2012-03-09 15:50:45

Rapporto Studi strategici: il mondo cambia, specie quello arabo, l'Onu va aggiornata


E’ stato presentato al parlamento italiano il rapporto dell’Osservatorio di politica internazionale sull’"Analisi dei rischi strategici" per il 2012. Secondo gli esperti, i prossimi mesi, soprattutto sull’onda della “primavera araba”, saranno ancora all’insegna dei cambiamenti: non tutti i segnali, tuttavia, devono essere fonte di preoccupazione. E’ quanto ha spiegato al microfono di Davide Maggiore l’ambasciatore Giancarlo Aragona, presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale:RealAudioMP3

R. – Nel linguaggio corrente, si parla molto di crisi e di tensioni. In molti casi, queste crisi sono piuttosto dei fenomeni di risveglio sociale. Nel mondo arabo sono stati dei fenomeni spontanei, molto diversi da Paese a Paese, ma tutti caratterizzati da questo risveglio della società che, appunto, non ha però ancora trovato i suoi assetti. Io non parlerei di crisi, parlerei piuttosto di un risveglio sociale che poi deve incanalarsi in forme istituzionali stabili, in forme istituzionali democratiche. E’ chiaro che il mondo attraversa una fase di grande dinamismo, in cui altre aree invece attraversano momenti più difficili.

D. – Ad esempio, elementi di tensione provengono dall’area dell’Africa subsahariana...

R. – Effettivamente, l’Africa subsahariana denuncia fenomeni anche vistosi di instabilità, di violenze, di tensioni e queste violenze e tensioni, già gravi di per sé, sono suscettibili di far sentire i loro effetti in un’area anche molto più vasta. Guardiamo ad esempio alla situazione nel Corno d’Africa. Le instabilità, i cosiddetti fallimenti dello Stato, le tensioni interne favoriscono anche insediamenti terroristici: sono dei fatti che dobbiamo considerare naturalmente in tutta la loro potenziale gravità.

D. – Rispetto agli ultimi dodici mesi, esistono invece scenari in cui è avvenuta un’evoluzione in senso pacifico o c’è stato un allentamento della tensione?

R. – I segnali positivi, a mio avviso, sono tutto sommato maggiori dei segnali negativi, soprattutto se si guarda al medio o lungo termine. Certamente, dinamiche sociali, dinamiche politiche in molte parti del mondo sono accompagnate da instabilità, anche da violenze, però a lungo termine sono suscettibili nel portare a società più giuste, società più aperte, società più democratiche. Quindi, come è giusto, noi crediamo che da questi fenomeni poi scaturisca anche una maggiore stabilità internazionale. Direi che la tendenza generale non necessariamente deve, ma può portare a sbocchi positivi. Guardando poi più all’immediato, vi sono dei casi certamente di sviluppi positivi in concreto, sia nel mondo arabo e in fondo anche in Myanmar.

D. – Sullo sfondo resta il nodo dell’azione per risolvere o prevenire gli sviluppi preoccupanti dei diversi scenari. Di fronte a una comunità internazionale a volte paralizzata, e a Stati nazionali spesso troppo piccoli per "pesare" da soli, esiste un’alternativa?

R. – Indubbiamente, il governo globale, “the global governance”, ha bisogno di un ripensamento profondo. E quando parlo di “global governance” non parlo solo della “global governance” economica: penso anche alla “global governance” politica, quindi, al ruolo delle Nazioni Unite, delle organizzazioni regionali. In un mondo che cambia in maniera prepotente, anche le strutture di governo globale, che sono state pensate 50 o 60 anni fa, debbono essere adeguate. Quello che porterebbe un apporto decisivo è anche una più forte presenza e un ruolo più incisivo dell’Europa.(ap)







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