2012-03-01 15:28:23

Pericolo recessione anche per Cina e Paesi asiatici


Nei prossimi dieci anni il mondo dovrà rispondere alla sfida urgente di creare almeno 600 milioni di posti di lavoro. Lo rende noto l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) di Ginevra, che nell’analisi sulle tendenze globali dell’occupazione 2012 rileva la lentezza dei sistemi economici ad avviare politiche di rilancio dell’economia. Particolarmente a rischio sono le economie dei Paesi in via di sviluppo e quelle dei Paesi di nuova industrializzazione. Stefano Leszczynski ha intervistato Raymond Torres, direttore dell’Institute for Labour Studies dell’Ilo:RealAudioMP3

R. - The increase of the number of people who have been without work ...
La crescita del numero di persone che sono rimaste senza lavoro per più di un anno è l’informazione più drammatica che si ricava dalla nostra analisi. Quando le persone restano escluse dal lavoro per più di un anno, tendono a demoralizzarsi, lasciano il mercato del lavoro o ne vengono escluse, e ciò rende molto difficile un loro reintegro occupazionale. In effetti, la crescita nell’ambito di quella che noi chiamiamo disoccupazione a lungo termine, rappresenta un peso che riduce le possibilità di una ripresa economica nel futuro. Il secondo dato grave è associato al primo e riguarda la disoccupazione giovanile, che non è soltanto una tragedia dal punto di vista del mondo del lavoro, ma rappresenta anche un fattore di forte tensione sociale. Una situazione che si sta diffondendo in molti posti dall’Europa al Nord Africa, e paradossalmente anche in Cina, dove - nonostante la crescita economica sia energica - c’è un alto tasso di disoccupazione giovanile. In Cina ogni anno entrano nel mercato del lavoro circa 6milioni di giovani, che per la maggior parte non trovano un’occupazione corrispondente alle loro capacità.

D. - La disoccupazione è spesso una conseguenza della crisi economica che stiamo sperimentando a livello globale. Tuttavia, c’è il paradosso delle economie emergenti che continuano a crescere, mentre le economie di vecchia industrializzazione perdono terreno. Perché questo squilibrio?

R. - This is a crisis which originated in developped countries; it originated in ...
Questa è una crisi che ha avuto origine nei Paesi sviluppati e nel loro sistema finanziario, in associazione ad un eccesso di finanza, alla deregulation finaziaria e in estrema sintesi questo significa che il sistema finanziario invece di incanalare il credito verso i canali dove sarebbe stato più utile e più produttivo per l’economia e la società, ha incanalato queste risorse laddove erano meno produttive o di dubbio utilizzo e oggi stiamo pagando i costi di questa scelta. Ed è un costo doppio, perché da un lato è associato all’errata allocazione delle risorse nelle economie avanzate cui va aggiunta l’assenza di politiche creditizie, dall’altro rappresenta un costo perché i governi nel 2009 e per certi versi nel 2010 hanno tentato di contrastare questa situazione con la spesa pubblica e con il rilancio dell’economia attraverso gli incentivi aumentando così il debito pubblico. Una situazione che oggi è tanto criticata dai mercati finanziari, ma che di fatto è stata prodotta dagli eccessi dei mercati finanziari che si sono verificati prima. Le economie emergenti non hanno questo tipo di sistema finanziario deregolamentato e dunque non hanno sofferto gli stessi effetti, anche se la crisi nelle economie emergenti deriva dal fatto che le importazioni da parte delle economie avanzate sono diminuite e quindi hanno un problema strutturale al momento perché, - soprattutto quelli che hanno puntato sulle esportazioni nelle proprie strategie di sviluppo – non potendo esportare come prima devono ristrutturare l’economia per aumentare la domanda interna.

D. - E’ il caso della Cina? C’è un pericolo recessione cinese?

R. - It is a challenge also for China, because China has only partly managed to ...
E’ una sfida anche per la Cina, perché la Cina è riuscita a ristrutturare solo parzialmente la propria economia per sostenere una maggiore domanda interna, maggiori investimenti interni, i consumi e lo sviluppo delle aree rurali e così via. Questo in parte è stato fatto, ma non in maniera sufficiente per compensare la riduzione delle esportazioni della Cina verso i Paesi sviluppati, quelli che hanno per l'appunto dovuto ridurre le importazioni. Quindi in effetti c’è un pericolo anche per la Cina perché questi milioni di giovani che ogni anno entrano sul mercato del lavoro sono sempre più scontenti in quanto anche durante il periodo di forte crescita c’era la sensazione che i profitti della crescita non fossero equamente distribuiti, le diseguaglianze in Cina sono aumentate moltissimo e ovviamente le autorità cinesi hanno ora come obiettivo primario quello che loro definiscono ‘una maggiore armonia’, che poi significa una redistribuzione della ricchezza in maniera migliore di quanto non sia stato fatto in passato.

D. - Quasi tutti i governi europei hanno puntato su misure di austerità per combattere la crisi. E’ la risposta giusta per contrastare questa crisi o no?

R. - Look at what happened in Greece: two austerity plans and still ...
Guardiamo a quanto accaduto in Grecia. Due piani di austerità e un debito pubblico, un deficit, che continua a crescere. Guardiamo a quello che è accaduto in Spagna, all’inizio del 2011 si è puntato sull’austerità e alla fine del 2011 il deficit pubblico è quasi identico a quello che era inizialmente. Quindi, l’austerità da sola non serve a promuovere la ripresa. Credo che ci sia una sempre maggiore coscienza di ciò e che i Paesi europei si stiano accorgendo che innanzitutto devono avere delle politiche di bilancio rigorose per ridurre il deficit dove è troppo elevato, ma devono farlo con molta prudenza, mantenendo l’occupazione e successivamente devono avere una strategia di crescita, che è quella che manca attualmente. Non c’è abbastanza dibattito circa il tipo di strategia europea di crescita da adottare per il futuro e ci sono elementi che possono essere mobilitati con grande velocità attraverso l’impiego dei fondi strutturali Ue per sostenere l’occupazione in Europa, una maggiore iniziativa di crescita in Europa, come nel settore dell’"economia "verde", e anche fare in modo che i salari non calino, ma crescano insieme alla produttività soprattutto nei Paesi in cui vi sia uno spazio di manovra in tal senso, come in Germania o in Olanda.

D. - Questo per quanto riguarda le responsabilità dei governi. Ma quali dovrebbero essere le responsabilità dei sindacati e delle imprese?

R. - Trade unions and enterprises are discovering a new role. ...
Sindacati e imprese stanno scoprendo nuovi ruoli. Tradizionalmente c’è sempre stata una sorta di contrasto negli interessi perseguiti dalle due parti, ma adesso il loro nuovo ruolo comune è quello di rammentare ai governi, che sono spinti dal sistema finanziario ad attuare determinate politiche, che l’economia reale è importante, che l’occupazione è assolutamente centrale. Quindi, c’è questo nuovo ruolo per le imprese e i sindacati di impegnarsi nel dialogo sociale, questa volta insieme ai governi, con lo scopo di aprire nuovi spazi d’azione e fare in modo che la situazione del lavoro migliori molto in fretta perché c’è sempre meno tempo per agire.







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