Lavoro e valori religiosi: Flaminia Giovanelli sul contributo del Cristianesimo
Concludiamo oggi il nostro approfondimento a partire dalla pubblicazione dell’Organizzazione
Internazionale del Lavoro dedicata al rapporto tra occupazione e religioni, intitolata
"Convergenze: lavoro dignitoso, giustizia sociale e tradizioni religiose". Dopo aver
riflettuto sul contributo di valori dell’Islam e dell’Ebraismo, Fausta Speranza
parla di punti fermi in tema di lavoro per la tradizione della Chiesa cattolica con
FlaminiaGiovanelli,sotto-segretario del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace:
R. – Per il
cattolicesimo, il lavoro è un punto di riferimento essenziale per la vita in pienezza
della persona e anche delle comunità. E’ un tema classico, come suol dirsi, della
dottrina sociale della Chiesa. Infatti, basta pensare che il Magistero sociale “moderno”
nelle Encicliche, nei vari documenti dei Papi ha avuto origine proprio dal richiamo
di Leone XIII alla condizione drammatica dei lavoratori della fine dell’Ottocento.
Poi, Giovanni Paolo II, lavoratore lui stesso da giovane – come amava ricordare molto
spesso – dedicò un’Enciclica, la “Laborem Exercens”, completamente al problema del
lavoro, nella quale definì il lavoro la chiave della questione sociale. Tutto questo
per dire che l’apporto del cattolicesimo a questa problematica è particolarmente ricco.
Secondo me, l’essenziale sta nel fatto che il lavoro è visto come collaborazione per
l’uomo all’opera creatrice di Dio, e questo possiamo dirlo perché il nostro Dio è
un Dio personale che si è incarnato in Gesù Cristo ed ha lavorato nella bottega del
padre come falegname!
D. – E guardando alle Sacre Scritture?
R. – Certo,
sono molto ricche anche le Sacre Scritture di riferimenti al tema del lavoro. Basti
pensare, ad esempio, a Gesù che collaborava nella bottega di falegname del padre,
oppure al fatto che ha scelto tutti gli Apostoli tra i lavoratori: erano tutti pescatori
che lasciarono immediatamente le reti per seguirlo. Però hanno continuato a fare i
pescatori, tant’è vero che dopo la risurrezione, Gesù li ha trovati che stavano pescando.
Poi, San Paolo, che diceva che era un punto d’onore lavorare con le proprie mani per
non avere bisogno di nessuno: diceva: “Chi non lavora, neppure mangi”.
D.
– Qual è l’impegno della Chiesa cattolica, oggi, in un periodo in cui l’urgenza del
lavoro si propone a livello globale?
R. – Certamente, questi richiami all’importanza
del lavoro come realizzazione della persona, come mezzo anche per dare un’identità
alla persona, vengono richiamati spessissimo. A parte i discorsi che il Papa fa il
19 marzo, quando va a visitare fabbriche e luoghi del lavoro, i richiami sono innumerevoli:
anche la “Caritas in Veritate” va citata tra i pronunciamenti più solenni. Però, ci
sono sicuramente esempi di vescovi che sono vicini ai lavoratori anche nei momenti
in cui i posti di lavoro sono così in pericolo … Del resto, la Chiesa italiana – perché
è l’esempio che mi è più vicino – lavora tantissimo in questo senso. Pensiamo, per
esempio, al “Progetto Policoro”, nato per aiutare a creare uno spirito imprenditoriale
nei giovani del Sud. E ora, con la crisi economica, vediamo che sta trovando applicazioni
anche nel Nord Est, anche nel Centro Italia, a Roma. Poi ricordo che il Pontificio
Consiglio per la Giustizia e la Pace ha organizzato nel 2011 un grande convegno sulla
“Mater et Magistra”. La terza giornata è stata dedicata alle “buone pratiche”, cioè
a far conoscere delle iniziative buone nei vari continenti secondo i principi della
Dottrina sociale della Chiesa. Ne è uscito un panorama ricchissimo di iniziative che
sono state promosse proprio per dare lavoro: essenzialmente, erano iniziative di formazione
o di promozione di lavoro. Ricordo, ad esempio, che abbiamo sentito un imprenditore
delle Filippine che costruisce cucine ma, appunto, secondo i criteri di condivisione
dei profitti: ecco, per fare esempi concreti… (gf)