Tanzania. Il vescovo di Same: paura di un contagio del fondamentalismo nigeriano
Dalla Tanzania giunge la preoccupazione di mons. Rogatus Kimaryo, vescovo di Same,
nel nord del Paese, a proposito dei timori di un possibile contagio del fondamentalismo
islamico di matrice nigeriana. A darne notizia è ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’, che
ricorda come i 45 milioni di tanzanesi siano “cristiani per il 53 per cento - tra
questi 12 milioni di cattolici - musulmani per il 32 per cento e animisti per il 13
per cento”. Fino ad oggi la coesistenza tra musulmani e cristiani è stata “all’insegna
di una completa armonia”, ma gli scontri in Nigeria e gli attentati degli estremisti
islamici Boko Haram allarmano la comunità cristiana della Tanzania. Giada Aquilino
ne ha parlato proprio con mons. Rogatus Kimaryo, raggiunto telefonicamente
a Same:
R. - Nel mio
Paese, dall’indipendenza ad oggi, abbiamo sperimentato un clima di pace. Da una decina
d’anni in qua, però, ci sono dei gruppi di fondamentalisti musulmani che vanno in
giro, parlano male dei cristiani, anche della Chiesa cattolica. Ci accusano di approfittare
degli aiuti del governo e della ricchezza del Paese. Questi sono gruppi fondamentalisti.
Ci sono stati episodi di scontri, anche se di lieve entità, a Dar es-Salaam.
D.
- Pensa che quello che sta succedendo in Nigeria possa ripercuotersi anche in Tanzania
e in altre nazioni africane?
R. - Abbiamo questa paura perché se succede qualcosa
in un Paese può facilmente diffondersi negli altri Stati africani. Quindi quello che
sta accadendo in Nigeria con i Boko Haram è pericoloso, io stesso ho paura. Dobbiamo
incontrare i leader politici, i leader musulmani per dialogare su queste vicende.
D.
- Ma fino ad oggi la coesistenza tra musulmani e cristiani in Tanzania come è stata?
R.
- La Tanzania è un Paese che ha sempre vissuto in pace, grazie al padre della patria
- il nostro primo presidente, Nyerere - che si è prodigato per la pace e la giustizia,
sperimentandole nella vita. C’è insomma una base di rispetto. Ma ci sono pure questi
gruppi che iniziano a portare una tensione che potrebbe trasformarsi in un grande
problema per il nostro Paese.
D. - Come lei ha detto, si tratta di fazioni
isolate di estremisti. Allora il dialogo per dove può passare?
R. - Prima di
intraprendere un dialogo, penso che il governo debba essere molto chiaro su questo:
il rispetto della religione dell’altro. Il nostro è un Paese laico, che non ha una
religione ufficiale; ma le persone professano la loro fede. Allora il governo e i
parlamentari devono essere chiari su questo aspetto. Poi bisogna dialogare con i leader
della religione musulmana, auspicando che questi dialoghino con tali fondamentalisti.
D.
- Come è impegnata la Chiesa locale nel dialogo con i musulmani?
R. - A livello
di Conferenza episcopale abbiamo un ufficio che è responsabile di portare avanti il
dialogo per avvicinarsi ai musulmani, alle altre religioni, agli altri gruppi cristiani.
La nostra gente vive in modo molto semplice, nel senso che nello stesso villaggio,
nella stessa casa, ci sono membri di più comunità: ci sono musulmani e ci sono cristiani
che sono cattolici, per esempio. La nostra vita quotidiana è vissuta in amicizia.
Ma in mezzo a ciò, c’è una lacuna, qualcosa che manca: quando sono attivi gruppi fondamentalisti,
come si arriva a parlare con loro? Perché sono fondamentalisti? È il governo che deve
seguire tali formazioni. C’è paura che possano, a poco a poco, minare la pace.
D.
- Qual è allora il suo augurio per il futuro della Tanzania e della sua diocesi?
R.
– L’auspicio è che continuiamo a vivere la nostra fede in un clima di pace, di tolleranza
insieme a tutti. Se non c’è la pace, viene meno anche quella situazione di rispetto
verso Dio, verso gli altri, verso la natura. Facciamo un passo avanti verso l’altro:
noi cattolici dobbiamo mostrare interesse verso le altre religioni e viceversa; così
anche i leader musulmani. (bi)