Libia. La Cirenaica proclama l'autonomia. Il Cnt: “Useremo la forza”
La Libia nuovamente nel caos. Migliaia tra rappresentanti delle tribù e comandanti
delle milizie hanno proclamato ieri a Bengasi l'autonomia della Cirenaica, eletto
un congresso regionale e ratificato la formazione di un esercito indipendente. Immediata
la reazione del Cnt: il presidente Mustafa Abdel Jalil ha minacciato di fare ricorso
all’uso della forza. Ma come si è giunti a questo punto? Salvatore Sabatino
lo ha chiesto ad Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di
politica internazionale, autore di due pubblicazioni dedicate al Paese nordafricano:
R. – A questo
punto, si è giunti per il fatto che la Libia ormai è un Paese disgregato nel senso
che chi governa il Paese sono diverse autorità. C’è un’autorità centrale che è delegittimata,
molto debole e che è costituita dal Consiglio nazionale transitorio. Poi vi sono le
milizie sul campo e le tribù nel tessuto sociale. Capire come queste tre entità in
qualche maniera possano conciliarsi, è molto difficile. Vediamo che in questi giorni
non si stanno conciliando e da questo nasce la richiesta di autonomia federale della
Cirenaica.
D. – Tripolitania e Cirenaica hanno vissuto, sotto Gheddafi, un
lungo periodo di pace grazie agli accordi tribali siglati dal Colonnello. Oggi che
lui non c’è più, chi potrebbe riportare la pace e quindi l’equilibrio all’interno
del Paese?
R. – L’equilibrio lo può riportare solamente il petrolio, cioè la
struttura di “rentier state” dell’economia libica di fatto, che in qualche maniera
potrebbe garantire una unità del Paese. E’ necessario, naturalmente, che ci sia un
gestore unico di queste risorse. Di fatto, un po’ questo facilita anche l’autorità
e la legittimità del governo centrale, perché vende il petrolio all’estero e redistribuisce
la rendita: questa, però, naturalmente dev’essere redistribuita in una maniera che
venga percepita ugualitaria da parte di tutte le componenti tribali del Paese e le
componenti locali e regionali.
D. – L’unico elemento su cui il Cnt è riuscito
a mettere d’accordo tutti è l’islam come base del diritto inscritto nella nuova Costituzione.
Ci vorrebbero, forse, altri punti di incontro?
R. – Nonostante la Libia sia
stata lungamente, anche sotto il regime di Gheddafi, un Paese laico, l’islam – e naturalmente
la cultura islamica – è sempre stato alla base della società. E quindi, con la caduta
del regime e il vuoto di potere, il vuoto politico, il vuoto culturale sono rimaste
ben poche cose a cui tutti possano aggrapparsi. Una di queste sicuramente è l’islam,
mentre l’altra, naturalmente, è il petrolio. I terzo elemento potrebbe essere quello
di un’ampia autonomia delle città, che potrebbero incominciare ad eleggere – come
già sta avvenendo – i propri rappresentanti cittadini: questa potrebbe essere una
piccola valvola di sfogo iniziale e anche una piccola prova di democrazia.
D.
– Durante i giorni di guerra, la comunità internazionale aveva riconosciuto in massa
il Cnt come interlocutore ufficiale della nuova Libia. Quello che sta avvenendo oggi
non è il frutto di una mossa un po’ avventata?
R. – Sì: è sicuramente frutto
di questa mossa. Il Cnt non ha alcuna legittimità interna, viene percepito come un
organo quasi auto-proclamatosi, in qualche maniera, mentre all’interno c’è la percezione
che questa sia l’unica speranza.
D. – Questa minaccia di usare la forza può,
secondo lei, concretizzarsi?
R. – Io penso di no e mi sembra una reazione scomposta
da parte di Jalil e del Cnt. Innanzitutto, ancora il governo centrale e l’autorità
centrale non hanno un esercito proprio, quindi chi combatterebbe? Qualcun altro in
Tripolitania, qualche milizia della Tripolitania? Ci riporteremmo indietro ad uno
scontro, alla guerra civile che c’è stata – di fatto – nell’ultimo anno e io non penso
che il Cnt possa compiere un’azione simile. (gf)