In Siria non si ferma la repressione di Bashar al Assad contro gli oppositori: 56
le vittime di ieri in varie città, 44 solo ad Homs. L’Onu sta lavorando all’apertura
di un corridoio umanitario mentre è polemica per le dimissioni del viceministro del
Petrolio, Abdo Hussameldin, e di tre generali. Marina Calculli:
E
sulle defezioni che si registrano all’interno del regime siriano Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento del prof. Massimo Campanini, docente di Storia dei
Paesi islamici all’Università di Trento:
R. – Indubbiamente
la defezione sembrerebbe indicare che la solidità del regime di Assad si stia sgretolando,
anche perché un viceministro, sia pure non particolarmente importante negli equilibri
del potere, è sempre una persona di prestigio all’interno della politica siriana.
Tuttavia, io andrei cauto a giudicare che ormai il regime di Assad si stia effettivamente
sfaldando, perché bisognerebbe innanzitutto chiedersi se queste dimissioni sono frutto
di un’iniziativa personale oppure di un malessere più ampio, che si trova all’interno
della compagine dirigente siriana. E, in secondo luogo, è importante capire fino a
che punto quello che sta andando in crisi sia il blocco di potere, che fino a questo
momento ha sostenuto Assad, cioè quel blocco di potere, che unisce insieme una parte
degli alawiti, una parte dell’esercito, una parte dei sunniti, una parte della borghesia
imprenditoriale e commerciale del Paese. Quindi, bisogna vedere se questo blocco di
potere si sta disgregando effettivamente o se l’iniziativa del viceministro è soltanto
qualcosa che indica un disagio e un malessere, ma non un effettivo momento di caduta,
di crollo, di implosione dall’interno del regime. Questo ce lo dirà soltanto il trascorrere
del tempo.
D. – Kofi Annan, che ricordiamo essere l’inviato speciale delle
Nazioni Unite della Lega Araba in Siria, dal Cairo ha chiesto proprio all’opposizione
di Damasco di collaborare per risolvere il conflitto. Insomma, finora si è parlato
direttamente con Assad, adesso si parla con l’opposizione. Si sta tentando questa
nuova via, avrà un esito?
R. – Se si vuole risolvere la situazione, da un punto
di vista dialogico, è evidente che bisogna mantenere aperti entrambi i canali. L’iniziativa
di Kofi Annan potrebbe essere intesa anche in senso favorevole ad Assad, nel senso
che, in qualche modo, gli apre una via d’uscita, mettendo l’opposizione di fronte
alle sue responsabilità di evitare un’opposizione intransigente per, appunto, convergere
su un piano dialogico e di intesa bilaterale.
D. – Russia e Cina sono cauti
nei confronti della Siria. Obama continua a parlare di possibile attacco militare,
ma ribadisce la convinzione che ci sia ancora spazio per una soluzione diplomatica
...
R. – Stiamo assistendo ad un gioco di rivalità tra le potenze, che hanno
trovato dopo la Libia un altro terreno per potersi incontrare e scontrare. Io ritengo
che il gioco sia un gioco di equilibri sul piano geostrategico internazionale, anche
se non penso né che Russia e Stati Uniti possano arrivare ad un vero e proprio scontro
definitivo sulla questione siriana né che il regime di Assad potrà essere abbattuto
da un intervento militare diretto. Le condizioni sono diverse rispetto a quelle che
c’erano in Libia, quando c’è stato un intervento della Nato.
D. – Nel senso
che lei crede che non si arriverà mai ad un accordo di questo tipo, o perché se ci
fosse un intervento militare questo, di fatto, complicherebbe la situazione creando
aggregazioni militari che sosterrebbero Assad?
R. – Mi sembra più pericolosa
la seconda, cioè il fatto che un intervento militare potrebbe avere conseguenze imprevedibili,
ripeto, non senza arrivare ad uno scontro di dimensioni internazionali tipo quello
della Guerra Fredda. Perché io credo che se gli Stati Uniti insistessero su una posizione
di rigidità, prima o poi la Russia dovrebbe fare un passo indietro. Anche perché un
intervento militare, probabilmente, convincerebbe altre forze – penso soprattutto
all’Iran – ad intervenire in qualche modo, se non a livello militare, sicuramente
a livello diplomatico, per sostenere un regime che ormai da lungo tempo è alleato
e sostenitore dell’Iran e dello Stato degli ayatollah. In questo senso, direi. (ap)