In un rapporto ILO il contributo delle religioni sul lavoro
“Convergenze: lavoro dignitoso e giustizia sociale nelle tradizioni religiose“: è
il titolo del rapporto pubblicato dall’Ilo, l’Organizzazione internazionale del Lavoro.
Si tratta di uno studio che raccoglie le posizioni e i riferimenti al lavoro nelle
tradizioni di diverse confessioni religiose. Nei prossimi giorni avremo ai nostri
microfoni un esponente del Cattolicesimo, uno dell’Ebraismo e uno dell’Islam. Per
capire innanzitutto il significato dell’iniziativa, Fausta Speranza ha intervistato
Pierre Martinot-Lagarde, che è consigliere per gli affari religiosi del presidente
dell'Ilo, Juan Somavia, e responsabile delle relazioni esterne dell'Agenzia delle
Nazioni Unite:
R.
– Because Ilo has good working relationship with a number of religious … L’idea
è nata perché l’Ilo ha buoni rapporti di lavoro con un certo numero di gruppi religiosi,
e così abbiamo deciso di costruire su questi rapporti. Abbiamo innanzitutto organizzato
una serie di incontri: il mio predecessore, padre Dominique Pecoud ne aveva organizzato
uno nel 2003 che ha avuto una buona partecipazione. L’anno scorso abbiamo tenuto una
serie di seminari e l’intenzione era di renderli il più possibile “globali”. Quindi,
ne abbiamo tenuto uno in America Latina, due in Africa e uno a Ginevra. Purtroppo,
ci manca l’Asia …
D. – Il titolo del volume comincia con la parola “Convergenze”
…
R. – It was important to put “convergences” in the title, because that’s
what … Ci sembrava importante inserire “Convergenze” nel titolo, perché questo
è quello che è risultato dai seminari. Penso alle convergenze sui valori, perché penso
che l’Ilo sia un’organizzazione fortemente fondata sui valori. La sua Costituzione
afferma che non può esserci pace duratura senza giustizia sociale; inoltre, le tradizioni
religiose ben rientrano in questo contesto. Abbiamo parlato – ovviamente – della dignità
umana nel mondo del lavoro: un lavoro decente e la dignità nel lavoro sono essenziali.
Abbiamo parlato di solidarietà e sicurezza, di sicurezza per le persone; abbiamo parlato
dell’impegno per la giustizia sociale …
D. – Viviamo in un’epoca di estremismi
e di crisi economica. Quale potrebbe essere il ruolo delle religioni per il lavoro?
R.
– I think, insisting on the value and dignity of work is essential today. … Penso
che insistere sul valore e sulla dignità del lavoro sia essenziale, oggi. A volte,
forse, mettiamo l’accento troppo sull’aspetto finanziario, sul denaro. Passiamo tra
le otto e le dieci ore al giorno, alcuni dalle 12 alle 16 ore al giorno, lavorando.
Se il tempo che passiamo lavorando non ha un significato, non ha un senso, non dà
dignità alla persona, penso che stiamo perdendo qualcosa. Credo che il ruolo della
religione sia essenziale per ricordarci proprio questo.
D. – C’è da ricordare
il divario che esiste tra persone che lavorano troppo e persone che non hanno un lavoro
…
R. –Yes, there are many gaps. There are gaps between those who work too much
… Sì, ci sono diversi divari. C’è il divario tra coloro che lavorano troppo e coloro
che lavorano troppo poco, tra chi ha troppo e chi ha troppo poco, tra Paesi che hanno
di più e Paesi che hanno di meno … Penso che la globalizzazione abbia portato un certo
dinamismo all’economia mondiale insieme però con un forte aumento nell’ineguaglianza.
Tornando al lavoro, un aspetto essenziale è che il lavoro è essenziale per la responsabilità
dell’uomo. La dottrina sociale della Chiesa è fortemente radicata in una visione personalistica:
noi pensiamo che avere fiducia nella persona sia essenziale. E io penso che questo
debba essere applicato al moderno mondo del lavoro: dare fiducia alla persona in funzione
delle sue capacità di rendere questo mondo migliore. Questo è un contributo essenziale.
