Italia: i vescovi a un anno dalla "Rivoluzione del Nord Africa" e sbarchi a Lampedusa
I vescovi della Cemi (Commissione episcopale italiana per le migrazioni), ricordano
il cammino di speranza che ha portato, attraverso la rivoluzione che ha investito
il Nord Africa, oltre 62.000 persone a sbarcare in Italia nel 2011, 52.000 dei quali
avendo come primo approdo l'isola di Lampedusa. A un anno di distanza, al termine
dell’incontro che hanno avuto ieri, i vescovi, con un messaggio, hanno richiamato
alla mente di tutti le immagini di quei numerosi barconi carichi di uomini, donne
e bambini, i numerosi cadaveri nella stiva di un barcone o trascinati dalle onde del
mare sulla costa. Così come non si possono dimenticare – sottolineano i vescovi -
la solidarietà, la generosità di tanti volontari, il lavoro di tanti marittimi, l'accoglienza
di Lampedusa e di molte parrocchie e diocesi italiane, unite a momenti di insofferenza
e di paura. “Lampedusa – affermano - è stata un 'segno di contraddizione' di un'Italia
e di un’Europa che da una parte ha una ricchezza straordinaria di cultura, una profonda
consapevolezza dei diritti, una ricca tradizione cristiana e che, in questa circostanza,
ha rischiato di rinchiudersi, di respingere, di ricusare, di sollevare paure anzichè
accompagnare nuove e disperate storie di persone e famiglie”. I vescovi spiegano che
“le contraddizioni di Lampedusa sono, talvolta, le contraddizioni delle nostre comunità
cristiane, incerte nella lettura di un fenomeno che sempre più cresce e investe i
luoghi quotidiani della nostra vita, quale è la mobilità delle persone: dal Sud al
Nord dell'Italia, dall'Est all'Ovest dell'Europa, dal Sud al Nord del mondo”. I vescovi
invitano tutti a “leggere in questi numeri dell'immigrazione che crescono non solo
un dato statistico nuovo, ma un nuovo Esodo di persone che cercano pace, reclamano
diritti, fuggono dalla fame e dalla sete, fratelli in cammino”. Spiegano che “significa
interpretare la storia con gli occhi della fede e costruire le nostre comunità come
case, tende in cui ognuno possa trovare ospitalità”. Resta da dire che il rinnovato
statuto della Migrantes, che il Consiglio permanente del 23-26 gennaio scorso ha approvato,
vuole ridare a questo organismo, che compie quest'anno 25 anni di vita, un ruolo importante
a livello nazionale, regionale e diocesano per aiutare a leggere un fenomeno, qual
è quello della mobilità e in esso della fragilità e della minoranza. E’ una mobilità
che oggi coinvolge soprattutto persone e famiglie immigrate e rifugiate nel nostro
Paese da 198 Paesi del mondo, gli emigranti italiani, ancora oltre 4 milioni nel mondo,
sempre più giovani e donne, la gente dello spettacolo viaggiante, che chiedono attenzione
alla comunità civile e cristiana nel breve tempo del loro passaggio, le minoranze
rom e sinte, che nel contesto italiano ed europeo sono una storica presenza non riconosciuta
come popolo. “Di tutte queste persone e famiglie, di questi popoli in cammino – affermano
i vescovi - la Migrantes è chiamata ad aiutare le Chiese locali a conoscere la storia
e la cultura, a considerare l'esperienza cristiana come valore aggiunto nelle nostre
parrocchie e comunità o unità pastorali, a tutelare i diritti e a promuovere la cittadinanza,
a costruire percorsi di dialogo ecumenico e religioso nel quotidiano”. Con una convinzione:
“la storia migratoria attuale del nostro Paese, la collocazione dell’Italia al centro
del Mediterraneo, la fa ancora essere un luogo importante di evangelizzazione e di
promozione umana”. (F.S.)