Il Papa prega per la tragedia in Congo Brazzaville. Intervista con il nunzio, mons.
Pawlowski
Benedetto XVI ha voluto esprimere il proprio dolore per la tragedia di domenica scorsa
in Congo Brazzaville, che ha provocato almeno 236 morti e 2000 feriti per l’esplosione
di un deposito di munizioni nella capitale. In un telegramma, il Papa “esprime profonda
solidarietà alle famiglie delle vittime”, pregando al contempo perché “il Signore
accolga i defunti nella sua pace e nella sua luce”. Il Pontefice si dice inoltre vicino
al lavoro dei soccorritori e chiede a Dio "speranza e conforto" per i feriti e tutte
le persone colpite dalla tragedia. Intanto, a Brazzaville, la Chiesa locale, assieme
a numerose organizzazioni internazionali, è impegnata nell’assistenza agli sfollati.
Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente a Brazzaville il nunzio apostolico,
mons. Jan Romeo Pawlowski, che ha descritto la situazione in città:
R. – In questo
momento, la situazione è calma. Possiamo dire che non ci sono ulteriori pericoli per
la popolazione. Purtroppo, a causa di questi eventi, tanta gente ha perso le case,
ha perso i suoi beni e tanti si sono spostati nelle zone più sicure, anche perché
una parte della città è praticamente tagliata fuori e non è accessibile a causa di
queste esplosioni e i militari che lì operano non permettono a nessuno di accedere.
Tanta gente si trova nei centri di accoglienza, che sono molto semplici, primitivi,
creati nei campi sportivi e anche nei campi adiacenti alle nostre parrocchie cattoliche.
E’ difficile fare le stime, ma credo che oltre tremila persone siano proprio in questi
centri.
D. – Si parla anche di una possibile emergenza sanitaria, di condizioni
difficili negli ospedali e di assistenza, di cui c’è bisogno...
R. – La situazione
sanitaria, in generale, in questo Paese, è difficile, perché non ci sono abbastanza
centri ospedalieri e centri di accoglienza, figuriamoci in queste circostanze di emergenza,
dove si parla di oltre duemila, forse anche di più, di feriti, di cui moltissimi gravi.
Bisogna temere poi che sotto le macerie ci siano ancora molti corpi, forse anche qualche
ferito. Facendo molto, molto caldo si temono anche delle epidemie: perciò la situazione,
se non critica, è davvero molto difficile.
D. – In particolare, le strutture
assistenziali della Chiesa cosa stanno facendo per venire incontro ai bisogni della
popolazione?
R. – Proprio questo: accoglienza, assistenza, accompagnamento.
Inoltre, mettiamo a disposizione quello che c’è – cibo, acqua – comprese le piazze
adiacenti alle grandi parrocchie, dove la gente può dormire e può anche cercare i
suoi cari. Tante persone, infatti, si sono spostate in preda al panico e ci sono famiglie
divise che non hanno notizie dei loro cari, bambini che hanno perso i genitori nel
tumulto. Diamo inoltre, ovviamente, l’assistenza spirituale e la preghiera. Ieri stesso,
io sono andato in alcuni posti dove la gente prega, chiede al Signore aiuto – e questo
è molto bello – pur nella difficoltà, pur nella tragedia.
D. – Qual è in questo
momento la necessità più forte per la città e per il Paese?
R. – Io credo che
sia la solidarietà, quella spirituale ma anche la solidarietà dal punto di vista medico.
Credo che non bisogna pensare soltanto a quello che è successo l’altro ieri. Tanti
feriti dovranno restare in ospedale e nei centri per diverso tempo e ci sarà allora
bisogno di medicinali, di cose di prima necessità. Questa, secondo me, è l’urgenza
più grande, aggiungendo che le autorità si sono già rivolte ad alcuni Paesi, ad alcune
organizzazioni umanitarie, con la richiesta di questo tipo di aiuto. (ap)