Mine anti-uomo: in Colombia il primo comune bonificato è San Carlos
Il primo comune della Colombia ufficialmente liberato dalle mine anti-uomo. È San
Carlos, nel dipartimento nord-occidentale di Antioquia, dove nei giorni scorsi si
è svolta una cerimonia alla presenza del capo di Stato colombiano Juan Manuel Santos
per celebrare un passo importante nella lotta ad una piaga che in Colombia ha causato,
dal 1990 ad oggi, almeno 2028 morti e 7614 feriti. Solo a San Carlos le vittime negli
ultimi vent’anni sono state 172. Le locali operazioni di bonifica hanno portato all’eliminazione
di 700 ordigni. La Colombia, nonostante le tensioni, sia per le azioni dei gruppi
guerriglieri ancora attivi nel Paese - come le Farc, le Forze armate rivoluzionarie
della Colombia, e l’Eln, l’Esercito di liberazione nazionale - sia per la guerra in
corso tra narcotrafficanti, è comunque impegnata nella mobilitazione internazionale
contro le mine anti-persona. Ce ne parla Giuseppe Schiavello, direttore della
Campagna italiana contro le mine, intervistato da Giada Aquilino:
R. – La Colombia
ha certamente aderito a tutti i trattati, sia quello sulle mine sia quello sulle cluster
bombs, che hanno comunque degli effetti similari. E’ uno degli Stati più minati al
mondo, dopo l’Afghanistan, e l’impegno è stato abbastanza costante. La Colombia ha
ospitato nel dicembre 2009 la seconda Conferenza di revisione del Trattato di Ottawa,
proprio per dimostrare la sua volontà di conseguire tutti i traguardi che sono dettati
dalla medesima Convenzione, tra cui anche lo sminamento dei propri territori. C’è
da ricordare, però, che la stessa Colombia ha chiesto una proroga fino al 2021 per
ottenere la definizione di ‘Stato libero dalle mine’. Controverso poi è l’utilizzo
delle mine da parte dell’Esercito di liberazione nazionale, delle Farc, dei trafficanti
di cocaina, dei narcos. E poi rimangono tutte le vittime, perlopiù civili: per esempio,
gli indiani Jiw, popolazione colombiana che vive nelle foreste e i cui membri spesso
rimangono uccisi da questi ordigni. L’ultima vittima, un anziano, è del 14 febbraio
2012.
D. – Dal 1° marzo al 4 aprile è in corso la campagna mondiale “Lend your
leg - Presta la tua gamba”, che è partita proprio dalla Colombia ed è promossa anche
dalla Campagna italiana contro le mine. Quali obiettivi ha?
R. – Il 1° marzo
è la data in cui è entrato in vigore il Trattato di Ottawa; il 4 aprile è la Giornata
indetta dalle Nazioni Unite per la sensibilizzazione a questo problema. Si cerca di
richiamare l’attenzione internazionale sugli ordigni inesplosi e sulla necessità del
reinserimento socioeconomico delle vittime, dei sopravvissuti, ma in questo caso,
anche e soprattutto, si cerca di sensibilizzare quei 37 Paesi - tra cui gli Stati
Uniti - che non hanno ancora aderito a questo trattato. La campagna nasce appunto
con l’associazione ‘Arcangeles’ in Colombia, dove ci sono molte vittime e il problema
è davvero sentito; è stata poi sposata dalla Campagna internazionale contro le mine,
che l’ha riproposta su una piattaforma che coinvolge più di mille organizzazioni in
tutto il mondo; è inoltre sostenuta da due agenzie delle Nazioni Unite e dalla Croce
Rossa Internazionale. Nello spot della campagna mondiale, disponibile sul nostro sito
www.campagnamine.org, ci sono diverse personalità, tra cui il segretario generale
delle Nazioni Unite.
D. – Ad oggi, quali sono i Paesi più interessati da questa
piaga?
R. – Sicuramente l’Afghanistan e la Colombia, come anticipato. Ma oggi
anche la Siria, perché è di pochi giorni fa l’impegno della Campagna internazionale
di denunciare l’utilizzo da parte delle forze governative siriane di mine anti-persona
sui confini. Il problema è che tutte le aree che vengono coinvolte in guerre spesso
vedono l’utilizzo anche di mine anti-persona, che colpiscono in maniera indiscriminata
la popolazione civile, ben oltre la fine del conflitto.
D. – Che giro d’affari
c’è e dove vengono prodotte in particolare?
R. – Alcuni Stati che non hanno
aderito ai trattati si sono riservati in qualche modo il diritto di produzione e di
uso. La stigmatizzazione però a livello mondiale dell’uso di queste armi ha fatto
sì che si fermasse realmente il commercio di tali ordigni. Quindi, spesso sono ordigni
che erano già negli arsenali o che vengono comprati di contrabbando e, a volte, costruiti
in maniera artigianale. Il commercio legale è fermo. I dati registrati dal Monitor
Report, che è lo strumento più attendibile di monitoraggio, le vedono in uso in Cecenia,
in Siria, in Israele. E’ un uso estremamente limitato però e, rispetto alla possibilità
di approvvigionamento su base internazionale, su scala industriale, il commercio è
ormai fermo. (ap)