2012-02-27 14:37:06

Agli Oscar trionfa il fim muto "The Artist"


Nella notte degli Oscar trionfa un film muto e in bianco e nero, "The Artist": non un ritorno al passato ma una celebrazione della magia del cinema e un film di buoni sentimenti. Migliore attrice la più famosa, amata e applaudita, Meryl Streep, per la sua superba interpretazione di Margaret Thatcher. Storia contemporanea, sogni sullo schermo e tensioni del presente, dunque, nel verdetto dei giurati dell'Academy, consegnati a Los Angeles nel corso di una cerimonia divertente e come sempre seguita da milioni di telespettatori. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

La rivincita del film muto, è ovvio, perché The Artist agguanta assai meritatamente, rispettando le previsioni, i cinque Oscar più importanti: miglior film, regia - di Michel Hazanavicius -, attore protagonista - Jean Dujardin -, colonna sonora - di Ludovic Bource - e costumi. Si guarda al passato, dunque, con questa originale e sorprendente invenzione a ritroso, si torna al 1928 e all'epoca d'oro del film senza parole e senza colori, in cui l'artista del titolo teme la modernità e il progresso, decade e risorge, scoprendo in questo "nuovo mondo" le ragioni e le speranze della sua vita e della sua carriera. Trionfano con questo film i sentimenti buoni, la sfida alle moderne tecnologie, la storia della settima arte reinterpretata coralmente da un team di splendidi professionisti, di attori che decidono di esprimersi soltanto con il corpo e i gesti, note viventi sul pentagramma offerto da una splendida colonna sonora e da ambientazioni e costumi perfettamente in sintonia. Non poteva mancare - la terza con 17 nomination - la vittoria della più amata e applaudita attrice vivente: Maryl Streep e la sua Iron Lady, biografia anche dolente di Margaret Thatcher, negli anni del suo trionfo politico e in quelli bui della vecchiaia e della malattia, facendo diventare questa biografia anche una meditazione triste sulla caducità delle cose terrene. Un film discontinuo in cui l'attrice americana ancora una volta riesce a trasformarsi con una immedesimazione stupefacente nel personaggio. Ringrazia commossa dal palco tutti i colleghi, quelli presenti e quelli che non sono più. E' la grande famiglia del cinema. A Hugo Cabret di Martin Scorsese vanno cinque statuette nelle categorie minori, compresa quella per la migliore scenografia agli italiani Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, anch'essi veterani degli Oscar. Sebbene con un verdetto piuttosto penalizzate, la immaginifica favola del regista americano rimane un gioiello di invenzione e di umanità: anche in questo caso una celebrazione che il cinema fa di se stesso come arte del sogno e scrigno per le gioie dei più piccoli. Non protagonisti: l'ottantaduenne Christopher Plummer e Octavia Spencer, attrice di colore dell'Alabama in vistose lacrime. Oscar straniero all'Iran e a Asghar Farhadi per Una separazione, già vincitore a Berlino lo scorso anno dell'Orso d'Oro e del Signis: una storia familiare privata diventa metafora per esprimere il dissenso. Il regista ringrazia auspicando il rispetto universale per le culture e mettendo in guardia dall'inciviltà della guerra, mentre maliziosamente la telecamera inquadra Steven Spielberg. La serata degli Oscar è anche questo: un messaggio trasversale al mondo. Mentre diretto è quello di una suora in abiti monastici in platea: è Dolores Hart, abbadessa dell’abbazia benedettina Regina Laudis a Bethlehem nel Connecticut e membra dell'Aacdemy, protagonista di un documentario che concorreva per la mitica statuetta nella sua categoria, God is the Bigger Elvis. Aveva recitato a fianco di Elvis Presley sul finire degli anni '50, poi Giovanni XXIII e Santa Chiara ebbero la meglio e Dolores entrò nella vita monastica. Anche questi silenziosi miracoli possono accadere a Hollywood.







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