Giornata della Donna. "Giustizia e Pace": distanza enorme tra diritti riconosciuti
e diritti applicati
Diverse iniziative ricordano in tutto il mondo la Giornata internazionale della Donna.
E proprio al riconoscimento del contributo femminile alla società è dedicata l’intenzione
generale di preghiera del Papa per il mese di marzo. Sulle sfide odierne, in particolare
per la donna cristiana, Alessandro Gisotti ha intervistato Flaminia Giovanelli,
sottosegretario del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”:
R. - Penso che
quello che potremmo fare è chiedere allo Spirito, che fa muovere tutte le cose, di
indicarci nuove vie perché l’apporto della donna nel sociale sia riconosciuto. La
rivendicazione dei diritti, la richiesta del riconoscimento del ruolo che la donna
ricopre quotidianamente nella società, sono tutte cose giuste e doverose. Ma è risaputo
che rimane enorme la distanza tra quanto dicono le carte costituzionali e l’effettiva
applicazione delle leggi.
D. - Cosa può dare la donna cristiana e il suo "genio
femminile", per riprendere la celeberrima formula di Karol Wojtyla, alla società occidentale
che spesso oggi tende ad apprezzare le donne più per l’immagine che per la propria
identità?
R. - Parlando di genio femminile infatti si presuppone che la donna
abbia una sua particolare vocazione proprio in quanto donna. Oggi questa vocazione
non è data per scontata, anzi apertamente contestata specie dalla teoria del “gender”,
oppure rimessa in discussione, anche in ambienti cristiani, specie se sono marcatamente
femministi. Io credo che proprio per questo, la donna cristiana abbia un ruolo di
primo piano da ricoprire nella soluzione della questione antropologica, che - come
ci ricorda il Santo Padre nella Caritas in veritate - è la questione sociale di oggi.
Allora io credo che la donna cristiana abbia il compito di coltivare quella ecologia
umana - che era un'altra espressione cara a Papa Wojtyla e poi ripresa anche da Benedetto
XVI - quella visione corretta della persona umana che è un tutt’uno di corpo, mente
e spirito; quindi un giusto equilibrio di questi tre elementi nella persona umana
in una visione comprensiva anche del rapporto uomo-donna. In tempo di crisi, la donna
ha poi un ruolo particolare nell’umanizzazione dell’economia, in quel senso che ha
auspicato Benedetto XVI nella Caritas in veritate, cioè questa dimensione della gratuità
e del dono senza la quale - dice il Papa - “neanche il mercato può funzionare.”
D.
- Parlando del contributo delle donne pensiamo a quanto la donna sia al servizio della
pace, soprattutto nel Sud del mondo. Una sua riflessione anche a riguardo della scorta
della sua esperienza, nel suo dicastero...
R. - Il pensiero naturalmente va
subito all’assegnazione dei Premi Nobel del 2011 che sono andati a tre donne: due
africane ed una yemenita. Mi viene in mente la signora del Burundi, Marguerite Barankitse,
denominata “l’angelo del Burundi”, che ha assistito a quell’orrore tremendo del genocidio
e non soltanto non ha cercato la vendetta, ma al contrario ha cercato la verità, il
dialogo. Ha accolto diecimila bambini orfani di guerra, sia Tutsi che Hutu, nelle
sue case. Quello che voglio sottolineare è questa capacità delle donne di accompagnare
l’aspirazione alla pace in modo concreto e con opere concrete.
D. - Per l’8
marzo, quale augurio si sente di fare alle donne che ci ascoltano?
R. - Mi
auguro che le donne siano contente di essere donne, che questa capacità che hanno
di giocare su più fronti contemporaneamente - altra caratteristica femminile, no?
- che la prendano come una sfida, come uno stimolo. E alla fine, quando si accetta
la sfida e la si vince, dà veramente soddisfazione.
D. - “Donna sii te stessa”,
per parafrasare Giovanni Paolo II...
