La morte di Lucio Dalla. Il suo rapporto con la fede: intervista con padre Bertuzzi
Lutto nel mondo della musica per la scomparsa di Lucio Dalla, morto per un attacco
cardiaco a Montreaux, in Svizzera, dove si trovava per una serie di concerti. Musicista
e poeta, l’artista bolognese avrebbe compiuto il 4 marzo 69 anni. Innumerevoli i suoi
brani di successo, a partire da “4 marzo 1943”, a “Caruso”, inciso in una trentina
di versioni in tutto il mondo, a “Come è profondo il mare”, a “Futura”, alla filastrocca
“Attenti al lupo” record assoluto di vendite. Personalità eclettica e profonda, cosi
come emerge in questa intervista realizzata nel 2000 da padre Vito Magno, dove
Lucio Dalla parla del suo rapporto con le fede:
R. – Io sono
cristiano, sono cattolico, credo in Dio e professo la mia fede continuamente, nel
senso che è uno dei miei punti fermi e una delle poche certezze che ho, che non mi
proibisce di immaginare, di sperimentare anche possibilità che non contrastano con
la mia certezza religiosa, ma che fanno parte della mia struttura di uomo contemporaneo.
D.
– Considerando le sue canzoni degli ultimi anni i critici parlano di un Dalla diverso
e anche un po’ convertito…
R. – Non sono un convertito, perché credo in Dio
da quando sono bambino e credo che siano valori assolutamente umani. La ricerca della
libertà, la ricerca dell’equilibrio e la ricerca della ricerca, il continuo meccanismo
di credere, è quello che fa la differenza tra l’uomo e le macchine. Per cui io credo
nella libertà, nella tolleranza, nel riconoscimento di tutte le confessioni, perché
credo che sia importante e che una società come la nostra, che va verso una società
più complessa, più enigmatica, come quella delle macchine, abbia bisogno di fede.
Naturalmente credo in Dio perché è il mio Dio, è il Dio che riconosco negli uomini,
nell’umanità, è il Dio che riconosco nei poveri, nella gente che ha bisogno di aiuto,
e che io considero gli uomini del domani. Rispetto con grande fascino la decisione
di Cristo di nascere povero, di nascere in mezzo alla gente diseredata, perché è la
gente del futuro. Io credo che dopo 2000 anni, anche oggi, la gente diseredata, i
migranti, la gente del Terzo Mondo, sia la gente del futuro.
D. – Tempo fa
lei ha cantato alcuni Salmi. Cosa la colpisce di questi componimenti poetici dell’Antico
Testamento?
R. - La cosa che mi ha colpito dei Salmi è la grande forza dirompente
delle parole. Noi abbiamo oggi, in una società che si sta trasformando praticamente
da società della parola a società dell’immagine, uno scadimento della forza protettiva
della parola e credo che i Salmi siano l’opposto di questa mancanza di energia. Nei
Salmi la parola è dinamite pura, è proprio costruzione, la fondazione della parola
stessa. Quindi mi sono avvicinato ai Salmi in maniera laica, da artista, per avere
la conferma della grandissima esistenza, a livello di comunicazione, della forza del
credere.
D. - E’ interessante addentrarsi nella Sacra Scrittura. Lei teme di
farlo?
R. – Mi manca la conoscenza teologica e storica per farlo. Però sento
con l’intensità dell’artista o comunque dell’uomo che è abituato a guardare anche
cosa c’è sotto i sassi, per intuire le cose che si muovono sopra la nostra testa e
dentro la nostra anima, che il mistero è ancora un mistero. Per cui mi sembra che
in un’epoca di computer, di macchine, di conoscenza umana che sempre più, con un’escalation
e con un’accelerazione impressionante, va diventando totale, questo mistero sia un
mistero destinato a scoprirlo solamente chi viaggia nell’anima e non nella conoscenza
scientifica. (bf)
Sulla personalità di Lucio Dalla, Antonella Palermo ha
raccolto la testimonianza di padre Giovanni Bertuzzi, domenicano, direttore
del Centro San Domenico a Bologna, che conosceva bene il cantante:
R. – Sì, in
convento lo conoscevamo tutti perché abitava qui vicino e frequentava la nostra chiesa.
