Salesiana. Convegno sui disagi da stress per i sacerdoti. Intervista con padre Crea
Anche per i sacerdoti l’accumulo di stress dovuto ai troppi impegni pastorali, e a
un non equilibrato rapporto con il tempo libero, può essere causa di problemi pisco-affettivi.
Su questo argomento, spesso poco trattato, fa luce il convegno ospitato dalla Pontificia
Università Salesiana dal titolo “Preti sul lettino: agio e disagio del servizio pastorale
del clero”. Alessandro De Carolis ha domandato a uno dei relatori, padre
Giuseppe Crea, missionario comboniano e psicoterapeuta, quanto sia diffuso questo
fenomeno:
R. – Direi,
abbastanza. Anche perché fa riferimento al modo di lavorare dei sacerdoti e degli
operatori pastorali: lavorare vuol dire coinvolgersi con molto zelo, per cui il livello
del coinvolgimento emotivo spesso sale e il rischio di restare poi intrappolati in
situazioni soffocanti è molto diffuso, giacché c’è molto da lavorare per la pastorale.
Quando poi le difficoltà del sovraccarico lavorativo si collegano a disturbi della
personalità, lì è più facile che il problema diventi visibile, si trasformi in psicosomatica,
in disturbi per i quali la persona ha bisogno di essere aiutata anche a livello farmacologico,
a livello psicoterapeutico, dipende da situazione a situazione.
D. – Avete
numeri che possano dare un’idea di questo fenomeno?
R. – Sì, ho presente il
lavoro di ricerca fatto dalla Chiesa del Triveneto, dal quale sul burn-out e sullo
stress da sovraccarico lavorativo dei sacerdoti, risultava che un terzo dei sacerdoti
aveva livelli piuttosto alti di rischio di “bruciarsi”, di non farcela più. Una cosa
caratteristica di quella ricerca è che poi questo terzo della popolazione di sacerdoti
aveva anche difficoltà a trovare sostegno e sentiva la solitudine come un peso. Una
ricerca simile l’abbiamo fatta anche alla Salesiana, con sacerdoti non solo diocesani
ma anche religiosi. Su quasi 300 soggetti, almeno un centinaio – ancora una volta
un terzo, potremmo dire – riportavano queste difficoltà, ma soprattutto riportavano
la difficoltà ad accorgersene.
D. – Quali sono i segnali più tipici che indicano
che la soglia del disagio è stata superata e che quindi il sacerdote ha bisogno di
aiuto?
R. – Si accorgono che qualcosa incomincia ad andare storto dal modo
in cui reagiscono con la gente: nervosismo, tensione, scatti… e poi, soprattutto con
le risonanze a livello di fenomeni psicosomatici: questo poi diventa un vero campanello
d’allarme. Non avere tempo libero già è un campanello d’allarme; se il sacerdote non
riesce ad avere uno spazio per sé, per rilassarsi, per leggere; se le canoniche sono
un guazzabuglio per disponibilità al 100 per 100, anche quello è un campanello d’allarme.
I sacerdoti che non hanno tempo per prepararsi da mangiare, che mangiano la sera e
male: anche quello potrebbe diventare un campanello d’allarme per loro.
D.
– Un sacerdote che dovesse accorgersi di avere problemi del genere, a chi si può rivolgere?
R.
– Occorrerebbe, da un lato, che si rivolgesse alla propria formazione, al modo con
cui si è formato, e si rende conto di queste situazioni problematiche. Dall’altra,
verrebbe spontaneo dire che si rivolga anche a degli specialisti, soprattutto a persone
che lavorano in questo settore e che facilitano la consapevolezza dei propri disagi
a livello psicologico, a livello di direzione spirituale… Il nucleo centrale, per
me, è che il sacerdote riscopra sempre di più il bisogno di condividere anche l’azione
pastorale, e di condividere anche le proprie difficoltà. Oggi anche il Papa sottolinea
spesso l’importanza della cosiddetta “fraternità sacerdotale”: l’evangelizzatore non
è un solitario! Sapere che c’è qualcuno con cui confidarmi, questo sostiene non solo
la stima di sé ma la speranza che poi il disagio non distrugga la persona, ma che
la persona possa sempre reagire e riprendere il cammino dell’evangelizzazione, del
lavoro pastorale.
D. – Benedetto XVI, in tutti i suoi incontri con il clero,
insiste sempre sull’importanza della preparazione dei candidati al sacerdozio. C’è
nei seminari un’attenzione particolare a questo tipo di disagio?
R. – Oggi
c’è molto di più; soprattutto, se ne sente il bisogno, per tanti motivi: perché i
preti diminuiscono, perché c’è un invecchiamento, perché le sfide pastorali oggi sono
molto complesse … Diciamo che si stanno muovendo passi nuovi. Nello stesso tempo,
a volte si avverte la difficoltà a rischiare un pochino di più e a prendersi maggiormente
cura di queste esigenze. E su questo c’è bisogno di creare programmi personalizzati,
cioè dare valore alla persona che si forma e identificare quali siano le sue difficoltà
specifiche nel cammino formativo.
D. – La situazione delle altre Chiese, in
Europa e nelle altre parti del mondo, com’è rispetto a questo tipo di problematica?
R.
– Dipende: varia da luogo a luogo. Ciò che io ho conosciuto, per esempio, di alcuni
contesti delle Chiese emergenti, sono facilitati dal contesto sociale. Paradossalmente,
il prete lavora – a volte lavora anche da solo – ma c’è una sintonia tra la collaborazione
dei laici e la professionalità teologica-pastorale del sacerdote, e ciascuno ha bisogno
della collaborazione dell’altro, riuscendo a gestire anche le situazioni difficili.
(gf)