La nostra Africa: in un e-book 10 anni di impegno di un medico nel continente
La nostra Africa: si intitola così l’e-book che racconta 10 anni di impegno del medico
Michelangelo Bartolo in Africa e che è in testa alle classifiche delle pubblicazioni
digitali. Un racconto che parte da una missione in Mozambico nel 2001 a favore di
bambini malati e che ripercorre lo sviluppo del programma Dream lanciato nel 2002
dalla Comunità di Sant’Egidio su idea dello stesso angiologo romano. Oggi Dream è
presente in 10 Stati Africani, con 33 centri e 20 laboratori. Finora ha curato oltre
100mila persone. Fausta Speranza ha chiesto al dottor Michelangelo Bartolo
di raccontare qualcosadi questa avventura di dieci anni partendo dalle
difficoltà dell’inizio:
R. – Sono
cronache di un’esperienza che è iniziata nel 2001. Doveva essere un viaggio che si
doveva concludere solo con una missione ma poi sono rimasto coinvolto attivamente
in questa avventura della cura dell’aids in Africa. Nel 2001 ancora non si curava
l’aids in Africa, si poteva curare solo a prezzi elevatissimi e strutture private.
Per cui non si poteva parlare di terapia. “La nostra Africa” è un romanzo scritto
in prima persona con paure, dubbi, difficoltà, anche timori, ma anche con una sottile
ironia. Ripercorre un po’ tutto questo percorso dal 2001 quando, fondamentalmente,
più che fare il medico, stavo al porto di Maputo per cercare di sdoganare le apparecchiature
per costruire un laboratorio che ci serviva per curare l’aids, fino a poi il crescere,
pian piano, del progetto “Dream” della comunità di Sant’Egidio che poi si è diffuso
in 10 Paesi e oggi segue più di centomila persone.
D. – Oggi qual è la situazione
in Africa?
R. – Oggi l’Africa sta molto cambiando. Il racconto dell’aeroporto
di Maputo del 2001 oggi lo dovrei scrivere in maniera completamente diversa. E’ un
aeroporto moderno, che stanno costruendo. E’ un Paese che ha il sette per cento di
crescita del Pil, un Paese che sta completamente cambiando il suo futuro con grandissimi
problemi tra cui quello di una classe di ricchi che sta crescendo ma c’è un enorme
forbice con la maggior parte degli abitanti che vivono in povertà e nei villaggi quasi
senza niente. Comunque oggi la terapia arriva ovunque e c’è un grande impegno per
portare la terapia antiretrovirale in questi Paesi. L’altra parte del progetto che
mi ha coinvolto anche personalmente è quella di poter far nascere bambini sani da
madri Hiv negative. Oggi nel solo programma Dream sono nati più di 16 mila bambini
sani. E’ una nuova generazione di bambini che ci fa ben vedere un futuro diverso anche
per l’Africa.
D. - Che cosa dovrebbe fare l’Occidente per continuare ad esserci
in Africa, però in una maniera che lasci più spazio agli africani, perché siano protagonisti
anche in campo sanitario per esempio?
R. – Io vorrei dire che l’Africa ha bisogno
dell’Europa ma forse oggi l’Europa ha anche più bisogno dell’Africa. Il sottotitolo
del libro è “Cronache di viaggio di un medico euroafricano”, quasi per sottolineare
il legame che c’è. C’è un destino comune per questo mondo. Oggi forse l’Africa è meno
abbandonata di ieri, c’è un grande interesse da parte della Cina, da parte dell’India,
da parte del Brasile, mentre l’Europa tarda ad accorgersi delle grandi potenzialità,
anche per lo sviluppo dell’Africa. Io penso che molte di queste nazioni che ho citato
vengono a fare investimenti in Africa e forse ci sono opportunità anche per il futuro
dell’Europa, chiaramente non solo dal punto di vista sanitario.
D. – Sicuramente
10 anni in Africa, anche se tornando e venendo dall’Italia, sono un’esperienza di
vita intensa. Dal punto di vista umano ci racconta qualcosa di quello che le rimane
di questa esperienza?
R. – Una cosa che mi ha molto colpito, lo racconto nelle
prime pagine del libro, è l’incontro con questi bambini africani, bambini che non
erano molto diversi dai miei figli ma che si comportavano in modo completamente diverso,
come dei piccoli adulti: non ridevano, non giocavano, portavano l’acqua a casa, erano
molto seri… I bambini di 5 anni accudivano quelli di tre anni proprio come se fossero
adulti. Poi, mi ha anche colpito che, da medico, io mi accorgevo - e mi accorgo anche
oggi - che anche se la patologia è la stessa, anche se l’aids è uguale, se il virus
è lo stesso in Occidente e in Africa, in Occidente si può curare e in Africa è ancora
molto difficile. La patologia è la stessa ma la terapia non c’è, oppure si cura in
modo minimalista e questa è una grande ingiustizia che deve essere colmata. Allora,
quello che non dimentico è l’incontro con questi bambini, l’incontro con tante storie
che hanno fatto sì che mi appassionassi a questo progetto. Tra l’altro, sono nate
anche forme di cooperazione attraverso sistemi di telemedicina molto moderni che ci
permettono di controllare a distanza quello che avviene nei nostri centri come se
noi fossimo lì: dare indicazioni diagnostiche, terapeutiche, una “second opinion”,
soprattutto per non lasciare soli gli operatori che sono tutti operatori locali. Nel
libro c’è anche un capitolo che è brioso, direi divertente, relativo ai corsi di formazione
con centinaia di persone, medici, tecnici di laboratorio, infermieri, che partecipano
a questi corsi di formazione e vogliono imparare e hanno voglia di usare le tecnologie;
oggi la sanità è anche nelle loro mani. C’è bisogno anche di impegno su nuove tecnologie:
la telemedicina, le teleconferenze sono un’occasione concreta che oggi c’è, anni fa
non era possibile.
D. - Si parla da anni di forme di nuova colonizzazione da
parte delle multinazionali in Africa e più di recente parliamo tanto di nuova colonizzazione
da parte della Cina. Si sente questa presenza ingombrante in qualche modo, ci sono
ripercussioni?
R. – Certo, si parla di una forma di colonizzazione. E ci sono
aspetti molto problematici. Però bisogna dire che i cinesi costruiscono comunque infrastrutture
che poi possono dare lo sviluppo a queste terre. Quindi forse si apre un futuro. Certo,
è difficile dire se questo è buono o non è buono, se crea problemi… C’è il discorso
della presenza dei cinesi che calpesta anche i diritti civili dei propri operai. Però
vorrei sottolineare che comunque è positiva l’attenzione all’Africa. Mi sembra che
oggi, dopo anni in cui l’Africa è rimasta isolata, è rimasta da sola, oggi c’è un’attenzione
internazionale per un continente che può risorgere. L’Africa ha ancora tantissime
contraddizioni e queste vengono raccontate nel libro anche con ironia. Basti dire
delle difficoltà burocratiche per aprire un nuovo centro sanitario… però ha anche
grandissime potenzialità. E l’Africa forse sarà più vicina di ieri nel domani.