Rapporto Studi strategici: il mondo cambia, specie quello arabo, l'Onu va aggiornata
E’ stato presentato al parlamento italiano il rapporto dell’Osservatorio di politica
internazionale sull’"Analisi dei rischi strategici" per il 2012. Secondo gli esperti,
i prossimi mesi, soprattutto sull’onda della “primavera araba”, saranno ancora all’insegna
dei cambiamenti: non tutti i segnali, tuttavia, devono essere fonte di preoccupazione.
E’ quanto ha spiegato al microfono di Davide Maggiore l’ambasciatore Giancarlo
Aragona, presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale:
R. – Nel linguaggio
corrente, si parla molto di crisi e di tensioni. In molti casi, queste crisi sono
piuttosto dei fenomeni di risveglio sociale. Nel mondo arabo sono stati dei fenomeni
spontanei, molto diversi da Paese a Paese, ma tutti caratterizzati da questo risveglio
della società che, appunto, non ha però ancora trovato i suoi assetti. Io non parlerei
di crisi, parlerei piuttosto di un risveglio sociale che poi deve incanalarsi in forme
istituzionali stabili, in forme istituzionali democratiche. E’ chiaro che il mondo
attraversa una fase di grande dinamismo, in cui altre aree invece attraversano momenti
più difficili.
D. – Ad esempio, elementi di tensione provengono dall’area dell’Africa
subsahariana...
R. – Effettivamente, l’Africa subsahariana denuncia fenomeni
anche vistosi di instabilità, di violenze, di tensioni e queste violenze e tensioni,
già gravi di per sé, sono suscettibili di far sentire i loro effetti in un’area anche
molto più vasta. Guardiamo ad esempio alla situazione nel Corno d’Africa. Le instabilità,
i cosiddetti fallimenti dello Stato, le tensioni interne favoriscono anche insediamenti
terroristici: sono dei fatti che dobbiamo considerare naturalmente in tutta la loro
potenziale gravità.
D. – Rispetto agli ultimi dodici mesi, esistono invece
scenari in cui è avvenuta un’evoluzione in senso pacifico o c’è stato un allentamento
della tensione?
R. – I segnali positivi, a mio avviso, sono tutto sommato maggiori
dei segnali negativi, soprattutto se si guarda al medio o lungo termine. Certamente,
dinamiche sociali, dinamiche politiche in molte parti del mondo sono accompagnate
da instabilità, anche da violenze, però a lungo termine sono suscettibili nel portare
a società più giuste, società più aperte, società più democratiche. Quindi, come è
giusto, noi crediamo che da questi fenomeni poi scaturisca anche una maggiore stabilità
internazionale. Direi che la tendenza generale non necessariamente deve, ma può portare
a sbocchi positivi. Guardando poi più all’immediato, vi sono dei casi certamente di
sviluppi positivi in concreto, sia nel mondo arabo e in fondo anche in Myanmar.
D.
– Sullo sfondo resta il nodo dell’azione per risolvere o prevenire gli sviluppi preoccupanti
dei diversi scenari. Di fronte a una comunità internazionale a volte paralizzata,
e a Stati nazionali spesso troppo piccoli per "pesare" da soli, esiste un’alternativa?
R.
– Indubbiamente, il governo globale, “the global governance”, ha bisogno di un ripensamento
profondo. E quando parlo di “global governance” non parlo solo della “global governance”
economica: penso anche alla “global governance” politica, quindi, al ruolo delle Nazioni
Unite, delle organizzazioni regionali. In un mondo che cambia in maniera prepotente,
anche le strutture di governo globale, che sono state pensate 50 o 60 anni fa, debbono
essere adeguate. Quello che porterebbe un apporto decisivo è anche una più forte presenza
e un ruolo più incisivo dell’Europa.(ap)