Mogadisco: assassinato un altro giornalista somalo
A meno di dieci giorni dalla Conferenza internazionale di Londra sulla Somalia, gli
analisti lanciano l’allarme per il rischio di un rafforzamento delle posizioni dei
miliziani al Shabaab, che già controllano vaste aree del Paese. La causa sarebbe da
ricercare nelle lotte tra clan per la conquista del potere nelle nuove istituzioni
somale, ancora in via di elaborazione. Tra le vittime principali di questa guerra
d’interesse tra clan sono i giornalisti somali. Stefano Leszczynski ha intervistato
Domenico Affinito, vicepresidente di Reporter Senza Frontiere – Italia:
R. - Per i giornalisti
la Somalia è il Paese più pericoloso in Africa. Quattro giornalisti uccisi nel 2011,
tre nel 2010, nove nel 2009, e già due quest’anno. Una situazione che ovviamente dipende
dal fatto che è in atto una guerra civile intestina alla Somalia che dura ormai dalla
caduta di Siad Barre. La situazione è sicuramente peggiorata dopo la missione internazionale
del 1994, “Restore Hope”, quando le forze internazionali scapparono letteralmente
dalla Somalia lasciando il Paese in un buco nero e da quel momento di nuovo la guerra
civile, la divisione del Paese, le bande di criminali comuni, le corti islamiche.
Tutti i giornalisti che ne scrivono danno fastidio e, quindi, rischiano la vita.
D.
- Quali sono gli interessi dei clan in Somalia?
R. - La Somalia è divisa tra
una miriade di clan. Sappiamo tutti, e abbiamo letto in questi anni, dei traffici
di rifiuti tossici e di armi. C’è poi la piaga della pirateria, che frutta molti soldi,
perché i riscatti che sono stati pagati in questi anni dagli armatori sono stati di
milioni e milioni di euro. Quindi gli appetiti dei clan sono legati soprattutto ad
un controllo del territorio e l’incapacità di mettersi d’accordo genera il caos. A
questo poi si sono aggiunte una serie di crisi umanitarie, non ultima la siccità che
ha colpito la regione qualche mese fa.
D. - In questo contesto colpisce l’atteggiamento
della comunità internazionale. Solo la settimana scorsa si è svolta un’importante
conferenza internazionale a Londra, ma poco è uscito sul fronte umanitario. Questo,
quanto fa male alla Somalia?
R. - Fa male tantissimo perché la prima emergenza,
forse quella che potrebbe riuscire a risolvere anche i problemi successivi come quello
della pirateria e quella politica all’interno del Paese, è proprio quella umanitaria.
Noi abbiamo scritto una lettera ai partecipanti alla Conferenza che si è svolta una
settimana fa, chiedendo una commissione internazionale indipendente di inchiesta sugli
omicidi dei giornalisti e abbiamo chiesto di nuovo alla Comunità internazionale di
farsi carico di questa situazione. Purtroppo come abbiamo visto anche in altri contesti,
spesso la comunità internazionale non ha la coesione necessaria e l’incisività sufficiente
per riuscire a migliorare le cose. (bi)