(gf)
L’intervista con un teologo musulmano Di fronte alla crisi
attuale, ripartire dalle tradizioni religiose: è questo il senso del volume pubblicato
dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, di cui ci ha parlato ieri alla nostra
emittente il consigliere per gli affari religiosi, Pierre Martinot-Lagarde. Crisi
economica e disoccupazione sono i mali del momento – si legge nel volume – e c’è sempre
più bisogno di valori. Nei prossimi giorni ci occuperemo del contributo di valori
in relazione al lavoro che viene dal mondo giudaico e da quello cattolico. Cerchiamo
di cogliere la particolarità dei valori della tradizione dell’islam. Fausta Speranza
ha intervistato il prof. Adnane Mokrani, teologo musulmano docente al Pisai,
Pontificio Istituto di studi arabi e d’Islamistica:
R.
- Generalmente, i principi etici sono due. Il primo è quello del lavoro che, accompagnato
dalla pura intenzione e dalla sincerità, diventa per i musulmani un tipo di adorazione,
un culto. L’intenzione orientata verso Dio, verso il servizio e verso l’amore trasforma
il lavoro da un atto banale, mondano e normale ad un atto di adorazione. E’ per questo
che i lavoratori sono visti come persone “sante”: sono migliori di quelli che vivono
una vita pigra, anche di quelle persone che preferiscono pregare tutto il giorno,
senza ad esempio lavorare. C’è un detto di Maometto che racconta di due fratelli:
uno di loro passava tutto il giorno a pregare nella moschea, mentre l’altro lavorava
tutto il giorno per nutrire la propria famiglia e per aiutare anche la famiglia del
fratello che passava il proprio tempo pregando. Il migliore tra questi due fratelli,
secondo Dio, è quello che lavora. In quest’ottica, dunque, il lavoro è un’espressione
pratica più sincera e più elevata agli occhi di Dio. Il secondo principio, che troviamo
nel Corano e nella tradizione profetica, è quello della giustizia, della giustizia
sociale. Ci sono tanti detti di Maometto che raccomandano che dobbiamo pagare il lavoratore
subito, non lasciarlo aspettare. Dobbiamo pagarlo nel modo giusto, secondo lo sforzo
che ha fatto e non dobbiamo far fare un lavoro che va oltre la capacità fisica delle
persone. Bisogna fare in modo che non ci siano abusi ed inoltre si deve valutare fino
a che punto una persona può lavorare in modo sano ed equilibrato.
D. – Nella
crisi attuale, in cui la mancanza di lavoro è tra le emergenze più gravi, secondo
lei quale può essere il contributo di valori in particolare dell’islam?
R.
– Secondo me l’islam ha criticato molto la lussuria ed anche gli esagerati interessi
bancari, come anche l’investimento nei soldi. I soldi sono dunque uno strumento per
investire e guadagnare, ma non si possono vendere o comprare i soldi. Qui c’è una
critica alla finanza moderna, che ha fatto dei soldi un vero e proprio mercato, creando
un mercato originario e non reale. L’islam chiama invece ad un mercato concreto e
reale: investire nella realtà, nelle cose concrete, nel lavoro vero e non nel mercato
immaginario. L’islam prevede un guadagno senza speculazione. (vv)
Il punto
con il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni Il contributo del mondo ebraico
ad una riflessione sul lavoro: al centro dell’intervista realizzata a partire dalla
pubblicazione dedicata dall’agenzia Onu al contributo che le diverse religioni possono
offrire in tema di lavoro, intitolata Convergenze: lavoro dignitoso, giustizia sociale
e tradizioni religiose. Fausta Speranza ha intervistato Riccardo Di Segni,
rabbino capo della Comunità ebraica di Roma:
R. – Nella
Bibbia vi sono normative molto precise e dettagliate, a cominciare dal rispetto del
sabato come giorno in cui non si deve lavorare. Poi vi sono norme specifiche che riguardano
il compenso ai salariati. Queste norme bibliche sono discusse ampiamente nei testi
della tradizione rabbinica ed esistono interi trattati del Talmud che si occupano
di diritto del lavoro.
