Siria: bombe su Homs. Mons. Tomasi: soldarietà con le vittime della violenza
In Siria, le truppe governative bombardano per il 26.mo giorno consecutivo Homs, centro
della rivolta anti-Assad. La città è isolata con decine di vittime anche oggi. La
Francia torna a chiedere il cessate il fuoco mentre Damasco vuole chiarimenti dall’Onu
sulla missione affidata a Kofi Annan e ha nuovamente negato al Coordinatore degli
aiuti d'emergenza delle Nazioni Unite, di visitare il paese.
Intanto la comunità
internazionale riunita a Ginevra per la sessione del Consiglio Onu per i Diritti umani,
si appresta a condannare la repressione di Damasco. Presente all’incontro, anche l’arcivescovo
Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio
Onu della città elvetica. Il presule ha ribadito gli appelli del Papa per la fine
immediata del bagno di sangue, esprimendo la sua solidarietà per le vittime della
violenza. Sergio Centofanti lo ha intervistato:
R. – La comunità
internazionale vuole dare un messaggio chiaro alle autorità siriane: non è accettabile
una violazione sistematica dei diritti umani delle persone attraverso repressioni
violente, l’uso della forza contro dimostrazioni, l’uccisione di tanti civili – anche
bambini – e poi la creazione di nuovi gruppi di rifugiati, specialmente persone che
dalla Siria sono fuggite in Turchia o in Libano o in altre parti del Medio Oriente.
La questione della Siria è molto delicata ed importante, perché a differenza degli
altri Paesi della cosiddetta Primavera araba, tocca veramente equilibri interni del
Medio Oriente ed è vicina, come Paese, a tante zone molto delicate che comportano
questioni politiche importanti: Israele, l’Iran, la Turchia, il Libano … La Santa
Sede è intervenuta a Ginevra ad un livello molto umanitario, parlando della preoccupazione
per le vittime di questa situazione di violenza, chiedendo che in maniera urgente
si metta fine all’uso della forza e si apra, invece, la strada al dialogo, alla riconciliazione
e a una ricerca sincera della pace, perché abbiamo visto purtroppo troppo spesso
negli ultimi decenni che la violenza genera violenza. Non è mai troppo tardi per mettere
fine all’uso della violenza! Una seconda preoccupazione espressa è stata quella che
ci sia una possibilità concreta di portare aiuti umanitari, medici e medicine, alle
persone che ne hanno bisogno – feriti o persone ammalate – che si trovano nelle città
che sono sotto bersaglio, come ad esempio la città di Homs; aprire questa possibilità
concreta, quindi, di fare arrivare aiuto umanitario. E infine, una terza preoccupazione
espressa è stata quella che la tradizione di tanti anni di convivenza abbastanza pacifica
e rispettosa tra le varie minoranze – sunnite, sciite, alawite, cristiane, curde –
che formano la Siria, non venga dimenticata e che invece si cerchi di camminare assieme
per trovare una soluzione, perché non si ripetano certe tragedie che sono capitate,
come – ad esempio – dopo il crollo del governo iracheno che ha portato ad un lungo
periodo di instabilità e di guerra civile.
D. – Ma in concreto, che cosa può
fare la comunità internazionale per fermare quello che il Papa ha definito “spargimento
di sangue”?
R. – La situazione difficile in cui si trova la comunità internazionale
è che non sembra possibile, in questa situazione, un intervento cosiddetto umanitario
però anche di forza, come è avvenuto per altri Paesi; quindi, bisogna cercare la strada
della convinzione e della riconciliazione facendo capire che le conseguenze per il
futuro non verranno ignorate, che la comunità internazionale continuerà a perseguire
attraverso vie giuridiche e legali la responsabilità di coloro che sono causa di tanta
sofferenza.
D. – C’è timore per la minoranza cristiana?
R. – In Siria,
finora, le minoranze cristiane hanno potuto convivere abbastanza pacificamente e serenamente
con le varie espressioni della fede islamica che è dominante nel Paese. Certo, se
c’è una destabilizzazione totale della situazione politica non sappiamo come le reazioni
si articoleranno, se ci saranno vendette contro minoranze che sono percepite di avere
appoggiato il governo attuale, e quindi c’è un’incognita. Sarebbe veramente irresponsabile
– a me sembra – se si pensasse solo ad un cambiamento politico immediato senza allo
stesso tempo prevedere l’alternativa di come verrà gestito il Paese e quindi le relazioni
tra gruppi che compongono la società della Siria, in modo da prevenire sia ulteriore
spargimento di sangue, sia movimenti di rifugiati di cui poi la comunità internazionale
dovrà in qualche modo prendersi la responsabilità. (gf)