2012-02-29 13:41:58

Mogadisco: assassinato un altro giornalista somalo


A meno di dieci giorni dalla Conferenza internazionale di Londra sulla Somalia, gli analisti lanciano l’allarme per il rischio di un rafforzamento delle posizioni dei miliziani al Shabaab, che già controllano vaste aree del Paese. La causa sarebbe da ricercare nelle lotte tra clan per la conquista del potere nelle nuove istituzioni somale, ancora in via di elaborazione. Tra le vittime principali di questa guerra d’interesse tra clan sono i giornalisti somali. Stefano Leszczynski ha intervistato Domenico Affinito, vicepresidente di Reporter Senza Frontiere – Italia:RealAudioMP3

R. - Per i giornalisti la Somalia è il Paese più pericoloso in Africa. Quattro giornalisti uccisi nel 2011, tre nel 2010, nove nel 2009, e già due quest’anno. Una situazione che ovviamente dipende dal fatto che è in atto una guerra civile intestina alla Somalia che dura ormai dalla caduta di Siad Barre. La situazione è sicuramente peggiorata dopo la missione internazionale del 1994, “Restore Hope”, quando le forze internazionali scapparono letteralmente dalla Somalia lasciando il Paese in un buco nero e da quel momento di nuovo la guerra civile, la divisione del Paese, le bande di criminali comuni, le corti islamiche. Tutti i giornalisti che ne scrivono danno fastidio e, quindi, rischiano la vita.

D. - Quali sono gli interessi dei clan in Somalia?

R. - La Somalia è divisa tra una miriade di clan. Sappiamo tutti, e abbiamo letto in questi anni, dei traffici di rifiuti tossici e di armi. C’è poi la piaga della pirateria, che frutta molti soldi, perché i riscatti che sono stati pagati in questi anni dagli armatori sono stati di milioni e milioni di euro. Quindi gli appetiti dei clan sono legati soprattutto ad un controllo del territorio e l’incapacità di mettersi d’accordo genera il caos. A questo poi si sono aggiunte una serie di crisi umanitarie, non ultima la siccità che ha colpito la regione qualche mese fa.

D. - In questo contesto colpisce l’atteggiamento della comunità internazionale. Solo la settimana scorsa si è svolta un’importante conferenza internazionale a Londra, ma poco è uscito sul fronte umanitario. Questo, quanto fa male alla Somalia?

R. - Fa male tantissimo perché la prima emergenza, forse quella che potrebbe riuscire a risolvere anche i problemi successivi come quello della pirateria e quella politica all’interno del Paese, è proprio quella umanitaria. Noi abbiamo scritto una lettera ai partecipanti alla Conferenza che si è svolta una settimana fa, chiedendo una commissione internazionale indipendente di inchiesta sugli omicidi dei giornalisti e abbiamo chiesto di nuovo alla Comunità internazionale di farsi carico di questa situazione. Purtroppo come abbiamo visto anche in altri contesti, spesso la comunità internazionale non ha la coesione necessaria e l’incisività sufficiente per riuscire a migliorare le cose. (bi)







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