Il Consiglio delle Chiese plaude la sentenza europea sui respingimenti
“Una pietra miliare che segna una svolta per quanto riguarda le responsabilità degli
Stati verso i migranti”. Così il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del
Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), saluta la sentenza con cui il 23 febbraio la
Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l'Italia per i respingimenti
verso la Libia, accogliendo il riscorso di 11 somali e 13 eritrei respinti nel 2009
al largo delle coste di Lampedusa. “La decisione – afferma in una nota il pastore
luterano – è in linea con il principio del non respingimento previsto dal diritto
internazionale che vieta agli Stati di rimandare indietro i richiedenti asilo o i
profughi verso un Paese o un territorio in cui rischiano la tortura, trattamenti disumani
o degradanti, oppure dove la loro vita e libertà sarebbe a rischio”. Secondo il Consiglio
mondiale delle Chiese, anche se si è registrato un aumento del numero di persone che,
a causa dell’accresciuta instabilità politica nei loro Paesi e della crisi finanziaria
internazionale, cercano di raggiungere i territori di Paesi sviluppati “questo non
dovrebbe essere un pretesto per indebolire la protezione dei diritti dei rifugiati.
Quale che sia il loro status di rifugiati o di immigrati illegali – sottolinea in
conclusione la nota - sono innanzitutto esseri umani e devono quindi essere trattati
secondo gli standard internazionali sui diritti umani". Alle parole del pastore Tveit
hanno fatto eco quelle del direttore della Commissione per gli Affari internazionali
del Wcc Mathews George Chunakara secondo il quale la sentenza della Corte di Strasburgo
“è un segno di speranza per centinaia di migliaia di richiedenti asilo e migranti
nel mondo che a loro rischio e pericolo cercano di raggiungere lidi più sicuri”. Con
la condanna dell'Italia sui respingimenti in mare verso la Libia, è la prima volta
che la Corte europea per i diritti umani prende posizione su una violazione che coinvolge
stranieri fuori dal territorio di uno Stato. È invece la seconda volta che condanna
uno Stato in un caso di espulsione collettiva di stranieri. Il precedente riguardava
il Belgio dove gli stranieri erano però presenti nel Paese, mentre nel caso italiano
gli stranieri si trovavano ancora nelle acque internazionali. (L.Z.)