R. - Esatto. E non solo. Sempre in questa
occasione, vorrei consigliare non solo alle donne, ma anche agli uomini di riprendere
in mano un brevissimo testo - in quest’anno in cui celebreremo i 50 anni dall’inizio
del Vaticano II - un brevissimo ma intenso messaggio che Papa Paolo VI dà alle donne
alla fine del Concilio. E fra le altre cose, affida loro il compito di riconciliare
gli uomini con la vita, attraverso un’espressione che a me sembra molto forte: “Donne,
trattenete la mano dell’uomo che in un momento di follia tentasse di distruggere la
civiltà umana.” (bi)
“Impegnarsi di più per l'uguaglianza e il rafforzamento
delle prerogative delle donne come diritto umano fondamentale da cui tutti possono
trarre beneficio”. E’ l'appello lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite,
Ban Ki-moon, nel messaggio per l’odierna Giornata internazionale della donna. Nel
mondo, cresce l’influenza femminile nella politica e negli affari, ma tanto resta
da fare, dice, specie nei contesti rurali, nei quali bisogna investire per lo sviluppo
delle nazioni. Tra le tante testimonianze da noi raccolte sull’impegno e la vita delle
donne nel mondo, proponiamo una figura femminile di imprenditrice del sud Italia,
Irene Giordano, che a Enna gestisce uno studio di consulenza per il lavoro e che ha
scelto insieme con altre 200 attività italiane di aderire al progetto Economia di
comunione del Movimento dei focolari. In che modo, dunque, una donna legge la crisi
economica attuale e quali le risposte possibili? L’intervista è di Gabriella Ceraso:
R. – A mio avviso,
si tratta particolarmente di una crisi di rapporti, di capacità reciproca di relazione,
che è poi quella che crea dinamiche positive dentro ai gruppi di lavoro, nelle aziende,
e quindi anche nel più ampio contesto sociale. Penso che questa crisi sia sicuramente
un’occasione per rivalutare e rivedere le contrapposizioni tra le parti sociali, le
dinamiche tra imprenditori e lavoratori. E in questo l’Economia di comunione ha anche
una parola da spendere.
D. – L’economia di comunione a cui lei aderisce come
imprenditrice prevede la suddivisione degli utili tra azienda, formazione e anche
fondo di solidarietà. Si riesce a far fronte alla crisi con questa logica, che non
è quella del profitto?
R. – Restando ai dati, sono aumentate le aziende che
aderiscono al progetto ed è aumentata la quantità di utili che sono stati condivisi
nello scorso anno. Certo, le difficoltà ci sono, però probabilmente la disponibilità
a essere più essenziali nelle attese di ritorno del lavoro che si fa – a condividere
di più, a innovare e a coinvolgere tutte le potenzialità, quindi anche giovani e persone
in disagio – in questo momento premia.
D. – Che effetto le fa sentire che al
Sud lavora solo una donna su quattro, nonostante il 19 per cento, secondo gli ultimi
dati, sia laureato contro il 12 per cento degli uomini? Come far fronte a questo che
sembra un potenziale di crescita sprecato?
R. – Sicuramente, ci vuole più coraggio.
Innegabilmente, al Sud ci sono anche meno strutture, meno supporti per la donna che
lavora e un po’ sta venendo meno anche quell’apporto fornito dalle relazioni familiari
e sociali. Per una donna, conciliare il lavoro con i tempi della famiglia sinceramente
è ancora difficile. Tuttavia, questa situazione si può correggere e vedo anche segni
di crescita e di cambiamento.
D. – Come donna imprenditrice, quali priorità
indicherebbe per una sana crescita oggi?
R. – Ci vuole più capacità di donarsi
e meno attese, meno pretese. Le priorità, sicuramente sono la condivisione e poi dare
tanto spazio alla formazione, cioè crescere nel senso culturale, prepararsi e cercare
di guidare il cambiamento verso mete positive.
D. – In questo il ruolo positivo
delle donne qual è?
R. – La capacità di rilevare i bisogni e di avere quella
attenzione in più nel suggerire modalità di risposta. Sicuramente, in questo tempo
ci può giovare una sensibilità più alta. (bf)