Quando era a Bologna, veniva sempre qui da noi, a Messa, ed era vicino anche a diversi
domenicani. Lo abbiamo quindi sempre avuto vicino. Partecipava anche ad una missione
popolare della nostra comunità, perché sentiva l’appartenenza non solo come cristiano
ma anche come cattolico e veniva qui a vivere i Sacramenti nella nostra chiesa.
D.
– Come lo ricorda, lei?
R. – Lo ricordo come una persona molto disponibile,
aperta, gioviale. Io, comunque, lo conoscevo fin da ragazzo perché sono bolognese
e lo conoscevamo prima ancora che io entrassi in convento; allora, lui qui faceva
parte di una leggendaria “dixie band”, quel gruppo jazz a cui appartenevano anche
Renzo Arbore e Pupi Avati: loro hanno incominciato a suonare insieme – lui suonava
il clarinetto – e ha sempre avuto una grande sensibilità musicale. Io l’ho apprezzato
sempre forse più come musicista che come cantante, ma aveva anche una gran voce: questo
sì!
D. – Ricorda qualche aneddoto, qualche episodio particolare di quei tempi?
R.
– Già allora noi lo apprezzavamo, eravamo suoi fans come bolognesi: lui, Gianni Morandi
e Francesco Guccini … C’è un aneddoto che posso raccontare: io celebravo la Messa,
un giorno, era una Messa per gli studenti, con degli studenti che cantavano durante
la Messa. E a questa Messa partecipava anche Lucio Dalla e gli studenti che cantavano
avevano, secondo me, stonato abbastanza … Alla fine, in sacrestia, dissi: “Guardate
che, se cantate così, Lucio Dalla non vi scrittura!”. E invece, arrivò Lucio Dalla
in sacrestia: era stato colpito dalla voce di uno di questo studenti e lo chiamò a
cantare in un suo disco rimasto famoso, perché lui, alla fine di questo disco, ha
fatto eseguire da questo mio studente il canto “Vieni, vieni Spirito d’amore”, quel
canto famoso… Questo è un episodio abbastanza curioso, perché io non avevo riconosciuto
questo talento musicale in questo studente, mentre lui era rimasto colpito dalla sua
voce.
D. – Padre Bertuzzi, che fede aveva Dalla? Come era maturato questa
ricerca di spiritualità?
R. – L’impressione che ho avuto è che avesse una fede
molto spontanea: si sentiva appartenente alla Chiesa cattolica come praticante… Una
fede spontanea, in una vita che è sempre stata molto movimentata, anche un po’ anarchica.
Così come aveva una sensibilità musicale, aveva anche una sensibilità religiosa che
gli faceva sentire la presenza di Dio nella natura e la presenza di Dio nella sua
vita.
D. – Come si esprimeva questa sua spiritualità?
R. – L’esprimeva
con la pratica religiosa comune cattolica; l’esprimeva con molta generosità e disponibilità
nei confronti degli altri. Non c’era alcuna difficoltà a comunicare con lui: appena
lo si incontrava, ti salutava con grande affabilità e ci teneva a stabilire un rapporto
di dialogo con tutti. Quello che mi ha sempre colpito in lui è che non aveva alcuna
riservatezza o altezzosità per quello che era, un cantante famoso; quello che mi ha
sempre colpito è stata la sua semplicità e la sua umiltà. Per esempio il padre Michele
Casali, che è stato il fondatore del Centro San Domenico, che adesso io dirigo, mi
diceva che la famosa canzone “Caro amico ti scrivo” l’aveva composta con lui in parlatorio:
era andato a parlare con lui, perché si vedevano molto spesso… praticamente l’ha composta
insieme a questo mio confratello! (mg)