, come in Tunisia, in Egitto e in Libia. La Siria, purtroppo, ha delle
caratteristiche interne, e probabilmente anche una posizione geopolitica, per cui
questa transizione non è stata ancora compiuta. D. - C’è, poi il grosso problema
dell’impasse diplomatica. La comunità internazionale ancora oggi non è unita e non
è riuscita a risolvere la repressione in atto… R. - Penso che questo dipenda da
due fattori. Da una parte, la situazione interna della Siria, che è caratterizzata
da presenze diverse di tipo etnico e religioso. Dall’altra, la sua posizione strategica:
ai confini con Israele, la sua alleanza con l’Iran, che rende molto cauti tutti, soprattutto
perché non si sa chi potrebbe prendere il posto di questo regime, una volta che cadesse.
D.
- Sul fronte dei profughi, la Turchia ha dato ospitalità ai rifugiati, denunciando
fin dall’inizio le violenze in atto. Perché Ankara, che sta giocando un ruolo di primo
piano in questa crisi, non è stata ascoltata? R. - Purtroppo perché, probabilmente,
ci sono ancora retaggi del passato che impediscono di riconoscere alla Turchia un
ruolo importante, che poi è storico nella regione. D’altra parte, qualcosa di analogo
avviene anche con l’Iran. Credo che la miopia, diciamo così, della politica internazionale
non riesca a vedere che sul lungo periodo ci sono alcuni Paesi che, storicamente -
per la loro posizione, il loro prestigio - sono potenze fondamentali per gli equilibri
di quell’area.
D. - E infine, c’è anche una guerra di cifre sulle vittime.
Si parla di quasi diecimila morti, ma sarebbero decine di migliaia i siriani scomparsi.
Una situazione, dunque, terribile…
R. - Questo, purtroppo, è vero anche per
il passato. La Siria è sempre stata un Paese in cui si poteva scomparire nel nulla
da un giorno all’altro e neppure le famiglie potevano chiedere notizia dei loro congiunti,
proprio per il carattere poliziesco e repressivo del regime. Certo è che la gente
comune, pur desiderando liberarsi da questa oppressione, non vorrebbe cadere dalla
padella alla brace. Quindi, la deflagrazione di una guerra civile sarebbe ancor più
devastante.
D. - Secondo la sua esperienza, quali possono essere le vie d’uscita
da questa situazione?
R. - Purtroppo, non ne vedo alcuna all’orizzonte. La
mia impressione è che siamo in una fase di stallo in cui, forse - al di là delle dichiarazioni
che è inevitabile fare per solidarietà con le vittime, soprattutto civili, di questa
mattanza - le idee chiare su come intervenire, se intervenire, e come guidare una
transizione sono estremamente rare. Forse, l’unico che potrebbe fare qualcosa, ma
molto in ritardo, è lo stesso regime siriano: non subire una transizione, ma guidarla.
Al di là della volontà del presidente, comunque, ho paura che il suo entourage, da
questo punto di vista, sia assolutamente poco adeguato e disponibile.(ap)