D. – Che valore ha precisamente il sabato nella tradizione
giudaica?
R. – Il sabato riguarda sia la cessazione delle attività che la reclinazione
dello spirito in senso religioso e spirituale. Quindi è il giorno in cui è proibito
non soltanto lavorare, ma è proibito agire sulla realtà circostante, modificandola
con azioni che possono anche essere insignificanti - accendere un fiammifero o accendere
la luce - ma che mostrano in qualche modo la capacità che ha l’intelligenza umana
di trasformare il mondo circostante. Ci si chiede in questo giorno di astenersi da
queste azioni, perché bisogna entrare nel ruolo di chi ha avuto il permesso di trasformare
il Creato e in quel giorno deve contemplare. Quindi c’è chiaramente il riposo lavorativo
ma c’è la crescita spirituale.
D. – Quali sono i valori profondi che il mondo
giudaico può aver trasmesso all’Organizzazione internazionale del lavoro, che ha voluto
– diciamo così- consultare le religioni?
R. – Sono valori antichissimi, per
certi aspetti sempre rivoluzionari: quello della dignità del lavoro, della dignità
del compenso, della libertà, del fatto che l’uomo si nobiliti con il lavoro ma non
debba essere schiavo del lavoro e che nessuno debba essere sfruttato o sfruttatore
degli altri. Sono elementi cardinali di una concezione umana che ha valore perenne.
D.
– Nel recente passato con tante battaglie sindacali e sociali sembrava che fossero
stati acquisiti almeno dalle società occidentali dei principi di base del rispetto
del lavoro che invece ora vediamo in qualche caso si rischia di perdere. La stessa
società occidentale oggi presenta forme di schiavismo nell’ambito del lavoro, che
sono nuove…
R. – Era stato raggiunto molto faticosamente un certo tipo di equilibrio
e regolamentazione dei rapporti di lavoro, anche se non un equilibrio ideale: c’erano
sempre zone oscure, con privilegi dall’una e dall’altra parte. Comunque, la situazione
era abbastanza matura. Ma oggi soprattutto nel quadro delle nuove immigrazioni e della
precarietà del lavoro si cerca di scivolare molto indietro nella storia! Ci sono sempre
persone che rincorrono il guadagno e il profitto senza morale. Il guadagno non è assolutamente
un valore negativo: nemmeno nella nostra tradizione la ricerca di un onesto compenso,
di un onesto guadagno, è considerata negativamente. Il problema è inserire questa
ricerca di guadagno in una sfera morale: nulla deve essere fatto, calpestando i diritti
altrui e sfruttando gli altri, offendendo la dignità. Il guadagno è lecito, ma bisogna
rispettare le persone coinvolte.
D. – Che effetto le ha fatto leggere che alcuni
elementi, fondamenti della tradizione giudaica, insieme con quelli della tradizione
cristiana o musulmana, comparivano in un rapporto dell’Organizzazione internazionale
del lavoro?
