2012-03-13 14:39:38

Allerta in Brasile per la vendita di terreni amazzonici ad una società irlandese


Si torna a parlare di land grabbing: la razzia di terre coltivabili nei Paesi poveri da parte di multinazionali occidentali. Questa volta a far discutere è l’acquisto di un’azienda irlandese che ha pagato 120 milioni di dollari per i diritti di sfruttamento di 23 mila km quadrati di una riserva indigena, con l’intento di perseguire la sua politica di affari nel mercato mondiale dei crediti di carbonio. Il governo brasiliano prende le distanze mentre la comunità Indios è già in rivolta. Cecilia Seppia ha raccolto il commento di Franca Roiatti giornalista di "Panorama" e autrice del libro “Il nuovo colonialismo. Caccia alle terre coltivabili”:RealAudioMP3

R. – Innanzitutto, questo è un esempio di land grabbing un po’ diverso rispetto a quelli di cui abbiamo sentito parlare negli ultimi anni, ovvero è un esempio di acquisizione di foreste, in questo caso, per abbattere le emissioni di Co2, quindi rientra nel campo del mercato dei crediti di carbonio, nello schema che tra l’altro è stato lanciato dalle Nazioni Unite – lo schema Redd (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation) – che significa sostanzialmente: acquisire delle foreste – in particolare nell’area tropicale – per conservarle. La multinazionale coinvolta in questo affare, è di fatto attiva nel mercato dei crediti di carbonio.

D. – Si salvaguarda la foresta, però i contadini vengono completamente estromessi dall’utilizzo delle terre e soprattutto si impedisce lo sviluppo della regione ed emergono altri rischi …

R. – Ovviamente tutti siamo felici quando si salvaguarda un pezzo di Amazzonia; ma siccome – i primi dettagli stanno emergendo – chi decide che cosa si possa fare o meno in quell’area, è soltanto la società che ha sede in Europa e non le persone che vivono nella foresta, è chiaro che questo è un limite molto grande allo sviluppo delle popolazioni locali, che proprio da quell’ecosistema traggono il loro sostentamento.

D. – Questo esproprio, questa razzia di terre spesso avviene con la complicità dei governi, soprattutto nei Paesi più poveri che cercano ovviamente in questo modo di far ripartire l’economia. Pensi che sia anche il caso del Brasile?

R. – La situazione è un po’ strana. In realtà, il Brasile è stato probabilmente il primo Stato – se non uno dei primi, soprattutto uno dei grandi Stati con una grande disponibilità di terra arabile – a porre un freno o a cercare di porlo. E’ da sei mesi, in realtà, che va avanti un grande dibattito all’interno del Paese. Da quello che sono riuscita a capire, questa multinazionale ha avuto un dibattito con le comunità indigene, che però naturalmente non si è risolto nel modo auspicato dalla società stessa.

D. – La comunità Indios, infatti, ancora una volta si sta letteralmente spaccando su questa vicenda. Un problema economico produce quindi un danno a livello della pacifica convivenza?

R. – Assolutamente sì. Se poi l’ombra che si sta allungando su questo affare è proprio quello della bio-pirateria, è ancora più drammatico. Questo fenomeno riguarda lo sfruttamento di piante tradizionali, di solito usate nella medicina tradizionale, sulle quali porre dei brevetti.

D. – Il land grabbing è un fenomeno che coinvolge molte aree del mondo; in particolare, però, affligge l’Africa, l’India, la Cina, il Brasile e sta spingendo sempre più contadini verso la povertà. Quali sono le misure più urgenti da adottare proprio per difendere questa categoria, che alla fine è quella più colpita?

R. – Lo scorso venerdì alla Fao, la Commissione per la Sicurezza Alimentare ha concluso un percorso iniziato due anni fa, che si è tenuto per scrivere le linee guida volontarie sulle risorse agricole, sulla terra e sulle risorse ittiche. Questo è quindi un primo importante passo - chiaramente è solo il primo - perché ora questa direttiva va fatta applicare all’interno degli Stati, va recepita con leggi che poi, a loro volta, devono essere rispettate. Certo, le organizzazioni non governative chiedono molto di più: hanno chiesto in vari momenti una moratoria contro il land grabbing, hanno chiesto che i governi dove hanno sede le multinazionali - responsabili di queste acquisizioni - siano messe di fronte alla responsabilità di capire di che tipo di investimenti si tratta. Nel momento in cui però i governi dei Paesi poveri, quelli in via di sviluppo, aprono le porte e stendono tappeti rossi agli investitori, è molto difficile riuscire a trovare un terreno comune per tutelare chi ha i diritti più deboli. (cp)







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