Uganda. La Chiesa in aiuto dei bambini soldato. Mons. Franzelli: con loro dal trauma
alla rinascita
Ha avuto decine di milioni di visualizzazioni in pochi giorni, il video “Kony 2012”,
realizzato dall’organizzazione non governativa americana “Invisible Children”. L’iniziativa,
che ha coinvolto anche numerose celebrità, si inserisce in una campagna per chiedere
l’arresto del sanguinario signore della guerra ugandese Joseph Kony, dal 1986 responsabile
tra l’altro del reclutamento di migliaia di bambini soldato. Un crimine contro cui
la Chiesa locale è da sempre mobilitata, come testimonia, nell’intervista di Davide
Maggiore, il vescovo della diocesi ugandese di Lira, mons. Giuseppe Franzelli:
R. - Noi non
stiamo interessando a questi bambini solo ora, perché l’Occidente ancora una volta
si è accorto di questi ragazzi. Noi ce ne occupiamo da anni, e facciamo questo, attraverso
l’istituzione dei centri d’accoglienza, ma anche per esempio attraverso la radio diocesana
“Radio Wa”, la nostra radio, cercando di lanciare messaggi con un particolare programma
“Benvenuto torna a casa” che è diretto specificatamente a loro, in cui coloro che
mandavano messaggi erano, appunto, alcuni di questi ragazzi che erano riusciti a fuggire,
e che accolti in questi centri di recupero, veniva data loro la possibilità di ricominciare
la loro formazione scolastica di cui erano stati derubati. Il risultato è che un po’
alla volta, la maggior parte è tornata. Sono accompagnati durante la fase di reinserimento,
perché si tratta di gente rimasta traumatizzata dalla violenza subita e da quello
che loro stessi sono stati costretti a compiere verso altri.
D. - Cosa significa
per la Chiesa essere vicini alla popolazione, in questo contesto?
R. - Quando
si parla di ricostruzione la gente pensa prima di tutto alle infrastrutture, alle
strade che non ci sono e che vanno costruite, alle cappelle che son state bruciate,
alle scuole e alle case distrutte… Abbiamo avuto, inoltre, anche il problema dei campi
per sfollati, in cui la gente ha vissuto per anni. Ora che questi attacchi ininterrotti
sono terminati - il gruppo dei ribelli rimasti si è spostato verso la Repubblica Centrafricana,
il Sud Sudan e il Congo - la ricostruzione più profonda, più necessaria è proprio
quella della libertà morale e spirituale della gente. Ridare loro una speranza e un
senso della propria dignità, del proprio valore. Ed è in questo senso, che adesso
più di prima, l’evangelizzazione è necessaria. Una buona notizia è che Dio è Padre
di tutti, noi siamo fratelli e sorelle e che dobbiamo imparare a vivere insieme come
famiglia. Il primo Sinodo sull’Africa ha parlato della “Chiesa come famiglia di Dio”:
è questa la sfida che come Chiesa stiamo affrontando, sebbene in una situazione difficile
per la mancanza di personale innanzitutto e per mancanza di mezzi.
D. - L’attenzione
del mondo è stata riportata sull’Uganda anche grazie al video dell’organizzazione
non governativa americana “Invisible Children”. Come è stata accolta questa iniziativa
nel Paese?
R. - È un fatto mediatico di notevole rilievo. È senz’altro positivo:
attira l’attenzione su una tragedia che un po’ alla volta - visto che ora la presenza
dei ribelli è molto diminuita, almeno qui in Uganda - rischia di essere dimenticata.
Da noi è stato accolto con reazioni diverse: direi quasi che a prevalere sia il sentimento
di “fastidio” da parte di coloro che non amano che il Paese venga presentato in questo
modo, ma anche da parte delle vittime stesse, almeno per quanto riguarda la popolazione
nel Nord dell’Uganda. Le cose che sono dette sono vere, ma non costituiscono tutta
la verità. Ci sono molti aspetti del fenomeno che andrebbero affrontati, perché le
responsabilità e le atrocità, non furono solo a carico dei ribelli, ma ci sono altre
complicità, come accade sempre nelle situazioni di guerra. Inoltre, c’è il fatto -
che lascia un po’ perplessi - di tutti questi soldi spesi per la pubblicità e il sostegno
di questa ong. Solo una percentuale piuttosto bassa, alla fine, va ad aiutare direttamente
le vittime della tragedia che si sono viste portare alla ribalta dell’attenzione mondiale.
(bi)