Pericolo recessione anche per Cina e Paesi asiatici
Nei prossimi dieci anni il mondo dovrà rispondere alla sfida urgente di creare almeno
600 milioni di posti di lavoro. Lo rende noto l’Organizzazione Internazionale del
Lavoro (ILO) di Ginevra, che nell’analisi sulle tendenze globali dell’occupazione
2012 rileva la lentezza dei sistemi economici ad avviare politiche di rilancio dell’economia.
Particolarmente a rischio sono le economie dei Paesi in via di sviluppo e quelle dei
Paesi di nuova industrializzazione. Stefano Leszczynski ha intervistato Raymond
Torres, direttore dell’Institute for Labour Studies dell’Ilo:
R. - The increase
of the number of people who have been without work ... La crescita del numero di
persone che sono rimaste senza lavoro per più di un anno è l’informazione più drammatica
che si ricava dalla nostra analisi. Quando le persone restano escluse dal lavoro per
più di un anno, tendono a demoralizzarsi, lasciano il mercato del lavoro o ne vengono
escluse, e ciò rende molto difficile un loro reintegro occupazionale. In effetti,
la crescita nell’ambito di quella che noi chiamiamo disoccupazione a lungo termine,
rappresenta un peso che riduce le possibilità di una ripresa economica nel futuro.
Il secondo dato grave è associato al primo e riguarda la disoccupazione giovanile,
che non è soltanto una tragedia dal punto di vista del mondo del lavoro, ma rappresenta
anche un fattore di forte tensione sociale. Una situazione che si sta diffondendo
in molti posti dall’Europa al Nord Africa, e paradossalmente anche in Cina, dove -
nonostante la crescita economica sia energica - c’è un alto tasso di disoccupazione
giovanile. In Cina ogni anno entrano nel mercato del lavoro circa 6milioni di giovani,
che per la maggior parte non trovano un’occupazione corrispondente alle loro capacità.
D.
- La disoccupazione è spesso una conseguenza della crisi economica che stiamo sperimentando
a livello globale. Tuttavia, c’è il paradosso delle economie emergenti che continuano
a crescere, mentre le economie di vecchia industrializzazione perdono terreno. Perché
questo squilibrio?
R. - This is a crisis which originated in developped countries;
it originated in ... Questa è una crisi che ha avuto origine nei Paesi sviluppati
e nel loro sistema finanziario, in associazione ad un eccesso di finanza, alla deregulation
finaziaria e in estrema sintesi questo significa che il sistema finanziario invece
di incanalare il credito verso i canali dove sarebbe stato più utile e più produttivo
per l’economia e la società, ha incanalato queste risorse laddove erano meno produttive
o di dubbio utilizzo e oggi stiamo pagando i costi di questa scelta. Ed è un costo
doppio, perché da un lato è associato all’errata allocazione delle risorse nelle economie
avanzate cui va aggiunta l’assenza di politiche creditizie, dall’altro rappresenta
un costo perché i governi nel 2009 e per certi versi nel 2010 hanno tentato di contrastare
questa situazione con la spesa pubblica e con il rilancio dell’economia attraverso
gli incentivi aumentando così il debito pubblico. Una situazione che oggi è tanto
criticata dai mercati finanziari, ma che di fatto è stata prodotta dagli eccessi dei
mercati finanziari che si sono verificati prima. Le economie emergenti non hanno questo
tipo di sistema finanziario deregolamentato e dunque non hanno sofferto gli stessi
effetti, anche se la crisi nelle economie emergenti deriva dal fatto che le importazioni
da parte delle economie avanzate sono diminuite e quindi hanno un problema strutturale
al momento perché, - soprattutto quelli che hanno puntato sulle esportazioni nelle
proprie strategie di sviluppo – non potendo esportare come prima devono ristrutturare
l’economia per aumentare la domanda interna.
D. - E’ il caso della Cina? C’è
un pericolo recessione cinese?
R. - It is a challenge also for China, because
China has only partly managed to ... E’ una sfida anche per la Cina, perché la
Cina è riuscita a ristrutturare solo parzialmente la propria economia per sostenere
una maggiore domanda interna, maggiori investimenti interni, i consumi e lo sviluppo
delle aree rurali e così via. Questo in parte è stato fatto, ma non in maniera sufficiente
per compensare la riduzione delle esportazioni della Cina verso i Paesi sviluppati,
quelli che hanno per l'appunto dovuto ridurre le importazioni. Quindi in effetti c’è
un pericolo anche per la Cina perché questi milioni di giovani che ogni anno entrano
sul mercato del lavoro sono sempre più scontenti in quanto anche durante il periodo
di forte crescita c’era la sensazione che i profitti della crescita non fossero equamente
distribuiti, le diseguaglianze in Cina sono aumentate moltissimo e ovviamente le autorità
cinesi hanno ora come obiettivo primario quello che loro definiscono ‘una maggiore
armonia’, che poi significa una redistribuzione della ricchezza in maniera migliore
di quanto non sia stato fatto in passato.
D. - Quasi tutti i governi europei
hanno puntato su misure di austerità per combattere la crisi. E’ la risposta giusta
per contrastare questa crisi o no?
R. - Look at what happened in Greece: two
austerity plans and still ... Guardiamo a quanto accaduto in Grecia. Due piani
di austerità e un debito pubblico, un deficit, che continua a crescere. Guardiamo
a quello che è accaduto in Spagna, all’inizio del 2011 si è puntato sull’austerità
e alla fine del 2011 il deficit pubblico è quasi identico a quello che era inizialmente.
Quindi, l’austerità da sola non serve a promuovere la ripresa. Credo che ci sia una
sempre maggiore coscienza di ciò e che i Paesi europei si stiano accorgendo che innanzitutto
devono avere delle politiche di bilancio rigorose per ridurre il deficit dove è troppo
elevato, ma devono farlo con molta prudenza, mantenendo l’occupazione e successivamente
devono avere una strategia di crescita, che è quella che manca attualmente. Non c’è
abbastanza dibattito circa il tipo di strategia europea di crescita da adottare per
il futuro e ci sono elementi che possono essere mobilitati con grande velocità attraverso
l’impiego dei fondi strutturali Ue per sostenere l’occupazione in Europa, una maggiore
iniziativa di crescita in Europa, come nel settore dell’"economia "verde", e anche
fare in modo che i salari non calino, ma crescano insieme alla produttività soprattutto
nei Paesi in cui vi sia uno spazio di manovra in tal senso, come in Germania o in
Olanda.
D. - Questo per quanto riguarda le responsabilità dei governi. Ma
quali dovrebbero essere le responsabilità dei sindacati e delle imprese?
R.
- Trade unions and enterprises are discovering a new role. ... Sindacati e imprese
stanno scoprendo nuovi ruoli. Tradizionalmente c’è sempre stata una sorta di contrasto
negli interessi perseguiti dalle due parti, ma adesso il loro nuovo ruolo comune è
quello di rammentare ai governi, che sono spinti dal sistema finanziario ad attuare
determinate politiche, che l’economia reale è importante, che l’occupazione è assolutamente
centrale. Quindi, c’è questo nuovo ruolo per le imprese e i sindacati di impegnarsi
nel dialogo sociale, questa volta insieme ai governi, con lo scopo di aprire nuovi
spazi d’azione e fare in modo che la situazione del lavoro migliori molto in fretta
perché c’è sempre meno tempo per agire.