Kohl: l'Ue torni alla visione dei padri fondatori: intervista con Dario Antoniozzi
Eurogruppo e Consiglio europeo in questa settimana hanno segnato altre tappe della
corsa ad arginare gli effetti della crisi che ha colpito a diverso titolo l’Europa
tutta. Il presidente dell’Ue, van Rompuy, ha detto che questo potrebbe essere il momento
di svolta positivo. Da parte sua, l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl in questi giorni
ha lanciato un appello a tornare alla visione dei padri fondatori. Fausta Speranza
ha intervistato Dario Antoniozzi, politico italiano presente alle prime sedute
del parlamento europeo. Ricordiamo che la prima Assemblea parlamentare europea è nata
a Marzo 1958, a seguito dei Trattati di Roma, che dal 1962 prese il nome di "parlamento
europeo" e nel 1979 adottò per l’elezione la formula del suffragio universale:
R. – Al parlamento,
specialmente le prime volte, c’era un grande entusiasmo. Ricordo le prime sedute quando
erano i parlamenti nazionali ad averci mandato a Strasburgo. E poi voglio ricordare
una cosa bellissima: la prima volta dell’assemblea a suffragio universale la presidenza
è stata di una donna, perchè era la più anziana: madame Weiss. Madame Weiss pronunciò
un discorso favoloso. Il secondo giorno, poi, eleggemmo un’altra donna, molto brava,
madame Veil. Molti confondono le due. Comunque io ricordo il discorso memorabile di
Madame Weiss. Lo conservo e ogni tanto lo rileggo. Disse: “Vedete, noi siamo un’assemblea
di qualche centinaio di persone, ma questo centinaio di persone è veramente in grado
di creare, gestire, modificare, costruire una realtà che in tanti, per secoli, hanno
provato a creare, da San Benedetto ad altre persone?”. E aggiunse: “Nella mia fantasia
vedo, nelle pareti di quest’aula, Dante, Leonardo, Goethe e tanti altri”. Si mise
a ripetere una ventina di grandi nomi della cultura che avevano costruito l’Europa
della cultura, delle tradizioni e di tutto quello che rappresenta l’Europa nel mondo.
Quel discorso fu bellissimo, io ancora lo conservo e dovrei farlo ripubblicare perché,
molte volte, tante cose come questa non si conoscono. La partenza, quindi, fu di grande
entusiasmo. E dopo questa entusiasmante partenza, ci sono state le situazioni concrete,
dinanzi alle quali si inciampa per via delle pietre, delle obiezioni, delle riserve
ed anche degli interessi. Le tappe di unione devono essere ordinate, coordinate, concordate
e non è facile farlo, perché hanno radici in avvenimenti recenti, meno recenti, passati
e antichi, e queste radici sono spesso non solo di interessi ma anche di cultura diversa.
Il cammino, però, è aperto. Non c’è da disperare o da preoccuparsi: il cammino è aperto
e credo che, man mano, si stiano realizzando una serie di iniziative e di cose di
interesse generale. L’Europa, quando è stata fondata, rappresentava il 15 per cento
del mondo. Oggi, rappresenta il sette per cento, e fra cinque o sei anni sarà il sei
per cento. Fra 15 anni, sarà il tre per cento. O riusciamo ad essere uniti, forti
della cultura, dell’economia e così via, o, se perdiamo tempo – o magari ci disperdiamo
– scompariremo nel mare delle nuove realtà che stanno crescendo in tutto il mondo.
D.
– L’Europa è stata un sogno innanzitutto politico. Però, quella economica è stata
un po’ la via scelta per iniziare a costruire tutto l’edificio. A questo punto, il
salto dall’Europa economica, monetaria e commerciale all’Europa politica si è davvero
bloccato, come dicono in tanti?
R. – Il problema è che l’economia è diversa
per ogni Paese, che è a sua volta diverso da tutti gli altri Paesi. Anche l’economia,
quindi, prima di arrivare all’Europa politica, deve superare tanti traguardi, tante
difficoltà, tante problematiche preesistenti. Non è che si può smontare e dire: “Da
domani faremo la politica”, perché si demolirebbe tutto all’istante. L’Europa politica,
verso la quale stiamo lentamente camminando, è una costruzione lunga e difficile ma
possibile, nella misura in cui ci sarà la volontà di farlo. E credo che in questo
momento tale volontà potrebbe anche essere rafforzata dinanzi ai pericoli che ciascun
Paese corre e tutti gli altri Paesi europei insieme corrono, guardando a un futuro
che vede crescere altre realtà, spesso non del tutto democratiche, che rischiano di
crearci dei seri problemi. Credo che sarà proprio la preoccupazione relativa a questi
seri problemi a indurre gli europei ad accelerare il cammino e a diminuire le gelosie,
le difficoltà e le problematiche – a volte obiettive – che frenano e rallentano il
cammino verso quel traguardo. Un traguardo che certamente si raggiungerà, ma ci vorrà
molto tempo.
D. – Il mondo cambia, ma ci sono i valori, che sono ciò che ha
"valore" per durare nel tempo. Quali valori si respiravano al parlamento europeo all’inizio
e che, oggi, non possiamo dimenticare?
R. – Il primo valore era il desiderio
di mutare il mondo, di creare un qualcosa che superasse la problematica delle guerre.
In fondo, i primi 50 anni dello scorso secolo sono stati drammatici: due guerre mondiali,
12 dittature. L’Europa ha già creato una condizione diversa da quella: dalla seconda
metà del secolo scorso non c’è stata alcuna guerra o dittatura ed è iniziato lo sviluppo.
Questo è stato un risultato favoloso. C’è chi non riflette su queste cose, chi non
le conosce. E poi nessuno, soprattutto la scuola o i media, le ricordano con chiarezza.
Piuttosto, si fanno prendere dal problema della giornata e della settimana precedente,
ma si tratta di cose fondamentali. Senza queste cose, il cammino ulteriore non si
sarebbe potuto intraprendere.
D. – I padri fondatori dell’Europa avevano ben
chiari i valori cristiani, le radici cristiane dell’Europa. Poi c’è stato il rifiuto
di metterle per iscritto nero su bianco. Queste radici, però, riaffiorano?
R.
– Sono permanenti. Le radici cristiane ci sono, che siano scritte o meno. Esse sono
i valori di etica, di morale e di probità. E in tanti oggi li richiamano.
D.
– Siamo, però, in un’epoca di estremismi...
R. – Gli estremismi rappresentano
il male. Sono le grandi malattie della vita, che hanno determinato vicende drammatiche.
Sono qualcosa che dovremo cercare di combattere in tutti i modi possibili per riuscire
a realizzare quell’importante unità che può portare alla soluzione dei problemi. (vv)