La Lateranense ricorda Shahbaz Bhatti, politico martire del Pakistan
“Morte di un blasfemo”: è il titolo di un convegno alla Pontificia Università Lateranense
che ieri, nel primo anniversario della morte, ha ricordato il ministro pakistano cattolico
Shahbaz Bhatti, ucciso dagli estremisti islamici. Alessandro Gisotti ha intervistato
il prof. Mobeen Shahid, presidente dell’Associazione cristiani pakistani in
Italia, tra i promotori dell’evento:
R. – Shahbaz
Bhatti ci ha lasciato una enorme eredità di coerenza morale, anche nella politica:
quello politico era un impegno che lui ha accettato volontariamente. Non ha cercato
il potere ma lo strumento per servire il prossimo, in particolare le minoranze religiose,
che aveva molto a cuore. Per cui, devo dire che l’eredità non è solo spirituale ma
anche politica.
D. – Anche per questo il ricordo è molto forte, non solo da
parte dei cristiani e non solo in Pakistan. La sua è una figura che, in qualche modo,
attrae non solo in nome della fede ma proprio di questa sua testimonianza...
R.
– Shahbaz è stato un uomo del dialogo, un uomo aperto ai valori che sono presenti
non solo nell’insegnamento della Chiesa, ma che sono legati al senso ultimo dell’umanità.
Per cui, anche le persone che non credono e non hanno una fede, lo rispettano per
il suo impegno e per il servizio reso all’umanità.
D. – Colpiscono alcuni scritti
di Shahbaz Bhatti, in cui era assolutamente presente il pericolo, fortissimo, della
morte. Eppure lui continuava a dire: “Voglio servire Gesù, voglio servire il Pakistan”...
R.
– Shahbaz Bhatti ha amato la sua Chiesa ma ha amato anche il Pakistan, che è la patria
di tutti noi cristiani che viviamo lì. Prima di tutto, dobbiamo essere una minoranza
creativa, che contribuisce alla crescita del Paese.
D. – Come pachistano e
come cristiano, qual è la sua speranza ad un anno dalla morte di Shahbaz Bhatti, anche
per le generazioni future?
R. – Per il futuro del Pakistan, ripropongo il pensiero
di Shahbaz, perché lui stesso aveva diagnosticato quella malattia sociale, presente
negli ultimi tre decenni, causata dall’istruzione che portava poi all’estremismo.
Come proponeva Shahbaz, la soluzione o la cura di questa malattia – che è l’estremismo
-, stava nell’istruzione: nelle scuole, si dovrebbero far studiare anche le altre
religioni. Inoltre, voleva che una parte delle borse di studio all’estero fosse riservata
alle minoranze religiose. Questo perché, attraverso le minoranze, potesse crescere
anche il Pakistan. (vv)