2012-03-12 14:22:27

Salesiana. Convegno sui disagi da stress per i sacerdoti. Intervista con padre Crea


Anche per i sacerdoti l’accumulo di stress dovuto ai troppi impegni pastorali, e a un non equilibrato rapporto con il tempo libero, può essere causa di problemi pisco-affettivi. Su questo argomento, spesso poco trattato, fa luce il convegno ospitato dalla Pontificia Università Salesiana dal titolo “Preti sul lettino: agio e disagio del servizio pastorale del clero”. Alessandro De Carolis ha domandato a uno dei relatori, padre Giuseppe Crea, missionario comboniano e psicoterapeuta, quanto sia diffuso questo fenomeno:RealAudioMP3

R. – Direi, abbastanza. Anche perché fa riferimento al modo di lavorare dei sacerdoti e degli operatori pastorali: lavorare vuol dire coinvolgersi con molto zelo, per cui il livello del coinvolgimento emotivo spesso sale e il rischio di restare poi intrappolati in situazioni soffocanti è molto diffuso, giacché c’è molto da lavorare per la pastorale. Quando poi le difficoltà del sovraccarico lavorativo si collegano a disturbi della personalità, lì è più facile che il problema diventi visibile, si trasformi in psicosomatica, in disturbi per i quali la persona ha bisogno di essere aiutata anche a livello farmacologico, a livello psicoterapeutico, dipende da situazione a situazione.

D. – Avete numeri che possano dare un’idea di questo fenomeno?

R. – Sì, ho presente il lavoro di ricerca fatto dalla Chiesa del Triveneto, dal quale sul burn-out e sullo stress da sovraccarico lavorativo dei sacerdoti, risultava che un terzo dei sacerdoti aveva livelli piuttosto alti di rischio di “bruciarsi”, di non farcela più. Una cosa caratteristica di quella ricerca è che poi questo terzo della popolazione di sacerdoti aveva anche difficoltà a trovare sostegno e sentiva la solitudine come un peso. Una ricerca simile l’abbiamo fatta anche alla Salesiana, con sacerdoti non solo diocesani ma anche religiosi. Su quasi 300 soggetti, almeno un centinaio – ancora una volta un terzo, potremmo dire – riportavano queste difficoltà, ma soprattutto riportavano la difficoltà ad accorgersene.

D. – Quali sono i segnali più tipici che indicano che la soglia del disagio è stata superata e che quindi il sacerdote ha bisogno di aiuto?

R. – Si accorgono che qualcosa incomincia ad andare storto dal modo in cui reagiscono con la gente: nervosismo, tensione, scatti… e poi, soprattutto con le risonanze a livello di fenomeni psicosomatici: questo poi diventa un vero campanello d’allarme. Non avere tempo libero già è un campanello d’allarme; se il sacerdote non riesce ad avere uno spazio per sé, per rilassarsi, per leggere; se le canoniche sono un guazzabuglio per disponibilità al 100 per 100, anche quello è un campanello d’allarme. I sacerdoti che non hanno tempo per prepararsi da mangiare, che mangiano la sera e male: anche quello potrebbe diventare un campanello d’allarme per loro.

D. – Un sacerdote che dovesse accorgersi di avere problemi del genere, a chi si può rivolgere?

R. – Occorrerebbe, da un lato, che si rivolgesse alla propria formazione, al modo con cui si è formato, e si rende conto di queste situazioni problematiche. Dall’altra, verrebbe spontaneo dire che si rivolga anche a degli specialisti, soprattutto a persone che lavorano in questo settore e che facilitano la consapevolezza dei propri disagi a livello psicologico, a livello di direzione spirituale… Il nucleo centrale, per me, è che il sacerdote riscopra sempre di più il bisogno di condividere anche l’azione pastorale, e di condividere anche le proprie difficoltà. Oggi anche il Papa sottolinea spesso l’importanza della cosiddetta “fraternità sacerdotale”: l’evangelizzatore non è un solitario! Sapere che c’è qualcuno con cui confidarmi, questo sostiene non solo la stima di sé ma la speranza che poi il disagio non distrugga la persona, ma che la persona possa sempre reagire e riprendere il cammino dell’evangelizzazione, del lavoro pastorale.

D. – Benedetto XVI, in tutti i suoi incontri con il clero, insiste sempre sull’importanza della preparazione dei candidati al sacerdozio. C’è nei seminari un’attenzione particolare a questo tipo di disagio?

R. – Oggi c’è molto di più; soprattutto, se ne sente il bisogno, per tanti motivi: perché i preti diminuiscono, perché c’è un invecchiamento, perché le sfide pastorali oggi sono molto complesse … Diciamo che si stanno muovendo passi nuovi. Nello stesso tempo, a volte si avverte la difficoltà a rischiare un pochino di più e a prendersi maggiormente cura di queste esigenze. E su questo c’è bisogno di creare programmi personalizzati, cioè dare valore alla persona che si forma e identificare quali siano le sue difficoltà specifiche nel cammino formativo.

D. – La situazione delle altre Chiese, in Europa e nelle altre parti del mondo, com’è rispetto a questo tipo di problematica?

R. – Dipende: varia da luogo a luogo. Ciò che io ho conosciuto, per esempio, di alcuni contesti delle Chiese emergenti, sono facilitati dal contesto sociale. Paradossalmente, il prete lavora – a volte lavora anche da solo – ma c’è una sintonia tra la collaborazione dei laici e la professionalità teologica-pastorale del sacerdote, e ciascuno ha bisogno della collaborazione dell’altro, riuscendo a gestire anche le situazioni difficili. (gf)







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