2012-03-08 13:50:01

Mons. Tomasi: i migranti sono fermento per la nuova evangelizzazione


“Costruire ponti di opportunità”: è il titolo di un Convegno sulle migrazioni svoltosi oggi al Pontificio Collegio Nord Americano e promosso dall’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede. All’evento, moderato dall’ambasciatore americano Miguel H. Diaz, sono intervenuti il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, e Demetrios G. Papademetriou, presidente del “Migration Policy Institute” di Washington. Al microfono di Alessandro Gisotti, mons. Tomasi si sofferma sulle sfide che il fenomeno migrazione pone alla Chiesa:RealAudioMP3

R. – Oggi abbiamo il più alto livello di migrazioni internazionali di ogni tempo. Si parla di almeno 215 milioni di persone che vivono e lavorano in un Paese diverso da dove sono nate. Questa tendenza della mobilità umana a crescere, continuerà. Davanti a questa realtà la Chiesa vuole dare una risposta positiva e costruttiva. Prima di tutto, la Chiesa dice: “Noi siamo una sola famiglia umana e come tale siamo solidali gli uni con gli altri e dobbiamo – al di là dei confini e delle frontiere create dall’uomo – cercare di vedere qual è il bene comune: non in senso egoistico, limitato al mio piccolo angolo dove vivo, ma che mette in equilibrio tutta la famiglia umana”.

D. – La Santa Sede – ora membro dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – cosa può fare per favorire anche un atteggiamento globale rispetto ad un fenomeno globale? Spesso le risposte sono molto frammentate …

R. – C’è una certa contraddizione. Le regole che guidano e gestiscono le migrazioni sono le leggi nazionali, perché ogni Paese è gelosamente guardiano della sua identità, della sua sicurezza. Allo stesso tempo, il fenomeno delle migrazioni va al di là di un solo Paese, perché c’è il Paese di origine, il Paese di transito, il Paese di arrivo. Questo implica che ci sia una collaborazione più ampia a livello regionale e a livello globale, per gestire questo fenomeno in maniera razionale. Di fatto, a lungo andare, se le migrazioni sono gestite bene portano beneficio ai Paesi di origine, attraverso le rimesse che vengono mandate. Gli emigrati stessi trovano una qualità di vita migliore, quindi possono formare la loro famiglia e possono realizzarsi anche professionalmente. Nei Paesi di arrivo quindi possono contribuire al lavoro quotidiano, nelle professioni o nei lavori manuali in cui sono ingaggiati. La presenza della Santa Sede nell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni rappresenta una voce etica, che ricorda prima di tutto, che al centro di tutte queste preoccupazione ci deve essere la persona umana, con la sua dignità e le sue esigenze; in secondo luogo, che dobbiamo lavorare insieme, a livello sempre più largo data la globalizzazione in corso, per trovare delle regole, delle formule che rendano il movimento dei migranti una forza costruttiva ed un bene per tutti.

R. – Quale particolare sfida pone il fenomeno della migrazione alla nuova evangelizzazione, che sta così a cuore di Benedetto XVI …

D. – Nella Storia della Chiesa, fin dai tempi di Gerusalemme, la prima comunità cristiana perseguitata è stata dispersa ai quattro venti, per così dire, e dove sono arrivati i cristiani hanno creato nuove comunità. Oggi i filippini, ad esempio, che migrano negli Stati del Golfo, hanno creato nuove comunità di fede in questi Paesi, dove la presenza cristiana non c’era. Gli emigrati possono essere fermento di evangelizzazione nei luoghi dove emigrano. D’altra parte, nei Paesi come l’Italia o la Francia, dove arrivano ogni anno varie migliaia di emigrati, che vengono da Paesi che non sono di tradizione cristiana, ci fanno vedere che le missioni sono venute a noi. Una volta mandavamo missionari in questi Paesi, adesso è la gente di quei Paesi che viene qui. Allora la sfida per le nostre parrocchie, per i sacerdoti, per i laici impegnati, è quella di vedere come riusciamo a fare una proposta di fede a queste nuove popolazioni, in modo che - liberamente ed in maniera cosciente – possano anche optare per vivere una vita cristiana nel nuovo contesto in cui sono presenti. (cp)







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