R. – Io spero che non sia soltanto un’immagine scenografica, ma
che ci si lavori. In ogni caso alcuni concetti base sono condivisi, ma poi c’è tutta
una dottrina molto dettagliata che, non conoscendole, non so se dica le stesse cose
delle altre. (ap)
Il contributo del Cristianesimo Concludiamo il
nostro approfondimento a partire dalla pubblicazione dell’Organizzazione Internazionale
del Lavoro dedicata al rapporto tra occupazione e religioni, intitolata Convergenze:
lavoro dignitoso, giustizia sociale e tradizioni religiose. Dopo aver riflettuto sul
contributo di valori dell’Islam e dell’Ebraismo, Fausta Speranza parla di punti
fermi in tema di lavoro per la tradizione della Chiesa cattolica con Flaminia Giovanelli,
Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:
R. – Per il
cattolicesimo, il lavoro è un punto di riferimento essenziale per la vita in pienezza
della persona e anche delle comunità. E’ un tema classico, come suol dirsi, della
dottrina sociale della Chiesa. Infatti, basta pensare che il Magistero sociale “moderno”
nelle Encicliche, nei vari documenti dei Papi ha avuto origine proprio dal richiamo
di Leone XIII alla condizione drammatica dei lavoratori della fine dell’Ottocento.
Poi, Giovanni Paolo II, lavoratore lui stesso da giovane – come amava ricordare molto
spesso – dedicò un’enciclica, la “Laborem Exercens”, completamente al problema del
lavoro, nella quale definì il lavoro la chiave della questione sociale. Tutto questo
per dire che l’apporto del cattolicesimo a questa problematica è particolarmente ricco.
Secondo me, l’essenziale sta nel fatto che il lavoro è visto come collaborazione per
l’uomo all’opera creatrice di Dio, e questo possiamo dirlo perché il nostro Dio è
un Dio personale che si è incarnato in Gesù Cristo ed ha lavorato nella bottega del
padre come falegname.
D. – E guardando alle Sacre Scritture?
R. – Certo,
sono molto ricche anche le Sacre Scritture di riferimenti al tema del lavoro. Basti
pensare, ad esempio, a Gesù che collaborava nella bottega di falegname del padre,
oppure al fatto che ha scelto tutti gli apostoli tra i lavoratori: erano tutti pescatori
che lasciarono immediatamente le reti per seguirlo. Però hanno continuato a fare i
pescatori, tant’è vero che dopo la risurrezione Gesù li ha trovati che stavano pescando.
Poi, San Paolo, che diceva che era un punto d’onore lavorare con le proprie mani per
non avere bisogno di nessuno: diceva: “chi non lavora, neppure mangi”.
D.
– Qual è l’impegno della Chiesa cattolica oggi, in un periodo in cui l’urgenza del
lavoro si propone a livello globale?
R. – Certamente, questi richiami all’importanza
del lavoro come realizzazione della persona, come mezzo anche per dare un’identità
alla persona, vengono richiamati spessissimo. A parte i discorsi che il Papa fa il
19 marzo, quando va a visitare fabbriche e luoghi del lavoro, i richiami sono innumerevoli:
anche la “Caritas in Veritate” va citata tra i pronunciamenti più solenni. Però, ci
sono sicuramente esempi di vescovi che sono vicini ai lavoratori anche nei momenti
in cui i posti di lavoro sono così in pericolo … Del resto, la Chiesa italiana – perché
è l’esempio che mi è più vicino – lavora tantissimo in questo senso. Pensiamo, per
esempio, al “Progetto Policoro”, nato per aiutare a creare uno spirito imprenditoriale
nei giovani del Sud. E ora, con la crisi economica, vediamo che sta trovando applicazioni
anche nel Nord Est, anche nel Centro Italia, a Roma. Poi ricordo che il Pontificio
Consiglio per la Giustizia e la Pace ha organizzato nel 2011 un grande convegno sulla
“Mater et Magistra”. La terza giornata è stata dedicata alle “buone pratiche”, cioè
a far conoscere delle iniziative buone nei vari continenti secondo i principi della
Dottrina sociale della Chiesa. Ne è uscito un panorama ricchissimo di iniziative che
sono state promosse proprio per dare lavoro: essenzialmente, erano iniziative di formazione
o di promozione di lavoro. Ricordo, ad esempio, che abbiamo sentito un imprenditore
delle Filippine che costruisce cucine ma, appunto, secondo i criteri di condivisione
dei profitti: ecco, per fare esempi concreti… (gf)