Mons. Tomasi: i migranti sono fermento per la nuova evangelizzazione
“Costruire ponti di opportunità”: è il titolo di un Convegno sulle migrazioni svoltosi
oggi al Pontificio Collegio Nord Americano e promosso dall’ambasciata degli Stati
Uniti presso la Santa Sede. All’evento, moderato dall’ambasciatore americano Miguel
H. Diaz, sono intervenuti il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente
della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, e Demetrios G. Papademetriou, presidente
del “Migration Policy Institute” di Washington. Al microfono di Alessandro Gisotti,
mons. Tomasi si sofferma sulle sfide che il fenomeno migrazione pone alla Chiesa:
R. – Oggi abbiamo
il più alto livello di migrazioni internazionali di ogni tempo. Si parla di almeno
215 milioni di persone che vivono e lavorano in un Paese diverso da dove sono nate.
Questa tendenza della mobilità umana a crescere, continuerà. Davanti a questa realtà
la Chiesa vuole dare una risposta positiva e costruttiva. Prima di tutto, la Chiesa
dice: “Noi siamo una sola famiglia umana e come tale siamo solidali gli uni con gli
altri e dobbiamo – al di là dei confini e delle frontiere create dall’uomo – cercare
di vedere qual è il bene comune: non in senso egoistico, limitato al mio piccolo angolo
dove vivo, ma che mette in equilibrio tutta la famiglia umana”.
D. – La Santa
Sede – ora membro dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – cosa può
fare per favorire anche un atteggiamento globale rispetto ad un fenomeno globale?
Spesso le risposte sono molto frammentate …
R. – C’è una certa contraddizione.
Le regole che guidano e gestiscono le migrazioni sono le leggi nazionali, perché ogni
Paese è gelosamente guardiano della sua identità, della sua sicurezza. Allo stesso
tempo, il fenomeno delle migrazioni va al di là di un solo Paese, perché c’è il Paese
di origine, il Paese di transito, il Paese di arrivo. Questo implica che ci sia una
collaborazione più ampia a livello regionale e a livello globale, per gestire questo
fenomeno in maniera razionale. Di fatto, a lungo andare, se le migrazioni sono gestite
bene portano beneficio ai Paesi di origine, attraverso le rimesse che vengono mandate.
Gli emigrati stessi trovano una qualità di vita migliore, quindi possono formare la
loro famiglia e possono realizzarsi anche professionalmente. Nei Paesi di arrivo quindi
possono contribuire al lavoro quotidiano, nelle professioni o nei lavori manuali in
cui sono ingaggiati. La presenza della Santa Sede nell’Organizzazione Internazionale
per le Migrazioni rappresenta una voce etica, che ricorda prima di tutto, che
al centro di tutte queste preoccupazione ci deve essere la persona umana, con la sua
dignità e le sue esigenze; in secondo luogo, che dobbiamo lavorare insieme, a livello
sempre più largo data la globalizzazione in corso, per trovare delle regole, delle
formule che rendano il movimento dei migranti una forza costruttiva ed un bene per
tutti.
R. – Quale particolare sfida pone il fenomeno della migrazione alla
nuova evangelizzazione, che sta così a cuore di Benedetto XVI …
D. – Nella
Storia della Chiesa, fin dai tempi di Gerusalemme, la prima comunità cristiana perseguitata
è stata dispersa ai quattro venti, per così dire, e dove sono arrivati i cristiani
hanno creato nuove comunità. Oggi i filippini, ad esempio, che migrano negli Stati
del Golfo, hanno creato nuove comunità di fede in questi Paesi, dove la presenza cristiana
non c’era. Gli emigrati possono essere fermento di evangelizzazione nei luoghi dove
emigrano. D’altra parte, nei Paesi come l’Italia o la Francia, dove arrivano ogni
anno varie migliaia di emigrati, che vengono da Paesi che non sono di tradizione cristiana,
ci fanno vedere che le missioni sono venute a noi. Una volta mandavamo missionari
in questi Paesi, adesso è la gente di quei Paesi che viene qui. Allora la sfida per
le nostre parrocchie, per i sacerdoti, per i laici impegnati, è quella di vedere come
riusciamo a fare una proposta di fede a queste nuove popolazioni, in modo che - liberamente
ed in maniera cosciente – possano anche optare per vivere una vita cristiana nel nuovo
contesto in cui sono presenti. (cp)